La prima cosa che colpì Derek, uscito dall'hotel con due ciambelle e una tazza di tè verde già al sicuro nel suo stomaco, fu il pesante odore di pomodoro e chili che invadeva l'intera "Calle Madrid".
Le famiglie che abitavano in quei palazzi, che definire eterogenei era poco, sembrava si fossero messe d'accordo per impregnare i vestiti e i capelli del lupo di un sentore speziato, e di grande impatto.
Un po' Derek si rispecchiava in quella fragranza, soprattutto quando pensava alle volte che la madre e la nonna avevano tentato di cucinare cibi stranieri, e puntualmente si erano ritrovate a fallire miseramente.
Sua madre, se proprio doveva permettere alla sua mente di farsi attraversare da pensieri nostalgici, era una campionessa nelle specialità europee, e più precisamente tedesche.
Come cucinava lei gli hamburger, non lo faceva nessuno.
Il ragazzo si guardò intorno: non aveva una meta precisa, ma sicuramente, se avesse girovagato a caso per la città, non si sarebbe perso. Il fiuto da lupo non l'avrebbe mai tradito.
Città del Messico era l'emblema del folklore moderno: grattacieli futuristici, hotel a cinque stelle e negozietti all'ultima moda, si alternavano ad abitazioni diroccate, decorate con colonnine antiche o colorate, tra le altre tonalità, di un "caliente" rosso amaranto.
Quello che il ragazzo scorse, mentre lasciava l'albergo alle sue spalle, era che non esisteva uno spazio che non fosse coperto da alberi, cespugli o fiori. L'enorme quantità di gas e inquinamento prodotta dalle macchine, veniva, grazie al cielo, compensata con tutto quel verde.
Era quasi assurdo, per Derek, notare come accanto ad un enorme grattacielo, simbolo del moderno che avanzava, si potesse trovare un albero secolare, piantato lì in tempi nei quali le persone nemmeno potevano pensare all'esistenza dei palazzi.
Il ragazzo mise le mani in tasca, respirando l'aria pesante di una città che mescolava odori culinari, smog e un alto tasso di umidità.
Era vestito diversamente, quella mattina: senza considerare i soliti jeans scuri e la giacca di pelle nera, Derek aveva ripescato dalla valigia una t -shirt blu elettrico, regalatagli da Cora per il suo compleanno.
Era inusuale, per lui, indossare vestiti con colori sgargianti, dato che il suo guardaroba, dal giorno dell'incendio in poi, comprendeva solo colori lugubri e maglie a maniche lunghe.
«Ti starà bene, vedrai...» gli aveva assicurato la sorella, e in effetti, col senno di poi, doveva ammettere che quella maglia era davvero particolare.
Quella mattinata, iniziata in maniera assurda, con quel bacio sulla guancia ad opera di Stiles, stava continuando anche peggio. Non aveva ancora smesso di ricordare eventi passati, il che era un male per uno che voleva solo archiviarli tutti e per sempre.
Gli occhiali da sole, che indossava ormai per abitudine, lo proteggevano da sguardi indiscreti.
Non poteva essere altro che una benedizione, dato che le sue pupille erano diventate scarlatte.
Gli succedeva ogni volta che pensava alla sua famiglia: tutta colpa della rabbia che aveva in corpo.
La gente attorno, che attraversava freneticamente il marciapiede, lo osservava meravigliata, soprattutto le ragazze.
Derek odiava le attenzioni morbose del gentil sesso, soprattutto dopo aver perso Paige, l'unica ragazza che non lo aveva mai deluso, che aveva ammesso di amarlo, e che voleva renderlo felice.
Gli mancava a volte, Paige, così come gli mancava la sua famiglia, e soprattutto una vita normale.
"Il momento peggiore per farsi prendere dalla nostalgia è in una strada popolata da signorotte allegre, che parlano rapidamente e con una cadenza incomprensibile." pensò il ragazzo tra sé e sé.
I discorsi della gente sembravano voler essere per forza di dominio pubblico: il tono di voce dei pedoni, dei ragazzi seduti a bere aranciate ai tavolini del bar e degli uomini che parlavano al cellulare era sempre maledettamente alto.
Osservando l'ambiente attorno, il ragazzo notò le innumerevoli bandiere messicane, che sventolavano fiere, appese alle finestre delle case.
Anche a casa Hale si usava appendeva la bandiera, durante il giorno del ringraziamento, ed era una tradizione che si rinnovava sempre con gioia.
Suo padre cucinava divinamente il tacchino, sua madre preparava i dolci e lui con le sorelle si divertiva ad appendere bandierine a stelle e strisce tra gli alberi.
Non che tutti questi gesti venissero notati da chissà quanta gente; la casa, in fondo era sperduta tra i boschi...
A Derek, però importava poco. Avrebbe dato qualsiasi cosa per rivivere un ultima volta quei momenti spensierati.
Una volta, ora che ci pensava a fondo, era stato sgridato pesantemente da un uomo, perché stava distruggendo la flora boschiva per impigliare una bandierina tra i fiori.
Derek sorrise malinconicamente al pensiero. Non ricordava chi fosse l'uomo, molto probabilmente poteva essere il vice sceriffo Stilins...
L'Hale chiuse gli occhi e li riaprì di scatto.
"C'è davvero bisogno di ricordare il nome dello sceriffo? Non ho limite al masochismo." sbuffò il ragazzo, odiandosi a morte.
La polizia messicana presidiava tutti gli angoli di quella strada, ora che ci faceva più caso.
Era stata colpa degli omicidi multipli della notte precedente, che avevano spaventato la popolazione per la brutalità del loro compimento.
Uomini tagliati a metà, gole squarciate, cadaveri ritrovati a brandelli.
Qualunque cosa fosse, Derek aveva intuito non appartenesse alla categoria degli esseri umani. O era un serial killer particolarmente psicopatico, e lì bastava catturarlo e mandarlo all'ergastolo, oppure erano guai.
Derek ripensò alle notizie del telegiornale qualche giorno prima: in effetti era da un po' di tempo che si susseguivano news sconcertanti su omicidi misteriosi e macabri.
Per terra il disegno in gesso segnalava la presenza del cadavere, mutilato, dato che la metà di quest'ultimo si trovava sul marciapiede opposto: il ragazzo si fermò un attimo per capire che odore avesse.
Tutto si sarebbe aspettato, tranne una scena del crimine che profumava di fiori.
"Che diamine succede qui?" pensò, mentre tossiva, dato che l'odore l'aveva comunque colpito.
Forse era meglio allontanarsi. Aveva già troppi pensieri per la testa.
Il profilo di Kate Argent, suo malgrado, gli apparve nel cervello, quasi a prenderlo in giro.
Derek tentò di scacciarlo, concentrandosi sulla strada da percorrere, ma nulla da fare: l'avanzare del ragazzo, sempre senza una vera e propria meta, era intervallato da pensieri nostalgici, e rabbia profonda per quella ragazza che gli aveva bruciato l'adolescenza.
Mai come in quel momento si odiò per averla incontrata, per essersi concesso a lei, mai come in quel momento sentiva di aver assoluto bisogno della sua famiglia viva, e mai come in quel momento tentava di non lasciar spazio nella sua testa al volto di un ragazzino con molti nei, iperattivo e con due occhi color ambra che erano diventati il suo porto sicuro, senza che l'altro ne fosse a conoscenza.
Derek non poteva permettersi di provare alcunché per Stiles: i motivi erano facilmente elencabili, dato che chiunque si legava all'Hale romanticamente, finiva dentro una fossa.
Semplicemente non poteva consentire a quel marmocchio imprevedibile di scuotergli la vita, che tutto sommato era tornata accettabile, da un anno a quella parte.
Consentire a sé stesso di essere amico del ragazzo? Forse, in fondo era parte del branco, e il branco è più forte se sempre unito.
Aveva deciso: Derek sentiva di aver bisogno di Stiles solo in funzione del branco.
«Ecco, questa è una soluzione accettabile» borbottò il ragazzo.
Era arrivato davanti ad un'enorme piazza, piastrellata in mattoni biancastri, e decorata da file e file di alberi e cespugli pieni zeppi di fiori rosati, gli stessi che erano praticamente dovunque in città. Al centro della piazza Derek osservò meravigliato la costruzione enorme, costituita da quattro archi uniti sotto una cupola rossastra e maestosa.
Ai lati si potevano scorgere definitivamente delle figure che sedevano a gambe incrociate.
Davanti all'enorme sottospecie di tempio, zampillava allegramente una fontana, i quali getti, però partivano da terra, sorprendendo quindi i turisti ignari.
La struttura che terminava poi con la fontana, era stata fabbricata con mattoni scuri, ed era piena zeppa di scalini.
"Chissà come si chiama." pensò Derek, estraendo il cellulare dalla tasca e accendendolo.
La costruzione aveva troppe persone attorno e una quantità di imponenza tale da non poter essere qualcosa di frivolo.
Il cellulare trillò, segno che qualcuno gli aveva mandato un messaggio.
"Chi mi cerca alle 9 e mezza del mattino?" si chiese, già nervoso.
Poteva essere Cora, che voleva sapere che fine avesse fatto, e perché non fosse con gli altri al campo.
Poteva addirittura essere Scott: a volte il ragazzo lo chiamava senza apparente motivo.
Derek si sedette sul bordo della struttura nera, per farsi ombra e poter vedere il display del cellulare non più in controluce.
Il ragazzo sbattè le palpebre un paio di volte, si tolse gli occhiali da sole e provò di nuovo a leggere.
Non si era sbagliato.
Il fatto era che Derek aveva memorizzato i numeri di tutti i membri del branco, chiamandoli chi col nome, come Cora, Scott o Isaac, chi col cognome, come Martin o Argent.
Stiles, come ovvio, era stato soprannominato "Idiota", perché quella era la considerazione dell'Hale nei confronti del più piccolo, e poi leggere i messaggi che avevano come mittente un "Idiota" era di per sé divertente.
Il ragazzo non si stupì più di tanto, in fondo, quando lesse il testo.
Da: "Idiota"
Ciao Derek, come mai non sei allo stadio? Il vice coach dovrebbe essere sempre presente, no? Se ti va di passare, e non ti senti scontroso senza motivo, e questo deve essere un miracolo, ti aspetto.
Cioè, no, ti aspettiamo.
Cora ti aspetta.
Solo lei, non io.
Ciao.
Il cuore di Derek mancò un battito.
C'era assoluto bisogno di rispondere?
A pensarci bene, no.
Lui doveva tenere la maschera da burbero asociale, soprattutto quando comportarsi diversamente sarebbe stato proibitivo.
Stiles lo aspettava, Stiles voleva che lui fosse presente all'allenamento, Stiles, che era sembrato così inerme, mentre si addormentava sopra di lui.
Lo stesso Stiles che gli aveva salvato la vita, che Derek aveva abbracciato durante il terremoto e che si era intrufolato coraggiosamente nella sua stanza per lasciargli un bacio.
Perché Derek non smetteva di provare quelle disgustose sensazioni di calore, soprattutto all'altezza del petto?
Si era ripromesso di non accettarle più, di respingerle e chiudere il proprio cuore, privo di qualsivoglia sentimento.
Il suo cuore serviva solo per pompare il sangue, non per altro. Non si scaldava al pensiero di vedere una persona, non vibrava appena udiva la risata di qualcuno, non era più abituato a battere per amore.
Questo fino al giorno del terremoto.
Il ragazzo si mise le mani tra i capelli, sotterrando il volto sconcertato.
La difficoltà maggiore era ammettere a sé stesso di provare una cotta per Stiles, che non si era mai palesata ufficialmente, solo grazie alle fortissime limitazioni imposte a sé stesso.
Da quando il ragazzo lo aveva aiutato a non morire a causa del proiettile dello strozza lupo, quella strana e improbabile infatuazione era nata per crescere paurosamente nella zona più nascosta del suo inconscio.
Inconscio che lo aveva tradito malamente, facendogli sognare Stiles, facendogli bramare sessualmente il ragazzo in maniera che l'Hale riteneva comunque impossibile: non era mai accaduto in quel modo con Paige, o con Kate, o con Jennifer.
Tutta quella situazione era assurda, sottolineata dal fatto che era molto probabile che lo stesso Stiles, a causa di tutti i suoi comportamenti ambigui, fosse il primo a provare sentimenti veri verso di lui.
Ma era davvero tutto così sbagliato?
Derek si riscosse di colpo dai propri pensieri, collegando il cellulare ad internet e cercando il nome del monumento, dato che era il motivo primario per il quale il ragazzo aveva acceso il dispositivo.
Il GPS installato, gli mostrò come si trovasse nella "Plaza de la Republica" e il monumento fosse "el Monumento a la Revolucion."
Beh, la rivoluzione era avvenuta certamente, nella sua testa, quindi poteva dire che il nome della struttura poteva definirsi perfettamente azzeccato.
Derek decise di rimanere seduto sul muretto, approfittando del fatto che fosse libero da sconosciuti, semplicemente ad osservare come le foglie degli alberi si muovessero leggiadre, grazie alla brezza che si era sviluppata da poco.
Sembrava danzassero, mostrando varie tonalità di verde, che si muovevano in base al vento.
Lo spettacolo della natura lo sorprendeva sempre, era inutile negarlo.
L'atmosfera, nonostante le migliaia di ambulanze o macchine della polizia che continuavano a sfrecciare per strada, era tranquilla, quasi rilassante.
Derek si stese definitivamente, puntando con interesse lo sguardo verso il cielo che si stava colorando di grigio.
Le nuvole di umidità erano sempre più presenti.
Accanto a lui, migliaia di fiori rosa stavano sbocciando lentamente dal cespuglio ben tenuto, vicino al muretto. Erano così silenziosi, ma estremamente rapidi nella crescita, quasi inquietanti.
Derek, però, non se ne accorse, troppo preso nell'ammirare il cielo.
«Ciao»
Una voce femminile interruppe il flusso di pensieri del ragazzo, che si alzò di scatto.
Davanti a lui c'era una giovane donna, decisamente attraente, con lisci capelli biondi, tra i quali si potevano scorgere meches più scure.
Gli occhi vispi e attenti erano particolarmente scuri, quasi neri, ricordando il colore del muretto sul quale Derek era seduto.
Sembravano quasi scuri come due frammenti di onice.
Il fisico della giovane era mozzafiato, Derek era certo di non aver mai visto una ragazza così formosa, con tutte le curve al punto giusto.
Il vestito che indossava era lungo fino alle ginocchia, con degli strani ricami a forma di ossa sul fondo.
Il ragazzo le sbuffò contro, perché in quella donna c'era qualcosa che non gli convinceva. La ragazza era troppo perfetta per essere vera.
L'Hale decise di alzare la guardia, in caso di pericolo.
«Uhm» rispose lui, considerando come la presenza di quella ragazza gli avesse tolto Stiles dalla testa. Una buona azione, assolutamente, forse l'unica compiuta da quell'estranea.
«Ciao, non sei un tipo che parla troppo, vero? Io mi chiamo Yvita, piacere»
Yvita tese la mano, con un gesto dolce che l'Hale non potè ignorare.
Il ragazzo prese la mano tra le proprie, notando come quella fosse maledettamente gelata.
Sembrava uscita da un freezer. Ora che la osservava meglio, poteva notare come la pelle della ragazza fosse di un leggero color perla. Troppo pallida per essere umana, ora Derek ne era convinto.
«Qualcosa non va?»
«Non sei umana, sei troppo fredda» esclamò Derek, che più guardava negli occhi la ragazza e più si inquietava per il contatto.
«Scaldami tu allora» sussurrò lei, sensualmente, sedendosi accanto al ragazzo, e strusciandosi col proprio corpo su quello del licantropo.
Derek captò i movimenti della ragazza, sentendoli come terribilmente sbagliati.
Chi si credeva di essere quella sconosciuta, fredda come un blocco di ghiaccio, splendidamente inquietante, ad avvicinarsi senza pudore a lui, strusciarsi come se fosse un gatto, permettersi di flirtare e baciarlo?
La lingua della ragazza si infilò prepotentemente tra le labbra di Derek, che però non rispose al bacio, anzi, tentò di fermarlo spintonando malamente la ragazza da un lato.
«Che cavolo fai?» chiese, trattenendosi e non poco dal mostrare gli occhi rossi dell'Alpha in lui.
Non era la prima volta che qualcuno lo coglieva di sorpresa, baciandolo con insistenza, e non era nemmeno la prima volta che il ragazzo sbattesse via la suddetta ragazza, in malo modo.
«Che sgarbato che sei, e poi non ti sei nemmeno presentato, se è per questo. Credevo che la bellezza esteriore rispecchiasse quella interiore, ma mi sbagliavo. Strano, io ho un grosso intuito per queste cose, in generale»
Derek era in procinto di mandarla definitivamente a quel paese, quando una figura al centro della piazza davanti a lui, colse la sua attenzione.
Era un'altra ragazza, che passeggiava tranquillamente nella piazza, prima di rendersi conto di avere su di sé lo sguardo di qualcuno; per questo si voltò verso Derek, che poté osservarla meglio.
Portava i capelli corvini, mossi, ordinati e maledettamente lunghi, almeno fino alla schiena.
Le labbra erano dipinte di un rosso acceso, quasi brillante, che contrastava con il pallore inusuale della pelle.
Il colore degli occhi della giovane era lo stesso di quello di Derek.
Il suo sguardo si specchiava in quello dell'Alpha, mostrando lo stesso identico sbalordimento, con le pupille spalancate e la bocca aperta dalla sorpresa.
Lui sbattè le palpebre, sentendo che la terra sotto i suoi piedi cadeva, crollava, si frantumava, perché quella ragazza doveva essere sepolta nel suo giardino, e non stare davanti a lui, in procinto di avvicinarsi, a passo cadenzato e quasi fluttuando sulla strada.
Derek non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, aveva paura che se l'avesse persa di vista un attimo, si sarebbe volatilizzata.
Non poteva essere lì, non poteva essere lei, non era possibile fosse lei, no...
Un suono leggero, accompagnato da un inevitabile singhiozzo provenne dalla bocca di Derek, un nome, che non credeva di poter più pronunciare.
«Laura?»
Laura Hale, con lo sguardo dapprima perso nel vuoto, e poi fisso sul fratello, si posizionò esattamente di fianco ad una sorridente Yvita, prima di correre incontro al fratello, ed abbracciarlo, commossa, con un sorriso che le attraversava il meraviglioso volto.
«Derek, io, scusami, ho dovuto fingere la mia morte per farti tornare a Beacon Hills. Dovevi tornarci, era di vitale importanza, e tu l'hai fatto. Oddio, sono stata una sciocca a pensare di far finta di uccidermi. Ho giocato con i tuoi sentimenti, Derek, ti prego, perdonami. Ti ho ritrovato qui finalmente e ti prometto che non ti lascerò più, giuro!»
Le lacrime bagnavano entrambe le guance degli Hale, tremanti di commozione e felicità. Derek non era più abituato a piangere, non era mai stato bravo ad esprimere le emozioni, ma in quel momento il turbinio di sensazioni era troppo da gestire, per essere trattenuto malamente nel suo animo.
Troppo.
Laura sorrise, finalmente, staccandosi dal fratello.
«Sei sempre uguale! Un anno e mezzo che non ci vediamo, e non cambi di una virgola! Cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi?»
«Ti odio a morte per quello che mi hai fatto, ma sono troppo felice di rivederti per pensarci ora, anche tu sei sempre uguale! Oddio, sono qui con Cora, lo sai? Nostra sorella minore, quella che credevamo morta nell'incendio. E' qui, in gita scolastica con i suoi amici. Devono giocare a Lacrosse e...»
Derek sembrava un fiume in piena, era incredibile come sentisse la mancanza della sorella, era impensabile il fatto di aver vissuto senza di lei per un anno e mezzo. Credeva che lo zio Peter l'avesse uccisa, credeva di averla protetta, lasciandola sepolta vicino alla villa..e invece era lì.
Bellissima, con un sorriso solare, in carne ed ossa, e soprattutto viva.
Sua sorella era viva.
«Il polline ti ha condotto da lui, Laura» si intromise sorridendo Yvita.
Derek le lanciò un occhiataccia. Che ci faceva quella smorfiosetta ancora lì?
«Vai via, nessuno ha chiesto il tuo parere»
Quella ragazza continuava stranamente ad inquietarlo. Derek tentò di liquidarla, dandole meno confidenza possibile.
Il ragazzo staccò un attimo gli occhi dal volto della sorella, per puntarli al cielo, notando un'enorme nuvola di polline che si spostava alla velocità del suono, verso di loro.
Il vento, nel frattempo, iniziò a crescere di intensità.
«Che vento! C'era una brezza piacevole fino a due minuti fa. Oddio Derek, parlami di Cora! Ora ha diciotto anni giusto? E' una bella ragazza? Scommetto di si. Assomiglia a nostra madre? E' fidanzata? Dimmi di te, sei fidanzato?»
Derek rise, inalando un po' di polline, ma non se ne preoccupò.
Laura era sempre stata una ragazza alla ricerca del gossip, e quel lato decisamente femminile della sorella gli era mancato come l'ossigeno.
La curiosità è femmina, in fondo, Derek lo sapeva bene.
Il ragazzo cercò un'immagine da mostrare, dove Cora fosse in primo piano: ce n'era una, in effetti, dove la minore degli Hale sorrideva felice, accanto a Stiles. Era stata scattata durante il compleanno della ragazza, ed entrambi indossavano cappellini a forma di lupo.
«E' stupenda Derek, ha lo stesso volto di nostra madre. Non credevo fosse cresciuta così bene. Quello accanto chi è? Il suo ragazzo? Ha un viso così divertente!»
«Stiles il ragazzo di Cora? Assolutamente no! Lui è solo un rompiballe che rende la mia vita un inferno»
«Infatti non stai pensando a lui in questo momento, vero?» chiese maliziosa Yvita, guardando attentamente la foto. «E' carino! Però tu sei fidanzato con me, dillo a tua sorella» sbottò lei, convinta.
«Cosa?»
Derek ora era convinto al cento per cento di aver incontrato una psicopatica. Non c'erano alternative. Si era spaventato anche perché lui stava effettivamente pensando a Stiles: non aveva idea di come quella ragazza lo avesse scoperto.
Magari era un essere sovrannaturale...poteva forse leggere nel pensiero?
«Laura, non crederle, io non so chi sia questa ragazza, andiamocene a bere un caffè, è meglio, non voglio avercela tra i piedi» il ragazzo prese la sorella per il braccio, trascinandola via mentre il vento aumentava sempre più la sua forza.
«Dobbiamo ripararci, entriamo in un bar, qua ce ne sono mille» propose Laura, sorridendo e seguendo il fratello.
«Lui non vuole»
Yvita era ancora lì, e non aveva intenzione di andarsene.
«Ignorala Laura, sarà una stalker psicopatica, ci lascerà in pace se la lasciamo perdere»
«Lui non vuole! Dovete stare qui» Yvita sorrise, prima di scoppiare in una fragorosa risata.
Derek ora era decisamente terrorizzato. Doveva andarsene di lì, e alla svelta.
«Lui non vuole? Ma di chi stai parlando?» chiese Laura, poco convinta della lucidità della ragazza.
«Lui»
Yvita indicò un puntino lontano, che si avvicinava lentamente ma rapidamente.
Era un volto decisamente conosciuto, che ora quasi correva verso di loro.
«Peter?» Esclamò spaventata Laura. La sua bocca ora era spalancata, sembrava quasi emettesse un urlo silenzioso. La ragazza indietreggiò, staccandosi da Derek e preparandosi ad affrontare lo zio.
«Lui la vuole, vedi?» sorrise Yvita, mentre il polline continuava a volare sopra di loro.
Derek non riuscì a muoversi, qualcosa gli impediva di allontanarsi nel bar più vicino con la sorella.
Sembrava che il polline che aveva ignorato, ora lo stesse immobilizzando.
La situazione stava prendendo una piega drammatica è inquietante.
Peter non poteva essere lì, no...lui era negli Stati Uniti a reclutare lupi per il suo branco.
Non era lui quello che correva rapido, sul volto l'espressione di chi è pronto a compiere un omicidio.
Non poteva, non doveva essere lui.
«Mi dispiace» rise Yvita, con gli occhi che divennero enormi e scuri. Non sembrava davvero dispiaciuta, piuttosto pareva divertita.
La ragazza abbracciò Derek, che non provò nemmeno a togliersela di torno, rimanendo impalato a guardare, dopo un anno e mezzo, quella scena che lo avrebbe perseguitato ogni notte.
L'incubo che non l'avrebbe più lasciato.
«Peter cosa vuoi fare, che oddio...no...no...» urlò lei, indietreggiando.
«Peter, è Laura! E' viva! Cosa stai facendo?» urlò Derek, ma lo zio sembrava non sentirlo.
Peter Hale sorrideva malevolo, mentre si trasformava in lupo e sgozzava Laura senza pietà con i suoi artigli, lasciando che la ragazza cadesse per terra senza grazia.
La strada sarebbe dovuta scomparire, Derek sarebbe voluto morire, eppure si rese conto che poteva ancora respirare.
Era assurdo, quello che stava vivendo.
Non aveva senso.
Peter non poteva compiere due volte lo stesso omicidio, non era umanamente accettabile.
L'uomo, che sembrava davvero essere comparso dal nulla, accarezzò con un artiglio il volto immobile di Laura, stesa per terra, con il sangue che aveva tinto la sua bocca dello stesso colore del rossetto.
Derek rimase impotente, a vedere gli occhi dello zio che brillavano di un forte color rubino, mentre gli artigli premevano contro la pelle della nipote, sempre più un profondità.
L'uomo non disse nulla per tutto il tempo, ma sembrava godere nel toccare in quel modo la ragazza, squartarla lentamente, sempre più profondamente.
«Lui non voleva che voi due vi rincontraste...» ribadì Yvita, trattenendo e non più abbracciando Derek.
Il ragazzo vide lo zio allontanarsi calmo, come se non avesse appena squartato la gola della nipote.
L'alpha più giovane fissò la sorella: l'aveva persa di nuovo, continuava a perdere le persone che amava: a cosa serviva vivere?
Laura giaceva a terra, tristemente immobile, con il fratello che si era riuscito a liberare dalla presa di Yvita, per chinarsi in lacrime sul cadavere.
Non aveva agito. Non aveva difeso sua sorella, aveva lasciato che lo zio, sbucato dal nulla, la facesse fuori di nuovo.
Come poteva pensare di proteggere le persone che amava, se era stato capace solo a stare immobile, senza difendere una ragazza che aveva il suo stesso sangue che le scorreva nelle vene?
Una strana apatia avvolse il cuore del ragazzo.
«Devi stare con me, Derek. Stai con me e sarai felice per sempre, tieni, bevi quest'acqua speciale, ti farà bene» gli aveva sussurrato Yvita nell'orecchio, chinandosi davanti a lui con una boccetta che aveva lo stesso strano odore del cadavere che Derek aveva annusato in precedenza.
Lui la osservò, con occhi spenti, mentre la nuvola di polline ancora volteggiava sopra di loro.
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Labyrinth (ITA)
FanfictionIspirata dall'episodio "Motel California" di Teen Wolf Il buio nella vita di Stiles Stilinski, che nasconde la sua enorme cotta per Derek Hale, raggiunge l' apice quando la squadra di Lacrosse e l'intera classe di economia, viaggiano verso il Messi...