Nuovo capitolo!! Enjoy! Stay tuned 😊✌✌La classe uscì con piacere dal pullman, notando la strana forma a blocco diviso in tre parti del palazzo: le bocche dei ragazzi erano spalancate. L’hotel era davvero particolare.
«Beh, state contemplando un Hotel? Cosa volete, chiedergli una grazia? Vi conviene entrare, prima che inizi a piovere seriamente» commentò Finstock, e l’intera classe varcò la porta d’ingresso, entusiasta.
L’aria messicana, seppur umida, si fece sentire subito. Il professore dovette presentarsi alla reception, e chiedere le chiavi per i ragazzi, ma nonostante la sua pessima padronanza dello spagnolo, gli addetti si mostrarono cordiali e simpatici.
Se i ragazzi rimasero colpiti dall’esterno, l’interno fu un’altra sorpresa: la zona lounge era su un terrazzino interno, fatto di legno, con tavolini e poltrone scure all’apparenza molto comode.
Piacevoli alla vista erano anche i tavolini della zona pranzo, decorati con una tovaglia verde pastello, con attorno sedie di legno e vimini.
«Perfetto, davvero, mi piace...» esclamo Allison, guardandosi attorno, estasiata come il resto dei suoi amici.
«Ok, le chiavi per le stanze: venite qua marmocchi! Allora, la stanza 309 è per Lydia e Allison» fece solo in tempo a dire il professore, che le ragazze, trascinando rumorosamente i loro trolley, presero la chiave con forza dalle mani di Finstock e si diressero velocemente verso l’ascensore.
“Ehi ragazze, non ho finito di…”
I rimproveri di Finstock si placarono appena le porte dell’ ascensore decisero di separarle dal resto della stanza.
Le due giovani fissarono sbalordite il cubicolo: era spazioso e dorato, con l’altoparlante all’interno che suonava musica tipicamente messicana.
Le ragazze, poi percorsero il corridoio che le portava nella loro camera, eccitate, senza aver ascoltato nulla di quello che aveva da dire l’insegnante, né avendo salutato il resto del gruppo, mosse da una strana fretta.
Finalmente arrivarono davanti alla porta della camera 309: era una stanza piuttosto ordinaria, con il bagno di fronte all’entrata, e due letti abbastanza grandi, con coperte blu cobalto e un motivo a quadri di diverse tonalità di blu e bianco panna. La scrivania, sulla quale era posata un televisore di una quindicina di pollici, si trovava di fronte ai letti ed era di legno scuro, cosi come la sponda del letto. La parete era dipinta con un blu cobalto che ricordava il motivo del letto, e appeso in alto c’era un quadro che raffigurava una palude.
Le lampade bianche sopra il letto e il comodino di legno nello spazio tra i due letti completavano il tutto.
Allison e Lydia si buttarono ognuno sul proprio letto entusiaste, con la prima stesa e rilassata.
«Indovina, Lydia: cosa si accingono a fare due ragazze fissate come noi, appena arrivano in una nuova camera d’albergo?» chiese Allison divertita.
«Foto!» ordinò l’altra, che prima di disfare le valigie tirò fuori la sua inseparabile fotocamera, scattando foto a raffica: a sé stessa, ad Allison, ad entrambe dietro la tenda verdina della finestra, al paesaggio fuori.
Le due ragazze non avevano smesso di ridere, da quando erano entrate la dentro. Sarà stata colpa dell’aria messicana.
«Adesso che ci penso però, non abbiamo degnato il coach di un ascolto, non sappiamo a che ora scendere per la cena, e dove dobbiamo mangiare» rivelò Allison, con uno sguardo pensieroso.
«Chiederemo in giro, non si sa mai, possiamo conoscere qualche bel latino…»
«Lydia! Tu stai con Aiden! Cosa ti salta in mente!» Allison era sconvolta. L’amica a volte buttava nel cestino il fatto di essere fidanzata. Aveva bisogno di corte Lydia, era fatta così.
