Dreams, Blood and Tequila (Part 16)

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«Non riesco a capacitarmi di una cosa: siamo in Messico, la patria del caldo afoso e del sole, per non parlare della movida notturna, e guarda l’ironia del caso, sono due sere di fila che piove e che rimaniamo bloccate qua in hotel. Qualcuno ce l’ha con noi» sbuffò Lydia, sistemando il letto e  infilandosi sotto le coperte.
 
La festa era terminata da una buona mezz’ora e più o meno tutti i ragazzi erano tornati nelle proprie stanze, alcuni consci che il giorno dopo avrebbero dovuto smaltire una pesante sbornia.
 
Allison si era diretta verso la finestra per chiudere le tende, quando un piccolo filamento aveva colto il suo sguardo. «Ti appoggio, sembra una congiura contro di noi. Ehi, aspetta, ma questo è uno dei fiori che ho visto oggi, quello del cespuglio strano! E’ inconfondibile! Vorrei solo sapere come diamine è finito qui sopra»
La ragazza osservò il fiore, stupita ed estasiata nello stesso tempo. C’era qualcosa, in quei petali rosa, che la attraeva pesantemente, anche se non le era molto chiaro cosa.
 
«Guarda, ho smesso di chiedermi perché ci capitano cose assurde. Fai così, posalo da qualche parte e vai a dormire» propose Lydia, sonnecchiando. Per fortuna che non aveva bevuto tanto, altrimenti il giorno dopo un fastidioso mal di testa l’avrebbe accolta per iniziare la giornata.
 
«Ecco, va bene qui» Allison aveva trovato un bicchierino nello scaffale in bagno, che aveva posato sul proprio comodino, bello in vista tra i loro letti e leggermente più vicino a quello di Lydia, dopo averlo riempito d’acqua.
 
«Ora si che il mobile è più femminile» commentò Lydia, sorridendo.
 
«Ho avuto una bella idea, lo so» Allison indossò la maglia lunga e viola che le faceva da pigiama, e spense la luce della abatjour.
 
«Vabbè speriamo di dormire tranquille stanotte. Almeno per ora non ci sono stati terremoti».
 
«Lo sai che siamo perseguitate dalla sfiga. Non dormiremo mai tranquille, fidati» .
 
«Posso provarci, almeno?» ribattè Allison, voltandosi dall’altra parte del letto. «Buonanotte Lydia» disse la ragazza, chiudendo gli occhi.
 
«Notte»
 
Lydia chiuse gli occhi, facendo in modo che lo scrosciare della pioggia, proveniente dall’esterno,  fosse il sottofondo perfetto per potersi addormentare.
 
In effetti, il rumore rilassante della pioggia, poteva rappresentare una maniera esemplare per concludere la giornata, e immergersi nel mondo dei sogni. Lo era decisamente. 
Lydia sospirò, sprimacciando il cuscino, quando un suono leggero le si insinuò nel cervello. Era melodioso, lento e dolce, quasi a sembrare una ninna nanna.
 
Il suono era quello di un carrillon. La Martin si concentrò un attimo, tentando di ricondurre quel suono ad un momento della sua vita, che era certa di aver vissuto.
 
Quel carrillon era stato un regalo, ma non ricordava di chi……
 
 
Stava camminando leggiadra, mano nella mano con il ragazzino più carino della classe. Un lecca lecca le occupava l’altra mano. Sapeva di fragola, il suo frutto preferito. 
 
Dietro di lei, Stiles Stilinski e Scott Mc Call, giocavano con due modellini di aerei in mezzo alla strada. 
Sembravano molto più bambini dei loro undici anni. 
 
La gita al museo della porcellana di Beacon Hills era ormai terminato: Lydia aveva notato il carillon raffigurante una giostra con dei cavalli bianchi, dietro la vetrina di un negozio, e non riusciva a staccare gli occhi di dosso dall’oggetto. 
 
Il suono era così dolce, ma nello stesso tempo trasudava  malinconia. 
 
«Se vuoi te lo compro». Gli occhi azzurri del ragazzo di fianco a lei la trapassarono da parte a parte. 
 
Lydia sorrise, sorpresa: «Grazie Jackson, sei davvero molto gentile»
 
«Farei di tutto, per la mia principessa» rispose lui, sghignazzando di rimando. 
 
«Jackson, io non voglio essere la tua principessa, lo sai. Mi piacerebbe essere la tua datrice di lavoro. Sarebbe eccitante»
 
Danny, di fianco a loro, ridacchiò. 
 
«Così piccola, e ha già le idee chiare sul suo valore nei tuoi riguardi E’ un peperino Jackson, lo sai, vero?»
 
«Non importa, la preferisco così, piuttosto che piagnona»
 
Jackson entrò nel negozio, e dopo pochi minuti ne uscì con un pacchetto elaborato, che il ragazzo consegnò alla Martin, esibendo uno sguardo compiaciuto. 
 
Lei fissò entrambi, prima di sorridere e avvicinare le proprie labbra a quelle del biondino, entusiasta del regalo ricevuto. 
 
«Ti voglio bene Jackson»
 
Lui sorrise, stringendola a sé e sussurrandole all’orecchio: «Anch’io, anche se non sono con te ora»
 
Lei lo guardò stupita: «Cosa, cosa stai dicendo? Sei qui con me, ti sto stringendo la mano»
 
«No, Lydia, no. Tu non sei con me, non lo sei mai stata»
 
Lydia strinse la mano dell’altro, per tranquillizzarsi, ma quella era diventata sottile, leggera. Troppo, per essere una mano umana. 
 
«Cosa sta succedendo?»
 
«Apri gli occhi, Lydia »
 
Lydia Martin spalancò le palpebre, stringendo con foga non più la mano del suo ex – ragazzo, ma le coperte: era stato tutto un sogno.
 
Lydia si alzò in piedi, scendendo dal letto e guardandosi intorno con difficoltà, ancora in dormi-veglia: la stanza d’albergo era buia, silenziosa e apparentemente vuota, finchè la ragazza non si rese conto che dall’angolo davanti, un paio di occhi azzurro cielo la stavano fissavano insistentemente nell’ombra.
 
Un passo silenzioso si mosse, e il cuore della rossa cominciò a battere più veloce.
 
I brividi solcarono tutto il corpo di Lydia, che si stava imponendo di smettere di tremare, di provare a respirare, perche ne era in grado, lo sapeva, nonostante la figura che le si era parata davanti, che teoricamente doveva trovarsi a migliaia di chilometri di distanza.
 
L’essere era ora visibile: Jackson Whittemore alzò una mano, posando un dito sulle proprie labbra.
 
«Non urlare, Lydia. Fai silenzio»
 
Lydia annuì, mentre lacrime calde le solcavano il volto.
Cosa faceva lì Jackson? Perché stava davanti a lei completamente nudo, i muscoli che guizzavano su tutto il corpo?
 
«C- cosa?»
 
«Shh, non parlare Lydia»
 
Jackson non emetteva alcun suono, le labbra erano sigillate: l’unico gesto del ragazzo era quello di guardarla con insistenza.
Lei poteva intuire le parole del ragazzo, perche lo stava fissando intensamente negli occhi: sembrava stesse avvenendo tra loro una sorta di telepatia.
 
«Tu mi hai dimenticato, Lydia. Tu hai dimenticato tutto quello che c’è stato tra noi»
 
«No, no, no Jackson, no, cosa ti salta in mente?» sussurrò lei, allungando una mano per posarla sulla spalla del ragazzo.
La spavalderia tipica della Martin si era dissolta, lasciando spazio ad una paura sorda, silenziosa e sempre più paralizzante.
La sensazione si alternava a delle scariche di adrenalina e…. sentimento?
 
«Si, Lydia, mi hai rimosso dalla tua vita. Perché Lydia? Perché?»
 
Jackson iniziò a piangere, allungando a sua volta la mano per cingere la vita della rossa.
 
«No Jackson, non ti ho rimosso dalla mia vita, hai idea di quello che hai appena detto? Io ho passato mesi a provare a dimenticarti, senza riuscirci. Jackson, cazzo, io ti amo, Jackson, io ti amo, ti amerò sempre e nulla potrà farmi cambiare idea, nulla» si lasciò sfuggire Lydia, sospirando.
 
Eccola, la tremenda verità, quella che la perseguitava da un anno intero, che aveva tentato di chiudere tra le pagine di un diario riposto in cantina.
 
Lei non avrebbe mai amato Aiden come Jackson, e lo sapeva bene. Il sentimento che provava per il biondino arrogante e deluso era difficile da far passare.
 
«Tu hai Aiden, e io potrei essere morto, per te, potrei essere caduto dal Big Ben e a te non importerebbe niente»
 
Un altro brivido solcò la schiena della giovane, che continuava a sentire il carillon martellante nella sua testa. Fu quello il momento nel quale posò le sue labbra su quelle del ragazzo, finalmente in pace con se stessa. Doveva far capire a Jackson che lei non stava mentendo.
 
Era stata forte la sorpresa di trovarlo lì accanto, questo Jackson doveva capirlo, prima che commettesse qualche sciocchezza.
 
«Ti amo, Jackson, te l’ho appena detto» confessò lei, sicura.
 
«Non è vero, sei una piccola, fulva, perfetta bugiarda, lo sei sempre stata e non cambierai mai » urlò il ragazzo, posando particolare enfasi sull’ultima parola.
Le dita sottili del ragazzo divennero artigli, e gli occhi cambiarono colore. Qualcosa era mutato, l’atmosfera era diventata improvvisamente inquietante, nonostante la dichiarazione sincera. La pelle del giovane si era inscurita e dure squame erano appena apparse. 
 
«No, Jackson fermati, che ti salta in mente?»  
 
«Fa male, fa male Lydia. Non lo senti? Non lo avverti?»
 
Jackson sorrise, e poi rise, sguaiatamente.
 
«Fa male, Lydia, fa male»
 
Gli artigli percorsero tutto il corpo della Martin, lentamente, tracciandolo con forza, premendo con violenza.
 
La ragazza non si mosse: non poteva urlare, non voleva svegliare Allison, ma non poteva evitare di sentire il calore del sangue che colava dal suo petto, con lente e scure gocce.
 
«Ecco il sangue, Lydia. Non provi dolore a sentirlo scorrere sulla tua pelle e non dentro di te? Stai piangendo?»
 
Jackson fissò malignamente la ragazza, con occhi folli come i suoi discorsi,  prima di avventarsi su di lei, posando una mano sul suo basso ventre e chiudendo a pugno lentamente gli artigli.
 
«Ecco il dolore. Brucia. Lo so, Lydia. E’ quello che ho sempre provato, in tutta la mia vita, e che nessuno ha mai capito. Tu dicevi di amarmi e mi hai tradito troppe volte con troppe persone. Mi ero fidato di te, Lydia. MI ERO FIDATO DI TE! Tu non mi ami, mi hai solo preso in giro, e io ora ti odio, ma te la sei cercata»
 
Jackson infilò gli artigli ancora più in profondità: il sangue colava lungo le sue gambe, così vicine a quelle di Lydia, che non respirava più, dal dolore lancinante che l’altro le provocava.
Sembrava le volesse strappar via le viscere, era troppo da sopportare. 
 
La ragazza non emise più alcun suono, troppo sconvolta per dire solo “a”.
Non c’era via d’uscita, il caldo del bassoventre si era espanso su tutto il corpo, e il sangue non smetteva di colare, sporcandole le gambe, il corpo, l’animo.
 
