My Shadow your feelings (Part 6)

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Il vento, che fino a quel momento era semplicemente parso una carezza leggera, prese una inusuale potenza, con una raffica che fece scompigliare vigorosamente i capelli alle ragazze e ostacolò la corsa di Isaac, che sul campo era in procinto di segnare una rete spettacolare.
 
Un gridolino, proveniente da una zona accanto alla sua, per la precisione quella di Scott, lo fece distrarre, mandando la palla fuori campo.
 
Finstock urlò arrabbiato: «Lahey! Si può sapere che combini? La mia prozia avrebbe tirato meglio, e lei è nella fossa da quindici anni» 
 
Isaac non ascoltò nemmeno il coach, voltandosi, stranamente in preda ad una furia crescente, verso Mc Call.
 
«Scott, maledizione, è solo un po’ di vento, non dirmi che ti fa paura anche questo adesso»
 
Il ragazzo provò un ingiustificato odio per il suo amico, emozione che cresceva nettamente ogni secondo.
 
Che gli stava succedendo?
 
L’alpha originale, nel frattempo, non aveva distolto lo sguardo da un punto lontano, verso le tribune dello stadio.
Era ancora quella strana polvere gialla, che decise di impossessarsi dell’aria, cadendo come neve su un campo che ora sembrava quasi parte di una pagina di un libro del medioevo, quelle che col tempo da bianche diventano giallognole.
Il verde vivo aveva lasciato spazio al colore disgustoso del polline, che si depositò crudele sui ragazzi, senza risparmiarne nemmeno uno.
 
Lydia iniziò a tremare vigorosamente sugli spalti, spaventata come se avvertisse dei mostri attorno a sé.
 
Scott, dal canto suo, rimase nel campo, impalato, con gli occhi sgranati  a fissare l’enorme nuvola di polline sopra di loro, che avanzava minacciosa,  trascinata dalle forti raffiche.
 
«Mc Call, vuoi riprendere a giocare? Non dirmi che sei allergico al polline» tentò Finstock, senza però ricevere reazioni dal ragazzo.
 
Isaac non riuscì a placare la rabbia, nonostante tentasse di scorgere Allison tra le tribune, per calmarsi.
Fu tutto inutile.
 
Scott venne colpito dalla somiglianza di odori tra la sostanza giallognola del moscone che aveva ingoiato il giorno prima, e il polline attorno a sé, avvertendo per quello una sconvolgente paura che lo imprigionò in un vortice di sensazioni negative.
Si sentiva debolissimo e, per questo, si accasciò sull’erba in preda a tremiti convulsi.
 
Lahey si diresse verso di lui, gli occhi gialli da beta ben in vista.
 
«Alzati buono a nulla! Pretendi davvero di essere il nostro capitano, e poi ti spaventi come una femminuccia? E’ una fottutissima nuvola di polline! Sei ridicolo, Scott, cosa pensi possa farti, eh? Potrebbe ficcarsi tutta in quella bocca che ti ritrovi, e magari farti esplodere? Sei patetico! Pazzesco»
 
Isaac alzò l’altro di peso e gli tolse il casco, fissandolo negli occhi scuri che trasparivano terrore, con una rabbia profonda.
Il ragazzo non si lasciò commuovere dalla difficoltà dell’amico, tirandogli un pugno sul naso.
Non sembrava, però, che il gesto fosse stato compiuto di sua spontanea volontà: gli pareva di essere manovrato da un essere  invisibile.
 
«No, no, ehi qui non si mette bene» disse Stiles, alzandosi rapidamente.
 
Il ragazzo, con Allison, Cora e Kira al seguito, corse verso il campo, incredulo. Isaac era uno dei migliori amici di Scott, lo aveva sempre rispettato e raramente litigava con lui: com’era possibile che di colpo il ragazzo odiasse il proprio Alpha?
«Isaac sei impazzito? Fermati, per favore!» urlò Allison, avvicinandosi al fidanzato, che continuava a picchiare un inerme Scott.
Mc Call, dal canto suo era bloccato dalla paura: non riusciva a reagire e colpire Isaac di rimando, non perché non volesse, solo che  quasi non respirava, per non inalare il polline.
Non voleva che altri insetti o ambulanze gli rovinassero l’esistenza.
 
«Isaac smettila!» strillò Kira: anche lei si stava lentamente sottomettendo al nervoso, con le pupille che le erano diventate gialle fluorescenti.
 
Nessuno sembrava riuscire a dividere Isaac da Scott, nessuno sembrava calmare il biondo, che sentiva l’impulso folle di squartare la gola di Scott, di ferirlo e ucciderlo, farlo a pezzi una volta per tutte.
Il ragazzo continuava a colpirlo duramente, incurante dei fiotti di liquido rosso e viscoso che colavano dal naso e dalla bocca dell’altro, con un’ira soprannaturale.
L’odore metallico del sangue di Scott bloccò l’intera squadra, incredula e sbigottita. Nessuno osava dividere i due, forse per paura, o forse perché nessuno sembrava essere in sé.
 
Lo stesso coach era immobile e impotente, alla vista di quei due che lottavano come se ne valesse della loro vita.
 
Fu Stiles, con un atto di coraggio, a trascinare via Scott da sotto il naso del beta, mentre Allison riuscì a bloccare la follia omicida dell’ altro, storcendogli il polso, in un gesto che aveva imparato dallo stesso Isaac.
 
A mali estremi, estremi rimedi.
 
Il biondo sbattè le palpebre confuso, avvertendo come il dolore al polso fosse già scomparso.
 
«Scusami, ma non sapevo come fermarti» borbottò Allison, ansimando per la tensione. 
 
Cora, invece, si avvicinò a Kira, tentando di calmarla.
 
«Kira, tranquilla, non agitarti ti prego, non possono vederti trasformata»
 
Scott sentì il lamento della ragazza, e parendo in possesso di nuovo vigore, si alzò in piedi, spostando Stiles che lo teneva fermo e buttandosi di nuovo contro un Isaac stordito, avvertendo dentro di sé quella stessa furia che non aveva mai posseduto, se non quella mattina con Lydia.
 
Proprio la banshee, rimasta l’unica seduta sulle tribune e sconvolta dalla rissa assurda, decise di alzarsi e, ancora piuttosto spaventata, scendere e tentare in tutti i modi di calmare i due ragazzi.
 
Lei era un essere soprannaturale, ma più di tutto, doveva ricordarsi che era una ragazza sicura e forte. Non poteva permettere che incubi o ricordi di persone che ormai non facevano più parte della sua vita, la bloccassero, facendola sprofondare nella depressione. 
Aveva capito che Scott e Isaac, come anche Kira, sembravano come posseduti, e forse, uno dei suoi noti strilli avrebbe potuto farli tornare in sé.
Si stava avvicinando ai due litiganti, con gli occhi ormai asciutti e un pizzico di determinazione, conscia dei suoi gesti, quando Ethan lì accanto, ma più defilato rispetto ai due litiganti, la fermò di botto, mostrandole una figura poco lontano da loro.
 
«Aspetta Lydia, cos’è quella?» indicò il ragazzo, dubbioso.
Aiden lì vicino si voltò, fissando stupito la zona indicata dal fratello.
 
Era una donna praticamente scheletrica: le ossa le si notavano più facilmente, quasi, rispetto alla pelle, che era per altro di un leggero color grigio fumo.
Gli occhi, decisamente più grossi della media, sembravano privi di iridi, ed erano scuri come scarafaggi, mentre la bocca era tesa in un ghigno sottile, ma spaventoso.
I capelli color grano secco le ricadevano, spenti e disordinati sulle spalle, e indossava una veste sporca, stracciata e decorata con ossa, presumibilmente umane.
Alle orecchie portava pendenti, con inciso sul fondo un piccolo frammento di onice.
 
La donna, qualsiasi cosa volesse, non smetteva di guardare con morbosa attenzione verso il loro gruppo, facendo roteare piano un fiore rosa nella propria mano.
 
«Quella cosa è tutto, tranne che umana. Che diamine vuole da noi?? Perché ci fissa con insistenza» chiese il gemello di Aiden, sconcertato.
 
«Non lo so Ethan, ma mi inquieta il modo in cui non distoglie le pupille da questa zona, non mi piace. Aspetta, perché si sta piegando?»
 
«Non vorrà attaccarci?» chiese Aiden, già in procinto di trasformarsi.
 
Lydia sgranò gli occhi, provando di nuovo una sorda sensazione di terrore, nel vedere come l’essere si fosse chinato lentamente, e assumesse una strana posa simile a quella dei ragni, prima di iniziare a zampettare, letteralmente, verso di loro alla velocità del suono.
 
L’urlo della banshee, atterrita dal brusco movimento della donna, fermò la strana e inquietante lotta tra Isaac e Scott, con Allison e Stiles che riuscirono definitivamente a dividerli, dopo essersi coraggiosamente inseriti tra loro.
 
L’essere sconosciuto, colpito dall’urlo poderoso, si allontanò rapido verso la strada: così come era apparsa, la donna si era volatilizzata.
 
Il verso di Lydia aveva svegliato dalla trance il coach, che si voltò spaesato, prima di ricordare come Isaac avesse attaccato brutalmente Scott. 
 
«Che cosa ti è saltato in testa, Lahey? Sei fuori di cervello? Tu e Mc Call siete fuori dalla partita pomeriggio, non mi interessa se siete due dei titolari»  decretò l’uomo, ignaro della figura inquietante che ormai si era allontanata.
 
Scott si avvicinò a Finstock, piuttosto tremante, osservando il polline che non aveva intenzione di diradarsi.
Era successo di nuovo.
Aveva capito che non era in sé quando quella polverina gialla era attorno: il giorno precedente con l’ambulanza e l’insetto, e poco prima durante lotta contro Isaac. 
 
«Coach, per f – favore, non p – può cacciarci dalla squadra!»
 
«Si che posso Mc Call, e sai perché? Perché sono l’allenatore. Tu e Lahey, andate in panchina e meditate sul perché avete iniziato a prendervi a pugni. Stilinski! Voglio il massimo da te, ok? Sei titolare, non deludermi»
Il coach decretò terminato un allenamento tutto sommato perfetto, che per alcuni però, si era trasformato in un incubo.
 
«E’ colpa tua Isaac, sei un deficiente!» urlò Scott, furioso, contro il biondo.
L’altro non battè ciglio, uscendo un po’ stordito dal campo, mano nella mano con una sconvolta Allison.
 
Danny fu l’unico ad uscire dal campo relativamente sorridente.
Sul volto degli altri, invece, si poteva notare rabbia, delusione, frustrazione, sbigottimento e paura.
 
Qualcosa si era rotto tra di loro: e quando una coltre di gelo cade pesante su un’amicizia, non ci si può aspettare nulla di buono.
 
Alcuni membri del branco decisero di tenersi a debita distanza l’uno dall’altro: Lydia era con Danny nei posti davanti, mentre i gemelli erano più distanti.
Cora e Kira stavano esattamente al centro, ed erano entrambe silenziose e soprattutto pensierose, dato che non riuscivano a spiaccicare parola.
L’esempio plateale erano Isaac e Scott, che, seduti rispettivamente accanto a Allison e Stiles, non si rivolsero la parola per tutto il viaggio di ritorno in Hotel.

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