My shadow, your feelings (part 8)

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Gli altoparlanti, disseminati in tutti gli angoli dello stadio Azteca, stavano mostrando alla città scettica, che la tipica frenesia da discoteca non era solo materia di luoghi chiusi, sotterranei, generalmente illuminati da luci al neon e pieni zeppi di ragazzi sudati e storditi.
La musica proveniente dalle casse, infatti, aveva trasformato l’enorme struttura, occupata in quel momento da circa 20.000 persone, in una gigantesca discoteca all’aperto, con il divertimento ampliato dal tipico modo di fare messicano, ovvero “caliente” ed espansivo.
 
Il pubblico, che riempiva buona parte degli spalti, sventolava, sotto un cielo color zaffiro, a volte attraversato da nuvole così bianche che sembravano spruzzate di panna, chi bandiere rosse e bianche, a simboleggiare la squadra di Beacon, chi invece gagliardetti arancioni e neri che inneggiavano ai Denver Outlaws.
 
Nessuno riusciva a stare seduto, mentre ascoltava il suono dei sintetizzatori e dei bassi.
 
Migliaia di mani, di braccia, di corpi sugli spalti ondeggiavano perfettamente, rendendo quasi vivo il movimento della musica, mentre una decina di ragazze, in tenute succinte e con tra le mani dei pon pon colorati, eseguivano coreografie spettacolari, e sensuali, saltellando e volteggiando da una parte all’altra del campo. 
L’odore intenso di fritto, salsicce e salse piccanti, proveniente dal bar vicino agli spogliatoi, dava quasi  l’idea che si stesse attuando una grigliata tra amici di proporzioni gigantesche.
 
Dalla stanza, infatti, uscivano quintali di cibi che venivano puntualmente rovesciati, dai più sbadati, sulle poltroncine rosse, nere e gialle, di plastica dello stadio, le quali si trovavano ironicamente decorate da macchie che emanavano i più svariati odori.
 
I più attenti, per fortuna, trangugiavano i panini come persone civili, senza nemmeno sbrodolarsi.
 
La tensione si faceva sempre più pesante: il risultato della partita che stava per svolgersi era basilare per il proseguimento del torneo. La squadra vincente si sarebbe qualificata direttamente ai quarti di finale, e compiendo  un passo fondamentale per il percorso che portava alla coppa.
 
Le zone più in fermento dell’intero stadio, però, erano sia le tribune, dove stavano le riserve delle squadre o i compagni di classe, nel caso di Beacon, che gli spogliatoi, dove le squadre stesse si riunivano per preparare i loro “piani di battaglia”.
 
Il passaggio che collegava queste stanze, dedicate ai giocatori, con lo stadio, sembrava quasi il fondo di una piscina, oppure uno di quegli scivoli che vengono installati nei parchi acquatici: era infatti largo e colorato di un vivace verde acqua.
Doveva essere attraversato completamente, per entrare negli spogliatoi, per poi poter raggiungere una gigantesca entrata, preludio al corridoio stretto dei camerini.
Quest’ultimo era decisamente simile al cunicolo di una grotta, nonostante l’illuminazione fornita da luci potenti, che penzolavano in fila indiana sopra la testa di chi lo attraversava.
 
Era qui che Cora si era fermata per osservare le solite figure mitologiche, che si sovrapponevano con le gigantografie dei membri storici della squadra di calcio dell’ America.
Erano loro, infatti, a decorare le pareti, che illuminate dalle luci, regalavano uno strano riflesso bluastro all’intero corridoio.
Cora lo attraversò senza parlare, ascoltando la musica spacca timpani dello stadio con un orecchio, mentre con l’altro tentava di captare qualche discorso dei ragazzi.
 
Un cartello bianco, montato sopra la sua testa, recitava “Local Estelar”: gli spogliatoi, quindi, si sarebbero dovuti trovare lì vicino.
 
Cora girò a destra, trovandosi in un’enorme stanza, dalla quale provenivano tanti tipi di odori di deodoranti maschili, che le provocarono vari pizzicori al naso.
Che senso aveva profumarsi prima di una partita, dato che sarebbero finiti tutti doppiamente puzzolenti?
 
La luce della camera proveniva sia da lampade al neon, poste ai lati di mini cabine di legno che avevano degli inquietanti divisori a sbarre, che da barre luminose sul soffitto.
 
La ragazza si avvicinò al primo sulla destra, e notò un piccolo cassetto in legno, con una maniglietta in plastica grigia, che si trovava sopra alla cabina.
Dietro ad essa, nella quale era presente uno sgabello, sempre dello stesso materiale naturale, si potevano “ammirare” i volti dei giocatori dell’America, sorridenti e accecanti, con tutte quelle luci.
Ognuno di loro aveva il nome e il numero di maglia accanto alla foto. 
 
Il pavimento era piastrellato di nero, con al centro un enorme adesivo che raffigurava il simbolo della squadra: su sfondo giallo, si notava un disegno che rimandava all’intero continente americano, anch’esso color ebano, con dei simboli rossi accanto.
 
Cora non aveva mai visto uno spogliatoio del genere, futuristico e classico allo stesso tempo.
 
«Ehi che sorpresa!» Stiles, abbastanza nervoso, ma sghignazzante, si avvicinò all’amica, già vestito di tutto punto, senza però aver indossato ancora il casco.
 
La Hale sorrise: «Sono venuta ad augurarti buona fortuna. Questa è la tua prima partita titolare in un torneo, e beh, ho pensato che un po’ di supporto morale ti avrebbe fatto bene»
 
Il sorriso di Stiles si ingigantì, e il ragazzo si protese ad abbracciare l’amica, che ricambiò la stretta.
 
«Grazie Cora. Sono terribilmente agitato, spero di non combinare guai, ho una paura maledetta di sbagliare qualche passaggio, e di far perdere la partita alla squadra»
 
«Stiles non iniziare con tutti questi dubbi. Devi essere ottimista amico, vedrai che andrà tutto bene. Tu gioca come hai fatto stamattina, e sarai grande»
 
Gli incoraggiamenti di Cora regalarono al ragazzo lo stesso effetto di un tonico. Stiles alzò il pugno in aria con decisione.
 
«Grazie. Cercherò di star calmo e soprattutto rimanere concentrato, si»
Lo Stilinski si voltò, decidendo di allontanarsi, quando pensò che aveva bisogno di risolvere ancora una questione con la Hale.
 
«Ascolta Cora, hai mica visto tuo fratello da qualche parte? Non so, sugli spalti, all’entrata dello stadio, vicino al bar. Gli avevo mandato un messaggio stamattina, ma non mi ha ancora risposto» chiese, tamburellando le dita nervosamente contro il braccio. 
 
La ragazza rispose alle parole dell’amico con uno sguardo incredulo ed una risatina: «Stiles, nemmeno io lo vedo da stamattina, ho provato a chiamarlo un paio di volte e non ha risposto neanche a me. Non dirmi che stavi aspettando un “buona fortuna” da parte sua, perché lui non è abituato ad incoraggiare le persone. Dopo tutto quello che ha passato, mio fratello è diventato emozionalmente  stitico: io ti avviso, non aspettarti mai nulla da lui, che sia prettamente romantico. Rimarresti solo deluso»
 
Il sorriso di Stiles svanì, sostituendosi ad una sottile rabbia, mista ad amarezza.
«Si, ok. Ho capito che tipo è tuo fratello, non mi aspetto più niente da lui.
Però, a volte, vorrei smettere di pensare così tanto a lui, ma mi è dannatamente impossibile. Derek è così insensibile nei miei confronti, lo vorrei odiare, ma c’è sempre qualcosa che me lo impedisce. E se un giorno ci capita di andare d’accordo, il giorno dopo non ci rivolgiamo nemmeno la parola, io non so più come comportarmi con lui»
 
Cora capì che questo era un momento importante per Stiles, dato che non capitava così spesso che si sfogasse apertamente, parlando dei suoi sentimenti.
La ragazza, per questo, decise di rallegrare l’amico, prima di uscire dagli spogliatoi.
 
«Ascolta, c’è una cosa che tu non sai, riguardo la festa di ieri sera. Mentre eri mezzo ubriaco, anzi, ubriaco fradicio, Lydia ti ha fatto ballare con Derek in mezzo alla stanza, poi vi ha scaraventato entrambi sul letto»  
 
Lo sguardo di Stiles passò da curioso ad atterrito.
Cora non lo stava prendendo in giro, vero? Allora, voleva dire che quei momenti che credeva fossero stati solo sogni, erano tutti avvenimenti reali?
Derek l’aveva preso in braccio, trasportandolo nella sua stanza? Stiles si sedette nella cabina dalla sorpresa, emettendo uno squittio di giubilo. 
 
«Vuoi dire che le immagini sfocate nel mio cervello non me le ha regalate un cocktail di alcol e ormoni, ma sono maledettamente vere?» chiese, agitato.
 
Cora cercò il cellulare nella tasca, estraendolo, con difficoltà, per mostrargli un immagine.
 
«Guarda qui, e giudica tu stesso»
 
Un secondo dopo Stiles vide una foto che raffigurava sé stesso sopra Derek, entrambi profondamente addormentati, mentre si tenevano per mano. Le pupille del ragazzo si allargarono vistosamente, e sentì come il calore nel petto si stesse espandendo. Era successo davvero, non si era immaginato niente.
La rivelazione lo fece sorridere, un gesto che era partito dal cuore, che sentiva gonfio di troppe sensazioni sorprendenti. 
 
«Derek si comporta da burbero quando è confuso, e credimi, tu lo confondi, e non poco, soprattutto ultimamente. Per questo non mostra quasi mai quello che prova, perché ne è spaventato. E poi, se devo essere sincera,  sia io che lui sappiamo che sei entrato in camera nostra stamattina, dato che il tuo odore si riconosce anche a centinaia di chilometri di distanza da qui.
Non so perché sei arrivato di soppiatto, svegliandomi,  e non lo voglio sapere, perché sono cose che so per certo riguardino solo te e Derek» Cora si interruppe per un breve secondo, dando il tempo a Stiles di metabolizzare le sue parole, poi riprese.
 
«Quello che ho capito, in tutta questa storia, o meglio, Lydia me l’ha fatto capire, è che c’è qualcosa che vi lega. Non credo sia tangibile, è più una sensazione, ma è maledettamente forte.
E’ come se tu e mio fratello foste nati per essere uniti, nel vero senso del termine, non lo dico per compiacerti. E questo è il motivo per il quale tu tieni così tanto a lui. Hai probabilmente avvertito da sempre questa unione particolare, ma nessuno di voi l’ha mai palesata, fino ad ora, almeno»
 
La ragazza sospirò. Stiles era rimasto fermo immobile a fissarla, quasi incredulo.
 
«Io però non so come comportarmi con lui!» Era la seconda volta in una settimana  che riceveva consigli sull’atteggiamento che doveva assumere con Derek: quel ragazzo lo mandava davvero in confusione.
 
«Ok, prova così: semplicemente sii cauto, molto cauto. Comportati come fai di solito, ma cerca di essere più controllato davanti a lui. Una volta che ti assicuri la sua fiducia al cento per cento, e credimi, e una cosa che sta per accadere, tu e Derek non vi separerete più»
 
«M-ma se lui non provasse lo stesso per me? Non è bisessuale, non gli interessano gli uomini, come può ricambiarmi?»
Cora sbuffò: quel ragazzo era davvero testardo.
 
«Bisessuale o no, non importa. Stiles, l’amore, l’affetto, non hanno confini. Ti ho detto che devi guadagnarti tutta la sua fiducia. Sei circa a tre quarti, per adesso, e già, nonostante questo, lui ha permesso che voi due dormiste praticamente uno sopra l’altro. Ti ricordo che ieri sera era lucidissimo, quindi era consapevole dei suoi gesti. Stiles, credimi. Tu controllati un po’ quando sei con lui, non straparlare come fai di solito, ma per il resto sii te stesso. Lui ha già avvertito questo legame, e prima o poi lo paleserà, e se non dovesse farlo, lo aiuterò io…» decretò la ragazza, prendendo tra le proprie mani quelle di uno Stilinski decisamente più sollevato.
 
Avere Cora e Lydia dalla sua parte significava triplicare le possibilità di vivere un amore ricambiato, per la prima volta nella sua vita.
A Derek non interessavano uomini, per quanto ne sapeva Stiles, ma se quello che aveva affermato Cora era vero, ovvero che Derek fosse tutto sommato legato in qualche modo allo Stilinski, allora la prospettiva cambiava, e di tanto. 
 
Stiles non riuscì a non abbracciare di nuovo la ragazza. Quelle parole gli avevano dato una carica indescrivibile. «Grazie, sei la migliore amica che un ragazzo possa chiedere, Cora davvero!».
 
«Si, ed è anche una donna, quindi vuol dire che nello spogliatoio dei maschi non dovrebbe entrare»
Una voce acida interruppe la loro conversazione: Aiden, con indosso solo i pantaloni della tuta, si avvicinò ai due ragazzi.
I muscoli scolpiti del lupo erano delineati perfettamente, e la pelle ambrata quasi brillava, con il riflesso del neon. Cora non potè evitare di squadrare attentamente quel corpo statuario, appartenente ad un ragazzo che si era resa conto di odiare sempre di meno. Il cuore iniziò a batterle più velocemente nel petto, ma lei ignorò la sensazione, attribuendola ad una fretta insensata.
 
«Me ne stavo andando, per tua informazione, mister simpatia. Comunque Stiles, vedi di giocare e vincere, è importante. Buona fortuna anche a te, Aiden, anche se non la meriti»
L’Alpha colse le parole di stizza, ma fece finta di ignorarle, sorridendo leggermente, in direzione della ragazza che si stava allontanando. 
 
«Grazie per le parole dolci, Cora. Sei così gentile, che per ricambiare potrei anche dedicarti uno degli innumerevoli gol che segnerò»
 
La Hale si voltò di nuovo, e, sotto lo sguardo stupito di Stiles, rispose divertita e infastidita allo stesso tempo: «Non c’è bisogno, davvero. E poi chi te l’assicura che segnerai? Non è scritto da nessuna parte!»
 
«Tu non preoccuparti e fai il tifo» ridacchiò lui, che ridusse repentinamente lo spazio tra loro ad una decina di centimetri, osservandole maliziosamente il volto.
 
Cora si allontanò rapidamente da Aiden, lanciando un ultima occhiata ad entrambi i due ragazzi, prima di uscire dagli spogliatoi, tentando di nascondere la leggera risatina che le traspariva sul volto.
Si sentiva confusa e stranamente su di giri: non capiva perché avere Aiden attorno le facesse così tanto piacere.
“Stanno perdendo tutti la testa, ultimamente. Questo è il mio turno” pensò la Hale, raggiungendo le tribune per sedersi vicino ad Allison, Kira e Lydia.
 
L’unico problema era che la rossa non c’era.

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