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Una volta addentrato nelle fitta vegetazione, l'aria si fece improvvisamente più fredda e gli entrò nei polmoni come una cascata di ghiaccio, provocandogli un forte capogiro, che lo costrinse ad appoggiarsi al tronco di un grosso albero. Tom Harris contò fino a dieci prima di riaprire gli occhi e di abituarsi a quell'improvviso sbalzo di temperatura.
Gli ci vollero altri cinque secondi prima che le forme indistinte che gli offuscavano il campo visivo svanissero. Inspirò a fondo e riprese a camminare, concentrandosi su un unico pensiero: stava attraversando per primo un ecosistema rimasto isolato per sessantacinque milioni di anni. Si chiese quale sarebbe stata la reazione dei suoi colleghi del dipartimento di Biologia, una volta raccontato loro ciò che aveva visto.
Ho passato il fine settimana a cinquemila chilometri da casa circondato da dinosauri in carne ed ossa.
Quel pensiero lo fece sorridere e lo spronò a continuare, nonostante l'umidità e il senso di claustrofobia.
La foresta di latifoglie si chiudeva su di lui a cinquanta metri di altezza come una gigantesca cattedrale, i rami e le fronde si intrecciavano in un complesso disegno che gli ricordava una tela di Jackson Pollock che aveva visto anni prima al MoMA di New York.
L'alternanza così disordinata e non omogenea di chiaroscuri aveva un che di magnetico, e si accorse di essere rimasto ad osservarla per diversi minuti, immobile al centro del pendio. Appena udì una serie di passi muoversi nella sua direzione e fermarsi alle proprie spalle si affrettò ad abbassare lo sguardo e si voltò.
Rivas Evian rivolse una rapida occhiata alle fronde e ruotò leggermente il capo come per studiarle da una diversa angolazione, tornando a rivolgersi al professore.
«Ha visto niente di interessante, lassù?» gli domandò, con un ghigno.
Harris scosse la testa. «A parte una foresta preistorica sospesa sulle nostre teste all'interno di una gigantesca caverna?» Alzò nuovamente la testa, «in ogni caso, non soffia un filo di vento. Sarà piuttosto facile scovare animali sui rami.»
«È probabile che ce ne siano?»
Lui si strinse nelle spalle. Domanda da un milione di dollari. Passò in rassegna mentalmente le decine di documentazioni relative ai casi più curiosi di dinosauri che aveva studiato nel corso degli anni, sforzandosi di ricordare se aveva mai sentito parlare di dinosauri arboricoli, ma si demoralizzò quasi subito. Il caso più interessante si riferiva ad un esemplare adulto di femmina di Torosaurus latus rimasto sepolto da una frana mentre cercava di fare da scudo alle proprio uova col corpo. Non proprio un uccellino preistorico.
Harris alzò nuovamente lo sguardo sull'intrico di rami sospesi sopra di lui e poi, di colpo, gli tornò in mente un articolo del "Science" pubblicato qualche anno prima da alcuni ricercatori di Berkeley che si occupavano dello studio di dinosauri del Giurassico medio. Tra le numerose specie riportate, lo avevano colpito due in particolare che avevano convinto l'équipe californiana della possibilità che si trattasse dei primi dinosauri accertati in grado di arrampicarsi sugli alberi
La conclusione era stata tratta dallo studio delle vertebre della coda e delle ossa delle zampe posteriori, che erano risultate molto simili a quelle degli uccelli che usano gli alberi come posatoi. Quel ricordo lo caricò di speranze.
«Potrebbero essercene, ma non ne sono sicuro» gli rispose, incerto, «ma sono più propenso ad escluderlo. Le uniche prove fossili di dinosauri arboricoli sudamericani si riferiscono ad una specie vissuta più di centosessanta milioni di anni fa.»
«Sarebbe troppo antica?» domandò Rivas, interessato.
Lui annuì. «In generale, biologi e paleontologi si trovano d'accordo sul fatto che una specie animale e vegetale sulla Terra abbia una "vita" di soli quattro milioni di anni. Alcune gimnosperme come il Ginkgo biloba, o piccoli crostacei come i Triops, sono considerati dei veri e propri fossili viventi. In oltre duecento milioni di anni hanno mantenuto pressoché invariata la loro morfologia esterna» si passò il dorso della mano sulla fonte imperlata di sudore. «Ma nessun dinosauro è sopravvissuto oltre l'estinzione di massa alla fine del Cretacico. O almeno, questo è quello che credevo.»
Per la prima volta da quando aveva visto l'esemplare di gasparinisaura meno di venti minuti prima, gli tornò il sorriso. Aveva la mente che correva a velocità folle, ma si sforzò di riordinare le idee.
«La sopravvivenza di una specie dipende quasi esclusivamente dall'ecosistema che la circonda» riprese poi, trascinato dall'entusiasmo, «dalle disponibilità di cibo e acqua, dal numero di prede o predatori, e soprattutto delle condizioni atmosferiche. Oggi siamo abituati a vedere un volto del nostro pianeta che si è definito nell'arco di pochi milioni di anni, che comparati alla storia geologica della Terra equivalgono a qualche giornata.»
Rivas ridacchiò, continuando a lanciare due occhiate su tre alla fitta vegetazione che li circondava, passando più volte la mano vicino al grilletto della pistola. A Tom situazione piaceva sempre meno. In un attimo, passò rapidamente dal sentirsi al settimo cielo ad avvertire il bisogno costante di guardarsi le spalle, e di sfiorare la pistola infilata nella cintura dei pantaloni.
Quando avevano lasciato il camper, Rivas aveva spiegato brevemente a lui e Franco che le pistole di cui disponevano erano due Beretta 92, indicata come l'arma più testata e affidabile della storia, adottata addirittura dal corpo del Marines, ma a lui non dava quel senso di sicurezza che sembrava tranquillizzare il cacciatore.
Piuttosto, non vedeva l'ora di sbarazzarsene, pur sapendo che in situazione di pericolo, era l'unica possibilità che aveva per salvarsi.
«Ma se tu sostieni che gli ecosistemi del pianeta cambiano così spesso, come possono essere sopravvissuti i dinosauri per... sessanta milioni di anni? Va' contro ogni logica!» obiettò Franco, avvicinandosi.
«Fino a qualche ora fa sarei stato d'accordo con te, ma ora sono costretto a pensare che questo sia possibile» gli rispose, grato per aver riportato il discorso su un terreno in cui sapeva benissimo come orientarsi.
«E come? Secondo la tua logica, affinché una specie non si estingua, anche l'ambiente in cui vive deve permanere...»
«O potrebbe subire un cambiamento abbastanza lento da garantire a qualsiasi specie il tempo di adattarsi. In questo modo non avverrebbe alcuna estinzione.»
«Certo, ma se questo ambiente cambiasse improvvisamente a causa di un evento cataclismatico? A questo punto non ci sarebbe il tempo per nessuna evoluzione!»
«Stai parlando dell'ipotesi dell'asteroide?»
«Certo. Ora, non so quale sia la percentuale di specie estinte, ma so per certo che ha fatto un bel casino!»
Tom sorrise, ricordando che ad una delle sue prime lezioni di scienze naturali uno dei suoi studenti lo aveva definito esattamente in quel modo. E "casino" era sicuramente uno dei termini non specifici più adatti a descrivere l'estinzione di massa del Cretacico, che aveva portato alla scomparsa del settantacinque per cento delle specie.
«Ma evidentemente non è bastato» gli rispose con tranquillità, mentre nella sua testa rivide nuovamente i grandi occhi scuri della gasparinisaura, «un gruppo di dinosauri sudamericani è riuscito a sopravvivere alla catastrofe rifugiandosi o rimanendo intrappolati all'interno di un grande sistema di caverne nel nord ovest dell'Argentina, per venire poi scoperti sessantacinque milioni di anni dopo.»
Per quanto potesse sembrare il prologo di un mediocre film di fantascienza, Harris sapeva con certezza che si trattava della realtà.
«Ed è grazie a questa caverna che questi dinosauri sono vissuti per tutto questo tempo? Senza interferenze con l'esterno? Come... una capsula del tempo?»
Harris dovette ammettere che l'esempio era piuttosto azzeccato, ma sicuramente quella caverna non era rimasta perfettamente sigillata dalla fine dell'era mesozoica. Le grandi spaccature che attraversavano il soffitto dovevano essere sempre state una continua finestra sul mondo, ed avevano permesso senza ombra di dubbio il passaggio di pollini, muffe, virus e diversi altri organismi più complessi, ma un fattore chiave doveva averlo giocato l'isolamento da grandi foreste o zone umide, che aveva sicuramente rallentato o impedito la diffusione di batteri patogeni.
Un ecosistema incredibile in equilibrio precario. Pensò, lanciando una rapida occhiata all'immenso soffitto di arenaria liscia oltre duecento metri sopra le loro teste.

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