Lydia rimase immobile, una fredda sensazione di inutilità le era penetrata nelle viscere, e il suo respiro rallentava, quasi aveva paura di farsi sentire dal mostro accanto a lei, mostro che una volta era soltanto il ragazzo che le aveva fatto perdere la testa.
 
Non più.
 
L’ultima goccia di auto difesa svanì, e la ragazza si ritrovò ad implorare l’altro perché la smettesse di farla soffrire così.
Avrebbe preferito che Jackson la uccidesse, piuttosto che lasciarla in quella terribile agonia.
 
«Basta, Jackson, ti prego, basta, basta ,basta, BASTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!»
 
 
 
«Lydia, dio fermati, Lydia, smettila di agitarti, ma che diamine è successo?»
 
La rossa aprì gli occhi, sentendo il proprio corpo stranamente bagnato. Si toccò una guancia, umida e appiccicosa: aveva pianto, era sudata e qualcosa le colava lungo le gambe.
 
La voce che ascoltava non era più maschile e aggressiva, ma di una ragazza spaventata.
Questo fu l’elemento che la riportò alla realtà.
 
La luce della lampada illuminò la stanza in maniera soffusa: Lydia si voltò inquieta, guardando l’angolo ora vuoto, dove prima era comparso Jackson.
«Lydia smettila di singhiozzare, va tutto bene, non c’è nulla, davvero, sta calma!» Allison la teneva stretta tra le braccia, perché lei non smetteva di tremare. L’incubo era stato troppo difficile da sopportare.
Vedere Jackson trasformarsi in Kanima l’aveva terrorizzata; non aveva nemmeno il coraggio di raccontare ad Allison cosa le era appena accaduto, lo spavento era stato davvero forte.
 
Il basso ventre le faceva ancora troppo male, e scoprendo le lenzuola, per respirare, la ragazza notò qualcosa di scuro, contro il bianco immacolato del cotone.
 
Sangue.
 
Lydia sgranò gli occhi spaventata, prima che il cuore mancasse un battito, e il suo grido trattenuto esplose, diffondendosi per tutta la stanza e non solo. Non riusciva a fare a meno di urlare e nemmeno l’arrivo di Isaac e Danny, impressionati dalle grida, che le tenevano la mano e tentavano di consolarla, servì a qualcosa. Non riusciva a sentire le loro voci.
 
«Che ha, che succede? Non capisco!» disse Isaac, spaventato, stringendo forte la mano della Martin.
 
«Isaac non va bene, quando urla così è sintomo di qualcosa di tragico!» rispose Allison, altrettanto sconvolta.
 
Lydia gridò ancora più forte, senza riuscire a smettere, voltandosi verso la tenda ora semi aperta, che le  mostrava tante piccole figure scure, che si avvicinavano lente e spaventose verso l’hotel.
 
L’urlo della ragazza sovrastò il colpo duro e deciso di una pistola, con la strada sottostante frammentata da altri strilli, sempre più poderosi.
 
Le figure avvolte dall’ombra, dal canto loro, rimasero nascoste per un po’, finchè non decisero di mostrarsi alla folla, ignara di che cosa stesse accadendo.
La più alta portava lunghi orecchini d’argento, che terminavano con un piccolo frammento di onice, e aveva capelli crespi e color grano secco.
Il cespuglio sul quale si appoggiò, da verde e rigoglioso che era, divenne inaridito e nero come la notte: la secchezza durò un battito di ciglia, perché la pianta si gonfiò improvvisamente, tornando rigogliosa e piena di fiori rosa.
 
In lontananza, nel frattempo, la sirena di un’ambulanza cominciò a farsi sentire, sempre più fastidiosa.
 
La Banshee nell’albergo non aveva ancora smesso di urlare: il pericolo era ormai imminente.  

Labyrinth (ITA)  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora