Nahual (Part 2)

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Il gruppo, leggermente più sereno, si allontanò dalla stanza 708 tirando un mezzo sospiro di sollievo. La prossima tappa era la sala da pranzo, con Derek che decise però di dirigersi prima da Cora.

«Aspettatemi giù… arrivo subito, voglio solo verificare se anche a mia sorella è successo tutto questo casino, lei in più è da sola»

«Va bene. Ti tengo il posto a tavola…» sorrise Stiles, imbarazzato.

«Uhm.. grazie» L’Hale corse via, lasciando gli amici appena davanti all’ascensore, con uno sguardo divertito e il volto più rosso del solito.

Derek fece velocemente una rampa di scale, prima di aprire la porta di fretta: «Cora, non puoi sapere che cosa ci è capitato, non riusciamo mai a stare tranquill- ehi? Cora?»

La stanza 604 era deserta, sembrava quasi che nessuno ci avesse dormito, dato che il letto non aveva una grinza.

«Cora? Cora dove ti sei cacciata?»

……………………………….

Un lungo, lento sospiro si mescolò alla moltitudine di rumori che provenivano dalla sala da pranzo, venendone completamente risucchiato.
Era naturale che il ridacchiare delle famiglie allegre, i sussurri delle coppiette innamorate o il ticchettio della tastiera prodotto dal pc di uomini di affari, per non parlare del tintinnio di bicchieri, piatti e posate, avesse permesso a quell’esalazione inutile di passare completamente inosservata, sovrastandola con frenesia famigliare e concentrazione pressante dettata dal lavoro.

Cora sotterrò il volto tra le mani, scuotendo la testa.
Era la prima volta in vita sua che lasciava il piatto pieno di ciambelle davanti a sé, senza nemmeno provare ad addentarle. Ed era la prima volta che provava una martellante morsa allo stomaco, come se durante la notte avesse ingerito soltanto spine.

La notte.

Che cosa aveva combinato? Nemmeno lei lo sapeva, o aveva la minima idea di quello che era accaduto quando la luna piena dominava il cielo con il suo chiarore.
Era uscita e si era messa a correre per i boschi? Non c’erano altre spiegazioni, altrimenti, per quel terriccio che aveva dovuto pulire addirittura da dentro il letto.
La sensazione di stordimento aumentò senza sosta, facendole quasi avere un mancamento.
La ragazza dovette respirare sommessamente per riprendersi.

Ripensò in un lampo alle luci della notte priva di umidità, al rumore delle discoteche che continuavano a suonare, e lei, lei che correva senza sosta, con le zanne in bella vista e gli occhi giallo brillante .... ma forse… tutto quello che stava ricordando era solo un sogno? Non capiva, eppure era stato tutto così vivido…
Aveva scelto un tavolino isolato, Cora, perché non se l’era sentita di stare con gli altri, soprattutto con Ethan, perché le ricordava troppo… lui.

«Dio, da quando mi comporto come una tredicenne alla prima cotta? Per favore, sono una Hale, e non devo farmi prendere in giro da sogni o allucinazioni o ancora peggio ragazzi palestrati»

Il suo cervello giocava col lei, la prendeva in giro mandandole immagini di Aiden e Lydia che si amavano, sussurrandosi parole sporche di nascosto, in una stanza di ospedale.
Il solo pensiero le provocò un intenso bruciore all’altezza del petto, e quasi rischiò di mostrare a tutti, gli artigli dalla rabbia.

«Ma io lo odiavo. Lo odiavo, mi ha quasi uccisa… come faccio a sentirmi così, adesso, pensando a lui?» si chiese, facendo quasi fatica a respirare.
Era in panico, non era possibile provare dei sentimenti del genere per una persona che non l’aveva mai completamente considerata fino a qualche giorno prima…

Lei sapeva che era colpa del peyote, quel fiore che là fuori sembrava essersi triplicato in una notte, che amplificava le sue sensazioni e le faceva quasi esplodere nel suo cuore, ma non poteva farci nulla.

Perché non si era innamorata di Stiles? Sarebbe stato più semplice… in fondo loro due, qualche tempo prima, erano stati davvero vicini.
Il problema grosso, con lo Stilinski, era che gli aveva sempre visto quella luce speciale negli occhi, solo quando li incrociava con quelli di Derek. Non sembrava esistere nessun altro, per lui, e poi, seriamente, lei stessa si sarebbe presa in giro: voleva bene a Stiles, ma probabilmente non così tanto da renderlo più di un amico, e forse, in fondo, non aveva nemmeno voglia di ritenerlo diversamente.

Con Aiden invece era stato tutto diverso: era stata una scossa, da quel giorno negli spogliatoi dello stadio Azteca, da quando lui aveva palesemente flirtato con lei.

«E solo il peyote, Cora, smettila, basta farti del male…»

Ma non riusciva.

Era divisa tra la voglia di correre verso l’ospedale e parlare con Aiden per confidarsi con lui, e la paura per quello che era probabilmente successo la notte precendente.

La voce di Lydia all’entrata della sala le fece raggelare il sangue.

«Si, ho urlato. C’è stato un omicidio, e da quanto ha detto Finstock, la ragazza è stata trovata nel centro città, con delle ferite da animale: caviglia macchiata di sangue e gola trafitta da zanne. Sappiamo tutti che questo è il tipico modo nel quale uccidono i lupi»

«Quindi qualcuno di noi…» ribattè Scott, spaventato.

«»Si, Scott…qualcuno di voi mannari ha ucciso. E’ veramente un disastro, fortuna che la luna piena è appena passata…»

Cora aveva tutta la voglia del mondo di prendere e scappare da lì, tornare a Beacon Hills e chiudersi nel loft, senza far entrare nessuno.
Poteva essere stata lei davvero ad uccidere: in fondo in camera era da sola, senza nessuno che la potesse controllare.

«Beh, la terra era certamente un allucinazione Lydia! E’ praticamente scomparsa dopo qualche minuto»

«E se fosse stato un avvertimento Scott? Come se il fiore avesse voluto avvisarvi che qualcuno tra voi aveva combinato qualcosa di strano?»

«Ma i fiori non pensano, Lydia. E’ quella Yvita che lo controlla, te lo sei dimenticato?»

«Cora?»

Derek interruppe la discussione tra Scott e Lydia, puntando gli occhi verso la sorella, poco lontana da loro, e non così nascosta come pensava di essere.

Cora venne presa dal panico. Era sicuramente certa di puzzare di sangue. Era stata lei ad uccidere quella donna. Non ne era sicurissima, eppure aveva già provato quella sensazione, durante il periodo della cattività con Boyd nella banca: il presentimento di aver causato infinito dolore a qualcuno, senza in effetti saperlo con chiarezza.

«No, Derek.. non.. lasciami andare di sopra»

La ragazza si alzò, anticipando il fratello, che le stava andando incontro.
Un pensiero ottimista, il primo da quella mattina, le attraversò il cervello: se lei fosse rimasta con Derek e le altre, sarebbe stata sicuramente controllata, e magari non avrebbe torto un capello a nessuno, o non avrebbe provato l’impulso di uccidere.

Cora si voltò verso Derek, anticipando le sue lamentele: «Ascolta… non ho molta fame, vado di sopra a sistemare le ultime cose e poi vi raggiungo quando andrete in giro per la città. A proposito, come pensiamo di contrastare il peyote? Non vorrei esserne succube, e poi magari sbranare qualcuno per caso»buttò lì, tentando di ridacchiare quando in realtà stava morendo dentro.

«Siamo giunti alla conclusione che contro il peyote, in attesa di altro, ci può aiutare solo autostima e grossa forza mentale. Ci vediamo dopo allora» borbottò Derek, poco convinto dalle parole della sorella.

Cora si diresse verso l’ascensore, sorridendo amaramente, senza degnare il resto del gruppo di uno sguardo.

Forza mentale? Lei? In quel momento? Chi voleva prendere in giro!

La ragazza si buttò sul letto, stringendo forte le coperte: non riusciva a togliersi dalla testa il terriccio e la paura di aver perso il controllo.
Senza contare il dolore sordo vicino al cuore, quello che mai si sarebbe sognata di provare, soprattutto per Aiden, che sapeva mai l’avrebbe considerata più di un’amica.

La ragazza prese un grosso respiro, alzandosi e sistemando il marsupio che indossava quando usciva, sperando che quella giornata trascorresse in fretta.

Labyrinth (ITA)  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora