5

498 54 19
                                    

Il secondo laboratorio era un'ampia stanza allungata, che Amy calcolò velocemente di quattro metri per otto. Lungo le pareti erano stati affiancati dei ripiani da lavoro in formica, sotto a degli armadietti bianchi.
Al centro della stanza c'era un grande tavolo con quattro computer fissi, accanto ai quali erano stati sistemati dei microscopi ottici.
Sarah, l'assistente di laboratorio, si muoveva rapida all'interno della stanza. Raggiunse un ripiano e prese una piccola provetta di vetro, contenente delle tracce appena visibili di una sostanza opaca. Poi si sedette accanto al primo dei quattro computer, spingendo fuori da sotto il tavolo due sgabelli, indicandoglieli con un cenno del capo ad Hoyle e Amy, che si accomodarono.
«Prima che possa dirvi altro» disse la donna, scrivendo con un pennarello indelebile su un'etichetta, «vi anticipo che le cose che ho scoperto le ho controllate tre volte, ne sono più che sicura.»
Amy la fissava, accigliata. Se il dente apparteneva ad un puma, non avrebbe dovuto presentare niente di rilevante. A quel punto non sapeva più dove dove sarebbero andati a parare.
«Nei risultati delle analisi della saliva sono riuscita a risalire ad alcune caratteristiche apparentemente insolite. Ho condotto dei test immunoenzimatici. Sa cosa sono, dottoressa?»
Amy annuì, incerta. «Più o meno. Sul fondo di un contenitore o pozzetto viene immesso l'anticorpo specifico per l'antigene che si vuole misurare. Si versa quindi la sostanza che si vuole misurare. Gli antigeni presenti nella sostanza si legano agli anticorpi sul fondo. Dopo un lavaggio in cui si pulisce il pozzetto dalla soluzione, si aggiungono gli anticorpi secondari coniugati con un enzima, che andranno a legarsi anch'essi agli antigeni sul fondo. Si lava una seconda volta e si aggiunge il substrato dell'enzima, che verrà colorato in base all'antigene. A quel punto si potranno ricercare le sostanze presenti.»
«Giusto. Non è poi così semplice come viene spesso spiegato, ma è comunque una prassi piuttosto rapida. Per questo sono riuscita a testare il contenuto più di una volta, anche se la quantità della sostanza a disposizione era a malapena di pochi millilitri.»
Hoyle si stava tamburellando coi polpastrelli le braccia, incrociate sul petto.
«Allora?» chiese, impaziente, «cosa hai scoperto?»
Sarah incollò l'etichetta appena scritta sulla provetta e si girò, schiarendosi la voce.
«Tracce di veleno.»
Quella risposta la colpì, improvvisa quanto inaspettata.
Veleno? Pensò Amy, impallidendo.
«Spiegati» il tono di Hoyle tornò serio.
«Proprietà neurotossiche particolarmente potenti, sicuramente di un serpente.»
«Un serpente?» John si girò e guardò nella direzione di Amy, che incrociò il suo sguardo, preoccupata quanto confusa.
«Quello però non sembra un dente di serpente!» osservò la dottoressa, poggiandolo delicatamente sul tavolo.
I due specialisti lo fissarono per alcuni secondi.
«Ha ragione. È troppo grande, oltretutto. Ma a cosa diavolo può appartenere un dente del genere?» chiese Sarah, scuotendo il capo.
Amy sperò che qualche sprazzo di idea si materializzasse nella propria mente, ma l'unica risposta chiara su cui si era soffermata non poteva comunque essere possibile, nemmeno utilizzando la scusa di un'anomalia genetica.
«Il cascavel è un predatore tipico di quelle zone. Le proprietà velenifere dell'animale corrisponderebbero. È lungo quasi due metri, ed è la specie più velenosa fra i crotali. Non è pericoloso per l'uomo, caccia per lo più roditori.»
Hoyle si strinse nelle spalle, lo sguardo assente.
«Sicure che non possa essere un serpente?»
Amy scosse il capo. «Sì, questo non può esserlo in alcun modo.»
Diavolo, però. Pensò, frustrata. Non esistono altri animali in quella zona con denti del genere, che hanno pure ghiandole velenifere.
Oltre alle possibilità che avevano scartato, ne rimaneva una che solitamente sarebbe parsa la via più semplice ma, in quell'occasione, era l'unica opzione possibile.
«A questo punto credo, anche se non ne sono sicura, che possiamo avere tra le mani il campione di una nuova specie animale.»
Sarah esitò, cercando di assimilare la notizia.
«Un nuovo animale? Davvero?»
«Non mi sembra ci siano alternative. O è un animale nuovo, non ancora scoperto, oppure una specie che si credeva estinta» Amy stava tentando ogni possibilità, cercando di trovare soluzioni plausibili, «non sarebbe certo la prima volta.»
Le venne in mente quando, durante il suo primo anno al Museo di storia naturale, avevano tenuto una mostra temporanea sulle estinzioni degli ultimi secoli.
Passando di fianco ad un acquario al centro della stanza, si era fermata a leggere la targhetta identificativa, fissata sul mobile sul quale era stata installata la vasca.
Latimeria chalumnae.
Scosse il capo, confusa, e rilesse una seconda volta.
«Ma che...?» alzò il capo, specchiandosi sul vetro dell'acquario. Poi socchiuse gli occhi, e distinse la figura di un grosso pesce, lungo quasi un metro, di un colore blu-nerastro.
La vasca non era davvero vuota come le era sembrata poco prima.
Fece un piccolo balzo indietro, spaventata dall'animale che ricambiò il suo sguardo, apparentemente disinteressato. Galleggiava quasi immobile a metà della vasca, gli occhi fissi nel vuoto.
«Vedo che ha visto il nostro pezzo forte della collezione!» esclamò il direttore, raggiungendola.
Amy si girò, ricomponendosi. «Il piacere non proprio, ad essere sincera.»
«Non le piace il nostro celacanto?» domandò lui, stupito.
«Oh, no. È un esemplare magnifico, solo mi ha colto davvero alla sprovvista.» rispose lei, ridacchiando nervosa.
«Immagino che lei lo conosca bene questo pesce, no?» domandò lui, tamburellando le dita sul coperchio dell'acquario. Amy provò un improvviso senso di frustrazione, sentendo lei stessa il rimbombo di quello che doveva essere un incessante martellare amplificato all'interno della vasca, ma il direttore ritrasse velocemente la mano, notando lo sguardo serio della dottoressa.
«Io devo andare, rimanga pure quanto vuole, non ci sono visite programmate oggi, se non sbaglio. Se magari illustra ai visitatori qualche articolo esposto, magari con degli approfondimenti, mi farebbe davvero piacere. Passi una buona giornata.»
Amy ricambiò il saluto, tornando a guardare il celacanto.
Dopo tutto questo tempo, devi ancora sopportare questi idioti.
I primi fossili del celacanto vengono datati intorno al Devoniano inferiore, circa quattrocentodieci milioni di anni fa. Creduti scomparsi dall'estinzione del Cretaceo, un esemplare fu pescato nel 1938 nel canale del Mozambico. Nel 1999 fu ufficialmente riconosciuta anche una seconda specie, il celacanto indonesiano. Entrambi hanno mantenuto perfettamente la loro fisionomia, immutati col passare delle ere.
La situazione al laboratorio era analoga.
«Un animale estinto» ribadì Hoyle, pensieroso, «e come possiamo fare per scoprire quale sia?»
«Dottoressa, le viene in mente qualcosa?» chiese improvvisamente Sarah, speranzosa.
Amy attese qualche secondo, cercando di farsi venire in mente qualche altra idea, poi però scosse il capo.
«Mi dispiace, ma so chi potrebbe aiutarci. Posso parlare con lui tra venti minuti» rispose, guardandosi l'orologio, «ma non credo che riesca a venire qui al laboratorio.»
Sarah digitò velocemente qualcosa al computer e si rivolse a Amy.
«Se ora lei fa una foto allo schermo e poi al dente, credo che a lui basterà.»
«Lo schermo?» chiese John.
«Ho appena salvato un file PDF con le informazioni principali dei test sulla saliva. In questo modo possiamo conservare il dente senza rischiare che venga contaminato o perso.»
Amy fotografò il monitor e il frammento, passando poi alla rubrica del telefono. Cercò la lettera "T".
«Vado a fare una telefonata e torno.»
Uscì dalla stanza, sperando che Tom le rispondesse anche a lezione.
Poi sorrise, sentendosi quasi in colpa.
Non mi ha mai ignorata. Spero non decida di farlo proprio oggi.

Il cellulare di Harris prese a vibrare nella tasca della giacca, facendolo voltare. Si domandò chi potesse mai chiamarlo, sapendo che era a lezione.
Si alzò dalla cattedra e raggiunse l'appendiabiti, all'angolo della classe, vicino alla porta. Cercò a tentoni la tasca giusta e sfilò il cellulare, guardando l'interlocutore.
Amy. Pensò, ricordandosi del laboratorio. Non posso venire ora, se hai bisogno.
Esitò un momento, prima di accettare la chiamata.
«Ho una telefonata di lavoro, esco un attimo. Voi continuate pure» disse, rivolto agli studenti, e uscì in corridoio. Premette il pulsante verde e avvicinò il telefono all'orecchio.
«Amy?»
«Grazie Tom, so che eri in classe, ma avevo bisogno di parlarti.» pareva affannata.
«Dimmi tutto.» Harris si era aspettato quella telefonata, ma immaginava sarebbe arrivata più tardi.
«Meglio che procediamo con ordine» precisò, inspirando, «per prima cosa non siamo riusciti ad identificare a che specie appartiene il dente. Non tornano le possibilità, le idee. Niente, vuoto totale» si fermò per tossire, poi riprese, «poi hanno effettuato dei test su alcuni campioni di saliva rimasti sul dente. Ci sono tracce velenifere.»
Harris ascoltò, colpito. La situazione non era delle migliori.
Non siete riusciti ad identificare la specie?
Non era sicuramente un buon segno. Amy era una delle persone più competenti nel suo campo, conosceva la biologia più del palmo della sua stessa mano.
Quando si parla di paradosso.
«Sarò lì solo tra venti minuti» le disse, cercando di rassicurarla.
«Non ce n'è bisogno, Tom. Ho scattato alcune fotografie che dovrebbero bastarti. Tra poco parto e ti raggiungo all'università, così riusciamo a parlarci.»
Harris avrebbe preferito visionare il campione di persona, ma non replicò. Forse era meglio così.
«Ci vediamo nel mio ufficio?» domandò.
«Perfetto. Per quando avrai finito la lezione sarò lì.» Harris la salutò, rientrando nell'aula.

CronoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora