PROLOGO

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Salta, Argentina
ore 07.33

Mina de Calchaquíes
L'esplosione avvenne improvvisamente, al termine del conto alla rovescia dell'operaio addetto alla detonazione.
La parete di arenaria collassò avvolta da una nube di polvere rossastra, che salì verso il cielo confondendosi con le nubi venate di rosso dell'alba. Il boato si propagò in tutta la cava, echeggiando.
La polvere cominciò a diradarsi, a sfumarsi nell'aria fresca della mattina.
Doug Foster uscì dalla propria tenda, richiamato dal rumore. Raggiunse la soglia, sopra ad un pendio ghiaioso, respirando a fondo. Si tolse gli occhiali da sole, strizzando gli occhi feriti dalla luce e fissò davanti a sé.
Un varco si era aperto dove prima c'era la parete rocciosa, i cui frammenti erano sparsi all'interno di un'area recintata.
«Mio Dio» commentò lui, fissando la caverna. Era lunga dieci metri e alta quattro, sottile agli estremi e più alta al centro. Semplicemente un buco, una nicchia.
Alcuni operai entrarono attraverso il recinto e si avvicinarono.
Un uomo, basso e tarchiato, un incipiente pelata e la tuta da lavoro incrostata di sabbia, risalì in fretta il pendio, sollevando polvere con le scarpe.
«Señor, non era previsto.» disse, ansimando.
«No, infatti Cayo» rispose Foster, guardandolo, «Potrebbe essere un problema.»
«Dobbiamo delimitar?» chiese l'operaio.
«Prego?».
«Delimitar» replicò, «Recinto.»
«No, non subito. Trova Costa e Franco e scandagliate l'interno. Voglio un rapporto completo fra un'ora.» ordinò Foster.
L'operaio annuì e si girò, scendendo il pendio.
Doug rientrò nella propria tenda, avvicinandosi ad una sedia in legno e tela, sulla parete opposta l'entrata. Si sedette fissando fuori. Decise di aspettare prima di giungere a conclusioni affrettate.
Si tolse il cappello in feltro grigio e se lo posò sugli occhi.

Un grido lontano, sommesso, lacerò il silenzio. Foster aprì di scatto gli occhi, alzandosi. Un secondo grido, più forte, seguì il primo. Era uno degli operai.
Prese gli occhiali da sole da un tavolino e corse fuori, raggiungendo il limite del pendio. Due uomini, in tuta da lavoro, corsero fuori dalla caverna, sorreggendone un terzo, che emise un altro grido di dolore.
Gli operai raggiunsero un vecchio modello di fuoristrada parcheggiato lì accanto ed entrarono, depositando il corpo dell'uomo nei sedili posteriori, richiusero in fretta la portiera e partirono con la vettura, che sollevò una nube di polvere e uscì dall'area recintata, immettendosi nella strada sterrata. Foster la seguì con lo sguardo salire sopra uno dei colli alle proprie spalle e fermarsi un grande spiazzo, davanti alla tenda dell'infermeria.
Foster decise di raggiungerla, inerpicandosi sul fianco della collina, fino a raggiungere la strada alta. Corse fino al piazzale, fermandosi accanto alla vettura. Fissò il sedile posteriore attraverso il finestrino scheggiato. La pelle nera era chiazzata di sangue. Si girò di scatto ed entrò nell'infermeria.
I due uomini depositarono l'operaio ferito su una brandina, allontanandosi. Una donna anziana si avvicinò al letto, aprendo la cerniera della tuta dell'operaio, rivelandone il busto. La pelle olivastra aveva un lungo taglio slabbrato, che partiva dalla spalla destra e raggiungeva l'ombelico, con una serie di ferite minori sulla zona addominale. Il sangue era colato imbrattando i vestiti.
Foster si girò di scatto coprendosi la bocca con una mano. Era lo stesso operaio venuto da lui quella mattina, Cayo Guzman. Si fece forza e si girò.
L'infermiera stava versando il disinfettante su alcuni dischetti di cotone, per poi premerglieli sulla ferita.
La schiena dell'uomo si incurvò improvvisamente, le dita si strinsero con forza attorno ai bordi della brandina. Gridò, lacrimando.
«Come si è ferito?» domandò lei, ad alta voce.
«Non sappiamo» disse Costa, il più giovane dei due operai. «Abbiamo sentito dei rumori e lui ha gridato.» rispose, con forte accento spagnolo.
«Foster, señor, mi prenda della morfina e un ago.» ordinò poi, continuando a tamponare e indicando una cassetta di medicinali. «Usted, fuera, tengo que trabajar.» disse poi, rivolta ai due uomini, che annuirono e uscirono dalla tenda.
Doug aprì la cassetta delle medicine, estraendo dal fondo una siringa lunga e sottile, piena di un liquido trasparente. La porse alla donna, che la afferrò, stese il braccio del paziente e iniettò il contenuto per endovena. Cayo si rilassò, boccheggiando con gli occhi semi aperti.
«Ha funzionato?» domandò lui.
«Sì, ora mi aiuti, dobbiamo ripulire la ferita in profondità» disse poi lei.
Foster raggiunse la metà della brandina, dal lato opposto dell'infermiera.
«Cosa faccio?»
«Mi servono soluzione fisiologica e cerotti microporosi. Trova tutto nell'armadio alle mie spalle» spiegò lei, indicando il mobile in ferro con un cenno del capo.
Foster seguì le istruzioni, aprendo l'armadio e guardando i vari ripiani. La soluzione fisiologica e i cerotti erano nello scaffale di mezzo. Prese entrambi e raggiunse la donna, che aveva cominciato a disinfettare. Dalla ferita si sentiva un odore di marcio, di carne in decomposizione. Decise che era meglio chiudere gli occhi.
«Curioso» mormorò la donna, improvvisamente. Doug socchiuse le palpebre, guardando all'interno del taglio. C'era una piccola scheggia bianca, poco sopra l'ombelico.
L'infermiera si allontanò di corsa, raggiungendo l'altro capo della tenda, dove prese una pinza da una vaschetta di acqua calda.
«Si faccia un attimo indietro, mi lasci quei due qui, sul tavolino.»
Foster appoggiò il contenitore e la confezione su un piccolo ripiano metallico e si girò guardando l'operaio. Notò la fermezza con cui la donna infilava la pinza nel taglio ed estraeva quello che pareva un piccolo frammento di osso, bianco e seghettato, lungo appena un centimetro, coperto di un liquido biancastro e denso.
Nessuno dei due parlò, si limitarono a fissarsi con aria preoccupata. Avevano capito entrambi che qualcosa non andava.
La donna mise il frammento in una vaschetta metallica e tornò sulla ferita, controllando l'eventuale presenza di altri grossi corpi estranei.
L'operaio parve riprendere i sensi, ma fu solo un'impressione. Emise un grido soffocato, con uno spasmo. Il petto si inarcò e ricadde sulla branda, mentre l'uomo cominciava a tossire.
«Tengo io qui» disse lei, «vada a prendere un fazzoletto.»
Foster si girò e si guardò velocemente intorno. Raggiunse degli appendiabiti, sui quali erano stati appesi degli asciugamani bianchi. Ne prese uno.
«Questo?» chiese.
«Glielo metta davanti alla bocca mentre tossisce. Non glielo tolga» ordinò, «mi Dios
Doug glielo appoggiò davanti, cercando di non ostruire le vie aeree. Quando l'operaio smise, poté guardare l'asciugamano. Era pieno di sangue. Lo gettò a terra e tornò a supervisionare la ferita.
L'infermiera aveva cominciato a ripulire il taglio con la soluzione, facendola cadere sopra la ferita con il contagocce.
«È grave?» chiese Foster. Lei lo ignorò.
Cayo tornò a tossire e sputare sangue, che cadde sul pavimento. Le sue labbra si mossero appena. «Ayudar
«Prego?» domandò il dirigente.
«Sta chiedendo aiuto»
«È cosciente?»
«Non dovrebbe, gli ho iniettato una grossa dose di morfina, credo stia delirando.» spiegò lei.
Chiuse il contenitore, togliendo il rotolo di cerotto dalla confezione. Ne strappò alcuni pezzi e li sistemò sopra la ferita. Poi appoggiò il rotolo sul ripiano di metallo e cominciò a controllare una grossa ferita sotto il pettorale destro, dalla forma vagamente curva.
«Parece una mordida.» commentò lei.
Lui le lanciò un'occhiata interrogativa.
«Un morso, parrebbe un morso.» disse, indicandoglielo con le dita, seguendone il contorno. Anche Foster lo notò, pareva proprio che un qualche animale di piccole dimensioni lo avesse attaccato.
«Sa dirmi qualcosa in più su come si è procurato l'incidente?» domandò l'infermiera.
«Lo ho solo sentito gridare» rispose lui «lo hanno accompagnato fuori dalla caverna due operai che stavano con lui.»
«Cosa ci facevano?».
«Stavano dando un'occhiata per me» a quel punto Foster si sentì sprofondare.
«L'infezione si è propagata rapidamente, è sporco di sabbia, non credo riuscirò a pulirla bene.» spiegò la donna, asciugandosi la fronte col dorso della mano. Doug notò che il palmo era coperto di sangue. «Deve chiamare un elicottero.»
«Ayudar» gridò Cayo, girandosi improvvisamente verso terra e vomitando sangue.
A Foster il respiro gli si mozzò in gola.
Cayo ebbe uno spasmo. Le dita strapparono la gommapiuma che stavano stringendo, mentre l'uomo si rovesciava dal letto e cadeva a terra, cominciando a rigurgitare altro sangue. La pozza si allargava attorno a lui.
Doug si chinò per aiutarlo, ma la donna lo fermò, prendendolo per una spalla. Lui la fissò, con un misto di rabbia e incomprensione nello sguardo, poi capendo. Cayo giaceva immobile sul pavimento di mattonelle dell'infermeria.
«Ho fatto tutto il possibile» disse lei, gli occhi contornati da rughe lucidi, il labbro tremante. «Mi dispiace.»
Foster inspirò a fondo, fissando il soffitto della tenda. Una trama sottilissima di fili bianchi. Si tolse gli occhiali e si asciugò gli occhi. Poi raggiunse la vaschetta e prese il frammento bianco, ancora sporco di sangue. Aveva bisogno di aiuto.

Doug sedette sulla propria sedia, rintanato nella penombra della propria tenda. Le luci rossastre del tramonto illuminavano debolmente l'atmosfera, rendendola simile all'interno di una camera oscura. Un piccolo ventilatore di plastica bianca roteava rinfrescando l'interno.
L'uomo sospirò. Il corpo di Cayo era stato trasferito all'ospedale di Salta per effettuare l'autopsia.
All'esterno non tirava un alito di vento. Era tutto immobile. A quell'ora sarebbe già dovuto trovarsi a casa, ma stava aspettando che il frammento di osso fosse sigillato e pronto per essere spedito a New York per effettuare delle analisi.
Il telefono squillò improvvisamente, richiamando Foster alla realtà.
L'uomo si precipitò alla cornetta e la alzò.
«Doug Foster? Sono il dottor Perez.» disse una voce.
«Sì, sono il signor Foster, come posso aiutarla?» domandò.
«Volevo scusarmi se abbiamo dovuto chiamare a quest'ora, ma abbiamo avuto dei rallentamenti nell'autopsia, per via di una sostanza viscosa rinvenuta nella ferita.»
«Prego?»
«Sembrerebbe la saliva di un qualche animale, ma non siamo riusciti ad identificarne la specie.»
«Non ci siete riusciti?» chiese Foster.
«No, ora le spiego. Dalle analisi sembrerebbe che nella saliva siano presenti tracce di un veleno con proprietà neurotossiche, che provocano alle vittime difficoltà locomotorie e respiratorie. Secondo alcuni biologi sembrerebbero le caratteristiche velenifere del Crotalus durissus, noto come cascavel, che è una specie di serpente a sonagli, molto comune nella zona. Questa è anche la conclusione che parrebbe più ovvia per identificare l'aggressore, se non fosse per alcuni particolari» spiegò.
«Me li esponga.»
«Il cascavel non è una specie aggressiva e normalmente fugge alla vista dell'uomo. Inoltre non provocherebbe ferite come quelle rinvenute sul corpo della vittima, che sembrano provocate da uno sbranamento incompleto, un tentato attacco di un qualche grosso animale, ma anche su questa ipotesi ci sono delle incongruenze.
Su tutto il torso sono presenti tagli più sottili, superficiali, assieme a segni di morsicature, che un grande predatore non potrebbe infliggere.
Per ora non riusciamo ad avere molti altri particolari. La vittima è stata sicuramente attaccata da un animale, che ha lacerato organi interni quali il polmone destro, lo stomaco e l'intestino tenue, con una conseguente emorragia.»
Foster ascoltò ogni parola del dottore senza interromperlo. La situazione era più grave di quanto avesse pensato.
«Ora come ora, riusciamo solo ad avere un quadro generale dell'accaduto, ma con ancora molti punti ancora oscuri. Sappiamo solo che la vittima è stata attaccata mentre lavorava, ma è comunque riuscita a fuggire per tentare di mettersi in salvo. È corretto?»
«Sì, per ora avevo chiaro solo questo.» rispose Foster.
«La chiameremo ancora nelle prossime ore se dovessimo riscontrare altre anomalie. Buona serata.» concluse il dottore.
Foster lo salutò sbrigativamente e riattaccò, imprecando. La situazione stava peggiorando rapidamente. Aveva già dovuto chiudere la cava e spedire a casa gli operai a tempo indeterminato. All'ospedale le analisi stavano avendo problemi non poco rilevanti. Inoltre doveva occuparsi di quello che pareva un dente, ritrovato nella ferita.
Si guardò velocemente intorno, pensando.

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