Dreams, Blood and Tequila (Part 10)

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La staticità del parcheggio dello stadio Sant’Ursula, universalmente conosciuto come Estadio Atzteca, interruppe quel giorno, suo malgrado, il dinamismo esemplare di una delle metropoli più indomabili del mondo.
Città del Messico dovette assistere allo srotolarsi graduale di un vasto tappeto di alluminio brillante, composto da circa un migliaio di macchine, intente a riposare silenziose al suo interno.

Il riflesso di un sole timido, che si scrutava difficilmente tra le nuvole, dava comunque risalto all’effetto tremolante della luce sulle macchine, ricordando quello del mare distante centinaia di chilometri.
 
Solo un evento di portata continentale, tanto più di ambito sportivo, poteva bloccare la buona parte di una metropoli formata da milioni di persone, centomila delle quali stipate tutte nell'enorme stadio, festante e in trepidazione.
Se si fosse guardato dall'alto, forse, si sarebbe notato senza difficoltà l'enorme ovale che osservava il mondo stupito, quasi meravigliato. La “O” che formava la struttura dello stadio rappresentava perfettamente la sorpresa generale, creata da un’inaugurazione del torneo americano di Lacrosse, paragonabile come partecipazione, quasi ad una festa nazionale. 
Gagliardetti delle squadre, maglie e gadget venivano venduti negli stand all'interno dei tunnel che portavano allo stadio.
Gli stessi inebriati dagli odori dei piatti tipici, rappresentanti sfiziosi di ogni città partecipante.
 
I cartelli che annunciavano l’inizio della manifestazione, riuscirono addirittura a tappezzare un intera metropoli. Potevano essere visti nei posti più disparati, come i bagni dei servizi pubblici, o i negozi di giocattoli. 
 
Il tifo messicano tendeva tutto per il team di Beacon Hills, che insieme ai New York Lizards, era in campo per disputare il match inaugurale, ormai in via di conclusione.  Il pubblico aveva mostrato coreografie memorabili, e il tipico calore messicano si era diffuso come un virus: per tutta la durata della partita un lungo coro di "vamos Beacon" pronunciato alla spagnola, aveva permesso alle pareti dello stadio di vibrare.
 
Cora, Kira,Allison, Lydia e Derek, tutti seduti in tribuna ospiti, appena dietro alla panchina, non smisero una volta  di incitare i loro compagni, con l'Hale in maniera meno plateale.
 
Non che il team in campo ci avesse davvero fatto caso, visto che la concentrazione per il match ovattò tutti i suoni e mostrò loro come lo stadio, una volta che la partita era in corso di svolgimento,  si fosse trasformato in un’ accozzaglia informe di voci e colori. 

Tutti gli anni di allenamento, le gocce di sudore versate e quell’essenza proibita di soprannaturale, avevano permesso alla partita di volare via facilmente, attraverso scambi spettacolari e precisi tra i giocatori.

La forza e la velocità di Danny, Isaac, Ethan e la bravura di Scott e Aiden, sommate alla coralità di gioco avevano assicurato subito il nome della squadra che si sarebbe portata “in hotel” la vittoria.
 
Coach Finstock non poteva lamentarsi, perché i Cyclones di Beacon Hills avevano tatticamente dominato, nonostante l'evidente tensione di Scott.
 
Il ragazzo, abituato a poca pressione, non aveva beneficiato più di tanto dell’intervento dei compagni, avvertendo troppo spesso le gambe cedergli negli spogliatoi.
 
Il miracolo della respirazione controllata, un evento raro per un ragazzo abituato a soffrire d'asma, era riuscito a chiudere a chiave nei camerini quel nervosismo maledetto.
 
«Forza, forza, li stiamo stracciando, andiamo avanti così, dobbiamo stravincere!» urlò l'allenatore concentrato, accanto all'intera panchina entusiasta e in piedi. Addirittura Stiles, nonostante il muso causato dal comportamento burrascoso di Derek, riuscì a compiacersi della prestazione dei suoi compagni.
Lo Stilinski non era ancora sceso in campo, dubitando comunque di possedere qualsiasi chance.
 
«Stiles non giocherà. Gli voglio bene, ma è un giocatore scarsissimo» aveva notato Lydia, sempre abbastanza cinica nei suoi giudizi, rimbeccata però, dalla più gentile del gruppo, Allison: «Beh, dagli una possibilità, in fondo lui è comunque parte della squadra…»
 
«Ho seguito l’allenamento stamattina, e Stiles è impreciso, insicuro e impedito. Non pretenderete mica che vogliano schierarlo» sbottò Derek, che adorava punzecchiare Stiles, l’adolescente che si era insinuato nei suoi sogni con poca grazia e gli aveva scombussolato non solo la giornata, ma l'intera vita.

L'unica maniera per vendicarsi di quel tipetto impertinente era criticarlo.
 
«Comunque i nostri non sono quasi mai a terra. Hanno speso tutta la partita praticamente a volare!» notò Cora, estasiata. L’ordine del campo verde dello stadio, testimoniò perfettamente le parole della ragazza: più che scontri, si erano viste acrobazie, capriole e tiri perfetti.
 
«E per fortuna il tempo ci ha aiutati» Aggiunse Kira, ricordando il temporale e il terremoto della sera prima.
Il clima attorno dava ragione a Kira: abbastanza umido, ma tutto sommato gradevole, grazie ad un venticello leggero e benefico, che però purtroppo trascinava con sé del fastidioso polline.
 
Mancavano pochi minuti al fischio finale, quando il team di Beacon si procurò un rigore, che Isaac Lahey, incitato da Allison in particolare, si dichiarò pronto a battere. 
Isaac era stato uno dei migliori in assoluto, in coppia con Scott. I due rappresentavano l’idea dell' intesa perfetta, confermata dagli schemi provati in allenamento, tutti eccezionalmente efficaci. 
Proprio McCall si era procurato il rigore che ora vedeva Lahey protagonista, sicuro di poter segnare.

Il suono lungo e sommesso, emesso dal fischietto dell' arbitro, precedette pochi secondi di concentrazione, visibili negli occhi spalancati e color zaffiro del ragazzo: Isaac ebbe un flash delle parole di Allison, qualche giorno prima, pronunciate durante la serata al bowling. 

«Concentrati, Isaac, c'è solo la palla e la porta. Forza.» si motivò,  prima di raccogliere la sfera e lanciarla verso la rete con un movimento brusco, ma deciso. Il tiro non fu così perfetto, ma il silenzio dello stadio intero, intento a trattenere il fiato, permise di distinguere nettamente il fruscio della pallina che centrò in pieno la porta. 

L'intero stadio esplose di gioia.
 
«Bravissimo Isaac! Sapevo avresti segnato!» Allison batté le mani fiera, in direzione del ragazzo, che approfittò della marcatura per dedicargliela, indicandola semplicemente. 

Il ragazzo sorrise fiero, alzando il pollice anche in direzione di Kira, Cora e Lydia, entusiaste accanto alla Argent.
Isaac non si rese conto di aver indicato anche Derek, sorbendosi uno di quei caratteristici sguardi torvi “made in Hale” che però, non scalfirono minimamente la gioia delle ragazze a fianco, con Allison che nel frattempo mandava un altro bacio al suo fidanzato. 
 
«Isacc che dolce, dedichi la marcatura al tuo Alpha» lo prese in giro Scott. 
«Smettila McCall,  non stavo indicando lui, come ti salta in mente?» gli tirò un pugno Isaac, irritato e imbarazzato, ma anche divertito. 
 
Il punteggio recitava 15 a 3: la squadra di Beacon non poteva sperare in un debutto migliore. Il coach era in visibilio, fiero e impettito, dalla sua posizione privilegiata.
 
«Ragazzi, altri 5 minuti di gioco, dobbiamo gestire il vantaggio, possiamo farcela!» urlò Danny, da buon co-capitano, tornando nella posizione prestabilita, davanti alla difesa.
Scott annuì alle parole del compagno: approfittando di una disattenzione abbastanza banale di un avversario, Mc Call gli afferrò la pallina da sotto il naso e si avviò solitario verso un altra marcatura. 
 
Lo stadio intero era in fermento, con degli "ooh",  di incitamento, che accompagnavano caotici la  probabile cavalcata trionfale del numero undici.
 
Il ragazzo alzò lo sguardo assorto, pronto per tirare in porta, quando notò attorno a lui l'aumentare lento e graduale del polline fastidioso. Quella strana polverina giallastra si era depositata su tutta la zona del limite dell'area, e su una buona metà dello stadio: leggera, ma maledettamente e stranamente appiccicosa.
La cosa strana era che non sembrava volersi staccare da dove si depositava. L’adolescente captò le parole del coach, infastidito: «Che diamine è questa roba?》

Labyrinth (ITA)  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora