Dreams, Blood and Tequila (Part 3)

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Il chiacchiericcio, una volta entrati nella sala della colazione, era decisamente eterogeneo.
Derek sentì voci provenienti da qualunque parte del mondo: italiani, tedeschi, giapponesi, oppure gli stessi messicani, che facevano a gara con gli italiani, per chi fosse più estroverso.
La sala da pranzo, comunque aveva lo stesso mix, anche se in questo caso si trattava di odori: c’erano vassoi in ceramica, contenitori in plastica, nei quali si poteva trovare l’intero menù mondiale.
 
Era una vera e propria passerella di sapori.
 
C’erano affettati di tutte le nazionalità, verdure, sottaceti, fette di pomodoro, salsine varie e fette di formaggio cheddar, disposte perfettamente in ordine, per non parlare dei fagioli, riso e salsa piccante. 
 
Derek storse il naso; la sua colazione doveva essere dolce: brioches, the, biscotti, torte. Ecco cosa gli bastava.
 
Dopo aver osservato i lunghi tavoli del pranzo, disposti in successione a ferro di cavallo, Derek notò la zona dei muffin, le ciambelle, i panini di vario genere, le creme alla nocciola, le brioches e lo yogurt.
Decisamente quello era il suo spazio: l’odore lì era più delicato e molto più mattutino.
 
Derek si diresse verso il tavolo delle bevande: c’erano vari tipi di succhi di frutta, latte, caffè,  the e acqua calda.
Il ragazzo si versò un po’ di the verde in una tazza, prese un piatto e posò due muffin alla vaniglia e un’ invitante brioche al cioccolato. 
La sua colazione poteva dirsi finalmente pronta.
Il ragazzo si sedette in un tavolino unico, disturbato solo dal vociare di una famigliola messicana, allegra e vivace, che si era seduta accanto a lui.
 
Non poteva mica pretendere pace e silenzio in un albergo, pensò mentre addentava un muffin, sorprendentemente soffice e gradevole. Il giovane alzò lo sguardo un attimo, e davanti ai suoi occhi si mostrò l’intero branco.
 
Interessante.
 
Derek pensò di segnarsi sull’agenda mentale “imparare l’arte dell’elusione”, quando improvvisamente lo stesso vecchietto che gli aveva offerto la camera la sera prima, si presentò sorridente, oscurandogli la vista del branco.
 
«Nahual, non ci siamo proprio! Devi proteggere la 709, non evitarla» pronunciò pacato, l’accento messicano marcato.
 
«Lei chi è, scusi, io non ho capito. Perché mi ha offerto la stanza, cosa devo fare con la 709? Devo proteggere Scott e…» un leggero rossore si diffuse sul volto di Derek.
 
Ottimo, ora non riusciva nemmeno a pronunciare quel nome. Arrossiva al pensiero. Patetico.
 
«Nahual. I sogni son desideri, me lo dice sempre la mia nipotina che adora Cenerentola» iniziò a canticchiare il vecchietto, con gli occhi sognanti.
 
Bene, Derek aveva appena capito di avere a che fare con uno squilibrato. Probabilmente aveva una calamita per certi tipi di persone, dato che continuava ad attirarseli. Il ragazzo cercò comunque di mostrarsi non troppo seccato.
 
«Mi scusi, ma perché mi continua a chiamare Nahual? Io non capisc-» Derek alzò lo sguardo per un attimo dal piatto, quando si rese conto che il vecchio era sparito.
 
Il ragazzo sbuffò, con gli occhi ora fissi sul branco: il primo che notò, manco a dirlo, fu Stiles, che fissava il proprio piatto senza voler toccar cibo, con Cora di fianco a lui esasperata.
 
Lo Stilinski sembrava decisamente offeso, Derek poteva avvertire la delusione del ragazzo, che andava a mescolarsi con la propria.
Perché doveva sempre cacciar via in malo modo quel ragazzo? Perché doveva fare la parte dell’insensibile? Erano questi i dubbi che lo attanagliavano, mentre mordeva distrattamente la brioche.
 
Se fosse stato amico di Stiles, forse a quest’ ora non sarebbe stato da solo, avrebbe sentito il chiacchiericcio del ragazzo, oppure sarebbe stato seduto col branco, e almeno poteva dirsi in compagnia.
 
Derek sorseggiò il the, senza staccare lo sguardo dal quel tavolo. Con quel piccolo idiota gli errori erano sempre a portata di mano. 
 
Se si trattava di salvarsi la vita, ok, erano pronti l’uno per l’altro. Non esitavano nemmeno per un istante. 
Altrimenti…
 
Derek non riusciva a parlare con lui, come faceva con Scott o con gli altri. Si sentiva esposto con Stiles, gli era sempre successo. Stiles era l’unico che non aveva mai avuto paura di affrontarlo, in nessuna occasione. Era stato l’unico a tenergli testa sempre.
 
Stiles, però era lo stesso ragazzo che ultimamente con lui si stava comportando in maniera assurda, se ripensava alla scena del fast food.
Cosa significavano quei continui sguardi profondi, perché esisteva la paura di sfiorarsi, e perché il ragazzo se l’era presa così per il suo rifiuto di quella mattina?
Stiles era la materializzazione dell’estrema confusione che Derek avvertiva nel suo stomaco, e il motivo per cui si era svegliato così agitato.
 
Non avrebbe mai ammesso, a nessuno, Derek, che per un breve attimo avrebbe voluto che lo Stiles del sogno diventasse realtà. 
 
Eppure, la vocina odiosa che si ritrovava  nel cervello, che stranamente aveva la stessa cadenza lenta di Peter, gli pose su un piatto d’argento un altro pensiero, cogliendolo impreparato.
 
“Stiles è bisessuale, non dimenticarlo.”
 
Derek sgranò gli occhi, distogliendo lo sguardo dall’altro. Non poteva significare assolutamente  che….
 
Il ragazzo sospirò sommessamente, mettendosi le mani tra i capelli. Perché si era ridotto così?
 
Non si rese conto che Lydia, col suo solito sguardo attento, aveva notato il suo gesto.

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