«Mi diverto» fu la risposta anonima dell’altra, che iniziò ad estrarre trousse e vestiti dalla valigia con un espressione estasiata.
La musica che proveniva dalla strada era allegra, e le ragazze iniziarono a ballare, mentre sistemavano i vestiti nell’armadio e i vari trucchi in bagno.
Dopo qualche minuto, la calma apparente venne interrotta da un sonoro “Toc – toc”: qualcuno bussò alla porta, e Allison ricevette un messaggio criptico da Isaac.
Il ragazzo le aveva mandato un numero: 301.
«Che significa?» pensò la ragazza, perplessa. Allison andò ad aprire, e di fronte si trovò i riccioli biondi del fidanzato, con Danny alle spalle.
«Hey, da quanto non ci si vede» flirtò Allison con il proprio ragazzo, che rispose, molto più estasiato: «Sorpresa! Ragazze, abbiamo la camera di fronte alla vostra! La nostra è la 301, è meraviglioso, che dici?» dando un bacio alla sua ragazza.
«Si, vuol dire che noi quasi non ci vivremo nella nostra, dato che staremo sempre da voi. Kira e Cora sono nella 604 e Ethan e Aiden nella 802, dobbiamo prendere l’ascensore per stare insieme…»
«E’ un ascensore Danny, non distano chilometri! Beh, comunque io e Isaac abbiamo assoluto bisogno di scattare una foto ricordo di questo momento. Si prospetta una gita niente male…» commentò Allison, alla ricerca della propria fotocamera, finita sotto la pila di vestiti estratti dalla valigia.
«Oddio, non ditemi che passerete una settimana intera a catturare Città del Messico a colpi di flash?» chiese Danny, all’apparenza esausto, anche se tutti sapevano che lui era il primo ad amare la fotografia.
«Nessuno ci arresterà per questo…» rispose Allison, già in posa, con Isaac accanto a lei che sorrideva compiaciuto. I due ragazzi scattarono una quindicina di foto, nelle pose più disparate, prima di abbandonarsi sul letto, scambiandosi baci veloci. Praticamente già sapevano che non si sarebbero staccati di un centimetro, l’una dall’altro, durante l’intera settimana.
«Torniamo seri, vorrei sapere a che ora si mangia, piuttosto, e se si ha intenzione di combinare qualcosa, stasera...» urlò Lydia, dal bagno: la sua voce, però, fu sovrastata da un potentissimo tuono.
«Che cavolo succede? Il tempo non era così brutto, pensavo piovesse e basta…» imprecò Danny, mentre un lampo illuminava il cielo e la luce artificiale si spegneva di botto.
I quattro ragazzi vennero ingoiati dal buio, e un silenzio pieno di tensione prese potere, in quella camera.
Allison e Isaac si strinsero forte, l’uno all’altro, ignari di quello che stava capitando.
………………..
La prima regola da rispettare in un hotel? Non correre nei corridoi.
Il settimo piano, in direzione della stanza 709, si era invece reso teatro di una gara all’ultimo sangue, tra un umano irritato ed un lupo mannaro competitivo: Stiles e Scott, nello specifico, stavano cercando di raggiungere la loro camera, per accaparrarsi il bagno il prima possibile, dato che entrambi avevano la vescica che stava scoppiando.
Inutile dire che la gara venne vinta dal lupo, e quindi il primo ad entrare in bagno chiudendo a chiave, fu Mc Call, con sommo dispiacere di Stiles, che non contento di aver fatto casino per tutto il corridoio, con la valigia che pareva uno schiacciasassi, iniziò ad inveire contro il suo migliore amico ad alta voce, facendo in modo che l’intero piano sentisse il suo casino.
“Bravo, bravo Scott, sfrutta quella maledetta supervelocità che ti ritrovi, falla pagare al tuo migliore amico che ti ha sempre accompagnato, in barba alle follie nelle quali lo coinvolgevi. Questo è quello che mi merito? E’ questo quello che merita la mia vescica Scott?” Stiles sbattè il pugno contro la candida porta del bagno.
«Vedo che la voce ti è tornata…»
Stiles smise all’istante di urlare, si allontanò dal bagno per voltarsi verso le tende.
Conosceva troppo bene quella voce dura.
La finestra era semi aperta, e il ticchettio violento della pioggia si poteva sentire piuttosto fragorosamente.
Davanti a lui però, appoggiata al muro, stava la figura imbronciata dell’ultima persona che Stiles avrebbe voluto trovarsi davanti, mentre urlava al mondo la frustrazione causata dalla sua vescica piena, dopo sette ore di viaggio: Derek Hale.
«Tu? Cosa diamine ci fai qui?» esclamò Stiles, con le guance che non potevano fare a meno di tingersi di rosso, mentre abbassava il pugno, che aveva continuato a mostrare.
«Con chi ce l’hai?» domandò Scott, stupito, dal bagno. Stiles non gli rispose.
Derek rimase un attimo sovrappensiero. Non sapeva esattamente come iniziare quella conversazione.
Il ragazzo si inumidì leggermente le labbra, cercando di trovare le parole giuste.
La verità era che, di nascosto, Derek si era portato una valigia, e l’idea di partire gli era venuta quella stessa mattina. Aveva preso lo stesso aereo dei ragazzi, senza farsi vedere, e aveva acquistato il biglietto qualche giorno prima. Il telegiornale lo aveva spaventato, c’erano troppe notizie che parlavano di sparizioni, morti e misteri che si stavano consumando a Città del Messico, e lui si era preoccupato per l’incolumità della sorella e del suo branco.
Branco. Poteva fare perno su questa scusa e non risultare un idiota…
«Diciamo che sono venuto per ricordarti che siamo tutti parte di un branco, e il branco deve stare unito, sempre», mentì Derek. Fortuna che Stiles non poteva captare se stava dicendo la verità o meno.
Stiles osservò il lupo mannaro davanti a lui, con uno strano sorriso sarcastico sul volto.
Aveva solo voglia di sbraitare addosso a Derek, e non sapeva perché: «Cosa? Ah, per favore, vuoi che io creda ad una palla del genere? Bene si da il caso, Derek, che questa è una maledettissima semplice gita, quindi è impossibile che qualcuno si faccia male, anche se da quando ti sei presentato qui sento il bisogno di trovare un porta fortuna, dato che ogni volta che appari, i guai ci bussano alla porta. Non deve accadere nulla in una fottutissima gita scolastica, saremmo perseguitati dalla sfiga…»
Derek non si scompose, nel sentire la rabbia dell’altro. «Forse lo siete. Comunque ringrazierai che io sia venuto qui, fidati»
«No che non ringrazio, idiota, non hai capito quello che ti ho detto? Dove ci sei tu compaiono guai, e poi vorrei sapere, come hai fatto ad entrare nell’albergo senza prenotazione, trovando addirittura una stanza libera? Cos’hai fatto, hai preso le sembianze di qualcuno che hai fatto fuori tagliandogli la gola a metà? Sono sicuro che ne saresti capace…»
Derek stavolta non seppe come evitare di rispondere, perché nemmeno lui aveva ben chiaro quello che era successo. Per quello il sormontare della rabbia di Stiles non lo incuriosì minimamente.
Era semplicemente entrato nell’hotel appena prima che arrivassero i ragazzi, e un tizio alla reception, che non poteva avere più di ottant’anni, calvo e con uno strano poncho arancione, gli aveva sorriso, dandogli la chiave della stanza numero 708.
L’anziano si era rivolto a lui con una voce gracile, ma convinta, e soprattutto gli aveva parlato in inglese, anche se la pronuncia messicana faceva da padrona: «Nahual, non posso accettare i tuoi soldi, non hai bisogno di pagare. Tu sei qui per salvare. Tieni la chiave della tua stanza, mi raccomando. Vai!» Derek, che ritirò il portafogli, non si fece domande, entrando nella sua stanza, senza capire nulla di quello che l’uomo aveva detto.
Il ragazzo era confuso, ma aveva captato che dietro le parole di quello sconosciuto c’era un significato importante.
«Ho avuto fortuna…» confidò a Stiles, mentendo di nuovo spudoratamente.
«Beh, comunque stai lontano da me, ok? Non ho voglia di avere a che fare con un lupo acido come te, mi irriti» ribattè Stiles, scocciato, non fissando però Derek.
La verità era che il ragazzo era decisamente su di giri per il fatto che Derek si fosse sobbarcato un viaggio di sette ore per stare con loro. Soprattutto non l’avrebbe mai ammesso, ma la presenza di Derek, oltre a fargli svolazzare le farfalle nello stomaco, lo rassicurava.
«Ok, d’accordo ti lascerò in pace Stiles, se tu la smetti di chiamarmi lupo acido…» rispose lui, con tono sottile ma duro.
«Lo sai che non accadrà mai».
Le luci si spensero improvvisamente, col buio che li avvolse in silenzio.
«Che diamine…» si sentì Scott in lontananza, intrappolato nella stanza, nella quale si era chiuso a chiave.
Tutto si fermò, come in un sogno, ma Stiles avvertì che qualcosa si stava scatenando.
Il ragazzo sentì il cuore accelerare, e uno strana pressione alle spalle, come se qualcuno da dietro lo tenesse fermo. Il suo respiro era l’unico suono che proveniva dalla stanza.
Sembrava che il mondo fuori fosse ovattato.
Alle spalle dello Stilinski, però, non c’era nessuno.
Derek avvertì il disagio di Stiles, ma non riuscì a muoversi dalla sua posizione. Il ragazzo era come paralizzato.
Successe in un attimo.
La quiete esplose attorno a loro, e la terra iniziò a tremare violentemente, il palazzo ad ondeggiare.
Il comodino tra i due letti incominciò a traballare. Così come i letti a muoversi sinistri e Stiles iniziò a sentirsi decisamente male: il ragazzo vide il panico abbracciarlo, stritolarlo. L’aria si fece pesante tutto ad un tratto, e il cuore iniziò a battere incontrollato.
Stiles perse l’equilibrio, franando a terra, sentendosi un tutt’uno col pavimento freddo della stanza.
«Cosa, cosa sta…» Derek iniziò a sentirsi debole, scoraggiato, accasciandosi a terra per tentare di proteggersi da qualcosa che in realtà non li stava direttamente colpendo, ma era attorno a loro.
La terra tremava, e loro erano lì, bloccati dal terrore.
Stiles iniziò a sentire le guance che si bagnavano, mentre non riusciva a smettere di tremare come una foglia, con la testa che pesava un quintale. Era un incubo, stava vivendo uno dei peggiori incubi della sua vita, e nessuno attorno a lui gli si avvicinava. Nessuno attorno a lui lo confortava.
L’aria era irrespirabile, era come inalare macigni di cemento, e gocce solitarie di sudore gli stavano colando fredde lungo la schiena.
Il respiro si fece più pesante e il ragazzo si rannicchiò, singhiozzando, vicino al letto. I suoi gemiti sommessi non gli fecero nemmeno capire che il terremoto era terminato.
Il ragazzo iniziò semplicemente a mugolare, in preda ad una sorta di trance «E…rek…aiu….ta…mi».
«Che cavolo sta succedendo!! Stiles!» Scott prese a sbattere i pugni sulla porta del bagno, mentre urlava il nome dell’amico. Sapeva che il ragazzo stava male, ma aveva percepito che lo Stilinski non era solo.
Derek si riprese da quel momento di debolezza, rendendosi conto che non tremava più nulla, tranne Stiles. Il ragazzo si mosse in maniera fulminea per tentare di consolarlo, dopo essersi reso conto che Stiles stava piangendo.
Derek non si fece troppe domande, su cosa potesse significare il gesto che stava per compiere.
Stiles era parte del branco, e lui doveva prendersi cura del più giovane.
Due braccia calde, così diverse dal freddo che il ragazzo continuava ad avvertire, lo avvolsero e Stiles chiuse gli occhi, rendendosi finalmente conto che era tutto finito.
Derek Hale lo stava abbracciando. Quel terribile incubo si stava lentamente trasformando in un sogno.
«Stiles, Stiles, respira stai tranquillo, Stiles tranquillo, è tutto finito…»
Il ragazzo appoggiò la testa sulla spalla di Derek. Il corpo del lupo era caldo, piacevole quasi al tocco. I muscoli scolpiti guizzavano fieri da sotto la maglia.
Derek era la roccia, alla quale Stiles si aggrappava per non cadere. Non era frutto della sua immaginazione. L’Hale era lì con lui.
Il più grande, dal canto suo, si sentiva più tranquillo, al pensiero che Stiles non piangeva più. Aveva già visto Stiles con le lacrime scorrergli sulle guance, e preferiva non ripetere l’esperienza.
A quel ragazzo non era permesso stare male. Derek non gliel’avrebbe permesso, assolutamente.
«E- è f- fini-t-to?» singhiozzò Stiles, che ora si cullava, senza più tremare, nell’abbraccio che l’altro, quel lupo acido che tanto amava, gli stava concedendo.
Non era poi così acido, Derek. Non sempre, almeno.
«Si, tranquillo, è finito» sussurrò Derek, sfiorandogli la fronte calda con le labbra, e poi appoggiando la propria guancia sul capo dello Stilinski, stringendo a sé il ragazzo, proteggendolo.
Era l’istinto che gli suggeriva cosa fare, e lui lo stava seguendo senza fiatare. Sapeva che a mente lucida tutti i gesti che stava compiendo gli sarebbero ritorti contro.
Non era il momento di pensarci.
I due rimasero abbracciati, vicino al letto, con il respiro di Stiles che rallentava sempre più e il cuore che tornava ad una velocità accettabile, nonostante lo stomaco che faceva le fusa per il contatto “fronte – labbra” che avevano avuto.
Il ragazzo si rannicchiò ancora di più, gli occhi ancori chiusi, senza pudore, accanto a Derek, quasi come se fosse un automa. Aveva bisogno di sentire il calore dell’altro, aveva bisogno di quel calore che stava scaldando la sua anima, come mai gli era capitato prima.
Poteva sentire il battito regolare del cuore di Derek.
I gesti, la vicinanza dei due ragazzi avevano assunto due significati diversi: Derek lo faceva per dovere, perché sentiva che il suo ruolo di capobranco fosse quello. Stiles, invece per puro piacere.
Il lupo stavolta lo accarezzò piano e goffamente sulla testa, quasi a tentare di consolarlo: Derek aveva avuto paura, nel notare Stiles così disperato.
Stiles, dal canto suo, era al settimo cielo, con Derek accanto a lui.
Volenti o nolenti, quel preciso momento, fu il punto di non ritorno del loro strano rapporto.
Nel mentre, un boato fragoroso, che permise a Stiles e Derek di avvicinarsi ancora di più, fu seguito dalla comparsa di Scott, che a quanto pareva, aveva quasi spaccato la porta del bagno per uscirne.
Il ragazzo, utilizzando i sensi da lupo, dato che tutto attorno a loro era buio, si fiondò in direzione di Stiles, accasciandosi vicino all’amico, e osservando sospettoso la vicinanza dello Stilinski con Derek .
«Stiles, come stai? E’ stato un incubo, io ero intento a liberarmi e improvvisamente è iniziato a tremare tutto, poi ti ho sentito piangere?»
«Non preoccuparti. Sono stufo di tutti questi scossoni, tra l’aereo e il terremoto. Comunque sto bene, tranquillo, ho avuto paura, ma ora va tutto bene…» ribattè il ragazzo, che al rivivere la situazione fu ancora leggermente scosso da brividi.
«Beh, per fortuna. Non è stato forte come intensità, ma è pur sempre un terremoto…» disse Derek, che non aveva ancora lasciato la presa di Stiles.
«Fermi, sta arrivando qualcuno...» Scott sentì dei passi sospettosi avvicinarsi.
Il ragazzo, notando incredulo come Derek stesse ancora consolando Stiles, e come l’amico non si staccasse dall’Alpha, decise che forse era meglio aprire la porta.
Scott si diresse cauto verso l’uscita della stanza e aprendo la porta, venne svelato chi effettivamente stava arrivando.
Il professor Finstock, con una torcia accesa e i capelli disordinati, gli si parò davanti.
«Mc Call, la cena è stata rimandata, non ci sono stati danni nell’ hotel e volevo chiedervi se stavate bene, tu e il tuo amico Bilinski…»
«MI CHIAMO STILINSKI, E STO BENE, MALEDIZIONE!» urlò Stiles infuriato, ancora abbracciato a Derek.
Il lupo si rese conto che il caratteraccio del ragazzo poteva essere sintomo della calma ritrovata, e per questo si separò da lui, facendo attenzione a non far notare la sua ombra che si spostava, al professore.
«Ok, state bene allora. Beh, vi aspetto per le 8 giù nella sala da pranzo…» borbottò il professore, dirigendosi verso altre stanze, per assicurarsi che tutti gli studenti fossero incolumi.
«Comunque, aspetta….non ho ancora capito cosa ci faccia tu qui? Dovresti essere a qualche migliaio di chilometri di distanza!» sbottò Scott, dopo aver salutato il professore, in direzione di Derek, che se la stava svignando dalla finestra.
«Sono venuto qua perché pensavo che vi servisse il mio aiuto, ma ora state bene. Ci vediamo giù a cena» rispose Derek criptico, senza guardare in direzione di Stiles.
Il ragazzo chiuse la finestra alle spalle, entrando nella propria stanza.
«Le porte sono scomode per voi lupi, non è vero?» disse Stiles, cercando di intravedere la figura di Scott nel buio, con ancora il calore del corpo di Derek che lo avvolgeva.
Il loro era un comportamento assurdo. Si aiutavano, si sostenevano in presenza di pericoli più o meno mortali, e quando la minaccia passava, tornavano ad odiarsi, o tollerarsi a malapena.
Eppure Derek si era preoccupato per lui, quasi come mai prima..
«Non ho capito il senso della sua risposta, non capisco perché tu accusi me e non voglio sapere perché voi due eravate così abbracciati, dato che continuate a litigare ogni volta che vi incrociate, comunque, ripeterò la mia domanda a cena. Oh, Stiles, immagina la sorpresa di Cora quando vedrà il fratello comparirle davanti!»
«Sì, conoscendola gli mollerà un cazzotto, dato che lui non la lascia sola da nessuna parte. Si sentirà seguita…»
Fuori la strada stava tornando sempre più luminosa: Scott e Stiles si guardarono attorno. La luce si ristabilì all’improvviso, anche nell’hotel e i ragazzi si calmarono. Ormai il peggio era passato.
Scott si risedette più tranquillo sul letto, sospirando, già stravolto e stufo di quella gita, con Stiles che si sdraiava nel letto di fianco, ancora elettrizzato dal momento che aveva condiviso con Derek.
Era certo che quell’abbraccio, in fondo non era stato solo un simbolo di protezione a causa del terremoto.
Derek si era seriamente preoccupato per lui, e in più gli aveva anche dato un bacio sulla fronte.
Non tutti i mali vengono per nuocere, pensò il ragazzo, sul volto l’ombra di un sorriso che mancava da tempo.
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Labyrinth (ITA)
FanfictionIspirata dall'episodio "Motel California" di Teen Wolf Il buio nella vita di Stiles Stilinski, che nasconde la sua enorme cotta per Derek Hale, raggiunge l' apice quando la squadra di Lacrosse e l'intera classe di economia, viaggiano verso il Messi...