Dream Blood and Tequila (Part 2)

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Parte due all' istante! È il mio compleanno, e vi regalo un capitolo nuovo 😊😊

 
Il ragazzo scese giù dal letto, ancora decisamente confuso, annusando la stanza piena dell’odore del suo sperma, così come le sue dita, ancora sporche.
 
Che cosa aveva combinato? Per di più non era nemmeno in camera sua, nel loft.
I flash della sera precedente gli tornarono in mente: il terremoto, la camera 709, Stiles rannicchiato, il calore vero dei loro corpi, che al solo ripensarci lo stava mandando su di giri.
 
Il ragazzo chiuse gli occhi, cercando di resettare il cervello e calmarsi, perché tutta la situazione non aveva senso: respirando sommessamente, Derek decise che forse era meglio farsi una doccia, dato che il suo basso ventre era decisamente appiccicoso e ancora duro; in più l’acqua fredda gli avrebbe sbrinato definitivamente il cervello.
Il ragazzo si tolse i boxer ed entrò nella doccia, puntando il rubinetto verso l’indicatore blu, quello dell’ acqua gelata, che eruppe istantaneamente e poco gentilmente dal soffione. Derek quasi urlò quando milioni di fredde goccioline iniziarono a scorrere su di lui.
 
Ancora era incredulo, per quello che aveva provato. Aveva avuto il suo primo sogno erotico in una camera d’albergo? Il soggetto di quel fottutissimo sogno era stato niente meno che Stiles?
 
Cosa si era fumato la sera precedente? Era impossibile che quelli fossero i desideri del suo inconscio, e no, non poteva permettersi di ammettere che i baci di Stiles erano stati eccitanti. Era un’idea assurda. 
 
Il ragazzo, sistematosi nell’angolino lontano dagli schizzi, prese la boccetta del bagnoschiuma accanto a lui, versandola tutta sulla spugna scura che si era portato da casa. Iniziò a passare l’oggetto su tutto il corpo, cercando di non immedesimare la spugna nelle dita lunghe di Stiles.
 
L’acqua scorreva lungo tutto il suo corpo, fredda e pungente. Derek tremava, ma non gli interessava.
 
«Sono fuori di testa, sono decisamente fuori di testa…» si rimproverò.
 
Dopo il corpo, ora più profumato, toccò ai capelli: lo shampoo aveva fatto tanta schiuma, che ora cadeva lenta e sinuosa sul corpo scolpito dell’Alpha.
Il terremoto della sera prima doveva avergli scosso il cervello, responsabile soprattutto dell’abbraccio che aveva dato a quell’inutile ragazzo, che spesse volte aveva chiamato  “idiota”
 
Stiles Stilinski.
 
Derek non poteva non ammettere, però di essere entrato nel panico, vedendo il ragazzo accovacciato inerme vicino al letto, esposto e sensibile come mai prima d’ora.
 
Stiles era quello coraggioso, lo era stato.
 
E ora, ora era quello distrutto, insicuro, vulnerabile. E Derek era colui che lo proteggeva.
 
La situazione era assurda. Non poteva pensare che il proteggere Stiles significasse sognarlo in maniera erotica.
 
C’era un mondo di differenza tra le due cose, poteva anche accettare la prima, ma la seconda era folle.  
 
Derek chiuse il rubinetto, con l’acqua talmente fredda da non permettere nemmeno la formazione del solito vapore, e rendendosi conto che lo scopo primario della sua doccia mattutina non era servito a niente, dato che il sangue continuava a fluire all’inguine.
 
La questione  era diventata esagerata e preoccupante.
 
Il ragazzo si asciugò in fretta, tornando il camera e aprendo le tende: un sole accecante lo accolse, tanto che dovette coprirsi gli occhi con la mano.
 
Derek, dopo aver recuperato dal cassetto un altro paio di boxer e aver notato che il suo membro era ancora fieramente stabile contro il suo stomaco, si buttò sul letto, fissando il soffitto e cercando di pensare a qualcosa di alternativo, magari di triste, come il cadavere della sorella Laura, oppure la sua rottura con Jennifer, l’ultima fidanzata che aveva avuto, colei che un anno prima aveva tenuto in ostaggio Melissa Mc Call, Chris Argent e lo sceriffo St- .
 
«Lo sceriffo e basta!» si ritrovò ad esclamare Derek, dichiarandosi dopo un secondo ufficialmente fuori di testa. Non era difficile pronunciare il nome dello sceriffo, no? Era St-…Stilin...
 
«No, non riesco…» Derek tirò un pugno contro le lenzuola, affranto.
 
«Pensa a Jennifer, pensa a Laura, pensa a tutte le catastrofi che accadono tutti i giorni, anche quelle qui a Città del Messico » si disse, perché il membro era ancora dritto, quasi a prenderlo in giro.
 
Doveva pensare a qualsiasi cosa, che non fosse il sogno, ancora nitido nel suo cervello.
 
«Ok, rifacciamolo: Jennifer, catastrofe, Laura, Jennifer, Stil- NO, morte, Laura, delusione. Jennifer...»  Derek iniziò a ripetere il mantra sottovoce, quasi come una cantilena, cercando di sforzarsi e ricordare esattamente le sensazioni che aveva provato quando aveva visto il corpo di Laura Hale tagliato a metà, oppure la delusione che a volte ancora sentiva per aver permesso che Jennifer Blake entrasse nella sua vita….
 
Si, pensare ad entrambe le cose stava avendo l’effetto sperato: il suo membro aveva finalmente ceduto.
 
Il ragazzo sospirò sollevato. Finalmente qualcosa di positivo era venuto fuori da quella giornata senza senso.
 
La quiete mentale che Derek aveva ritrovato fu interrotta però da un rumore lieve, ma ripetuto: qualcuno bussò alla porta, prima di aprirla leggermente.
 
Derek sobbalzò, sgranando gli occhi, e sentendo la stessa voce del sogno, che lo stava chiamando.
 
Stavolta era tutto reale.
 
«Hey, ciao, scusa se ti disturbo, ma stiamo scendendo a fare colazione, Scott pensa che potrebbe essere una buona idea se tu venissi con noi…tanto per non fare il solito asociale…che ne pensi?»
Stiles, con quella voce titubante e ormai profonda, da ragazzo maturo, stava appena all’uscio, lo sguardo puntato sulla schiena nuda di Derek, sulla quale spuntava il tatuaggio a forma di Triskele.
 
Derek non rispose, anche perché se avesse solo emesso un suono, sarebbe stato inevitabilmente un gemito. Quella mattina era iniziata decisamente in maniera strana, e stava proseguendo peggio. 
 
Era stato il terremoto, il terremoto che per qualche strano scherzo del destino lo aveva reso suscettibile a Stiles. Non c’erano spiegazioni alternative.
 
«Vuoi rispondere? Scott sta aspettando…» ripetè lui, con la voce di due toni più bassa, ora decisamente simile a quella del sogno.
 
«Vai via» borbottò Derek, infuriato col mondo, il respiro che si faceva sempre più corto e brividi che scorrevano sulla pelle.
 
«Scusa? Non ho cap...»
 
«VAI VIA!» Urlò il lupo, stavolta con voce minacciosa, senza però voltarsi in direzione dell’umano, dato che la zona boxer era tornata in evidenza.
 
Maledizione.
 
Stiles si offese, era normale che accadesse. Derek cercò di non pensare ai sensi di colpa che gli stavano divorando lo stomaco, cercò di non sentire, il freddo e distaccato «Bene», pronunciato dal ragazzo dietro di lui, cercò di tapparsi le orecchie allo sbattere violento della porta, e al pugno che Stiles le tirò, quando l’entrata ormai li separava.
 
Il ragazzo si buttò a peso morto sul letto: promemoria per la settimana? Evitare Stiles il più possibile. Non parlare con lui, non nominarlo, non pensarlo. 
Sperando solo che il ragazzo non tornasse prepotentemente nei suoi sogni, perché Derek non poteva ammettere che l’esperienza onirica che aveva appena provato, gli era piaciuta anche troppo, per i suoi standard. 
 
Una volta finalmente calmo, vestito e munito del solito sguardo truce, il ragazzo decise di scendere a colazione, cercando di nascondersi per quanto fosse possibile dal branco.
Non che potesse evitarlo tutto il giorno, dato che sua sorella ne faceva parte.
Derek entrò in ascensore, con le parole di Stiles che gli rimbombavano nelle orecchie.  “Scott vuole che vieni a fare colazione con noi…”.
 
“Scott vuole…”.
 
Più ci pensava e meno riteneva che fosse Scott quello che voleva davvero che lui facesse colazione con il resto del branco.
 
Dall’aria e dal modo decisamente impacciato, l’Hale aveva dedotto che in realtà molto probabilmente era Stiles quello che voleva lui con gli altri a colazione, forse perché gli aveva fatto piacere che durante il terremoto, lui lo avesse consolato e protetto.
Un modo come un altro per provare a trattarsi come persone civili.
 
Ecco, un altro motivo per sentire pugni di rimorso nello stomaco. Era più facile nascondere a se stessi queste sensazioni, vivere con i “forse”, i “e se”, piuttosto che combattere per ciò che si desiderava. Derek aveva sempre perso, per questo aveva smesso di lottare.
 
Ok, ma per cosa avrebbe lottato, qual era la posta in gioco, adesso? L’amicizia di Stiles? Lui cosa poteva farsene dell’amicizia di Stiles? Era un perfetto idiota, impiccione e sarcastico.
 
Essere suo amico era perfettamente inutile. Derek uscì dall’ascensore, sempre più confuso. Si era ripromesso di aiutare per quanto possibile il giovane Stilinski in qualche modo, ma questo non voleva dire sognarlo in maniera erotica.

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