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In fondo alla scala, Sarah King vide l'ampio androne del grande magazzino Saks Fifth Avenue profilarsi davanti a lei come la navata di un'imponente cattedrale, gremita di persone. Serpeggiando fra la folla, si sfilò la parrucca bionda dalla testa e la buttò in un cestino accanto all'entrata prima di infilare la porta di vetro, ritrovandosi di colpo sul marciapiede. L'aria fredda le sferzò il viso.
Sono viva. Pensò, non riuscendo ancora a credere che il suo piano improvvisato avesse realmente funzionato. Aveva avuto soltanto pochi secondi per metterlo a punto, e non si era certo illusa che potesse realmente riuscire.
Poco prima, appena si era chiusa nel bagno, aveva estratto la parrucca dalla borsa e si era infilata le scarpe da ginnastica che teneva sotto il sedile dell'auto, appoggiando gli stivaletti invernali sul sedile copriwater. Si era assicurata che la parrucca le coprisse i capelli castani ed era uscita dalla toilette nello stesso istante in cui l'aguzzino era entrato nel bagno. Aveva finto di lavarsi le mani e gli era passata accanto mantenendo lo sguardo puntato in avanti, sperando che il travestimento fosse abbastanza credibile da farla passare inosservata. Poi, appena si era ritrovata nel corridoio del primo piano, si era lanciata in una corsa folle verso la rampa che conduceva al piano terra.
Adesso, però, si rese conto di non avere la minima idea di dove andare. Maledisse se stessa per essersi concentrata solo sulla prima parte del piano e di non aver considerato il passo successivo. Un clacson strombazzò da una delle corsie centrali di Fifth Avenue e la riportò bruscamente alla realtà.
Devo allontanarmi di qui. Si disse, incamminandosi verso sud, dove i grattacieli più alti di Manhattan svettavano verso il cielo plumbeo come montagne. L'istinto le diceva di mettere più distanza possibile fra lei e l'assalitore, ma la ragione le suggeriva di contattare al più presto la polizia. Non ho speranze di seminarlo a piedi.
Si bloccò di botto sul marciapiede e afferrò dolcemente il braccio di una donna anziana.
«Mi scusi, avrei un bisogno urgente di usare un cellulare, non è che per caso potrebbe prestarmi il suo? Devo solo fare una telefonata...»
La donna, però, scosse il capo e, con uno strattone, si liberò dalla presa e si allontanò.
Sarah, cercando di non demordere, ritentò con un passante sulla quarantina, che sembrava andare di fretta, ma questi non le diede nemmeno il tempo di chiedergli il telefonino che si dileguò fra la folla.
Con il cuore che batteva all'impazzata, riprese a camminare, guardandosi le spalle. L'entrata del grande magazzino era ora a una cinquantina di metri di distanza. Devo allontanarmi di più!
Tornò a guardare in avanti, incrociò lo sguardo di una ragazza punk sui sedici anni, vestita con una pelliccia rosa shocking assolutamente discutibile e con una spilla da balia al naso. Sembrava reggersi a stento in piedi, appoggiata contro un idrante.
«Scusa» le disse, avvicinandosi, «ho un problema, un tizio mi insegue, avrei davvero bisogno di usare il tuo cellulare. Puoi prestarmelo?»
La ragazza la fissò negli occhi, con aria assente. «Vuoi usare con il mio cellulare?»
La dottoressa annuì pazientemente.
«Cinquanta dollari.»
Sarah la fissò sbalordita. Cinquanta dollari per una telefonata di pochi secondi? «Vuoi seriamente tutti questi soldi?»
«Hai l'aria disperata. Qualcosa mi dice che sei disposta a offrirmene anche il doppio.»
Sarah si voltò, tesa. Ormai l'uomo poteva averla raggiunta. «Non ho soldi con me, ma se mi lasci il tuo indirizzo te li farò avere, lo giuro, ma adesso avrei davvero...»
La punk scosse il capo. «Cinquanta dollari subito o niente.»
Sarah stava perdendo la pazienza. E anche il vantaggio sull'assassino. «Cinquecento se mi fai chiamare subito!»
La punk parve metterci qualche secondo per comprendere quanto le era stato appena offerto. Poi, abbassò lo sguardo ed estrasse dalla tasca un iPhone scheggiato. «Mettici poco.»
Sarah la ringraziò e afferrò il telefonino, digitando il 911. Mentre attendeva la risposta dell'operatore addetto allo smistamento delle chiamate, vide qualcosa riflettersi nello schermo nero del telefono. Un bagliore.
Un proiettile sibilò accanto al suo orecchio. Sarah lasciò cadere a terra il cellulare, che andò in pezzi, chinandosi per portarsi fuori dalla traiettoria dello sparo. La ragazza sembrava non essersi accorta del proiettile, ma di certo non le era sfuggito che il suo cellulare si era appena sfracellato a terra.
«Stronza! Mi hai rotto il telefono! Me ne dovrai pagare un altro, altrimenti...» non terminò la frase. Al centro della sua fronte si aprì il foro di una pallottola. Il sangue si riversò sul viso, imbrattandole la pelliccia.
Mentre la ragazza cadeva a terra, Sarah non perse tempo. Chinata in due per farsi scuso con la folla, si mise a correre tra la gente ammassata sul marciapiede, troppo sconvolta per rendersi conto che il sangue della punk le era schizzato addosso, e che stava lasciando una scia rossastra dietro di lei.

Anton Bogdanov raggiunse la ragazza riversa a terra in una pozza di sangue, circondata dalla gente atterrita. Una donna accanto a lui stava telefonando animatamente, probabilmente con la polizia, mentre alcuni ragazzini che non dovevano avere più di dodici, tredici anni tirarono fuori i cellulari e si misero a scattare fotografie al cadavere. «Der'mo!» imprecò, facendosi largo tra la folla che si stava raccogliendo intorno alla ragazza.
Aveva sprecato un altro colpo. Doveva sbrigarsi se voleva catturare la dottoressa prima che arrivasse la polizia. Aggirò il gruppo di persone e si mise a correre. Impiegò qualche secondo prima di individuare le macchie di sangue a terra. All'inizio non ci fece caso, poi però si accorse che erano orme, lasciate da qualcuno che correva... Da una donna, che correva, a giudicare dalla dimensione del piede. Non aveva dubbi su chi appartenessero.
Sogghignando, seguì la scia serpeggiando fra le persone che stavano accorrendo per vedere il cadavere sul marciapiede prima che fosse rimosso dalle autorità.

Sarah stava sprofondando nelle viscere della terra. Dal fondo della scala, proveniva un'aria calda e umida, che non faceva che incrementare la sensazione di addentrarsi all'interno di una profonda cavità sotterranea.
Appena raggiunse la base della rampa di gradini di cemento fissò per alcuni secondo il lungo tunnel squadrato che si estendeva davanti a lei per alcune decine di metri, sforzandosi di abituare gli occhi all'improvvisa oscurità.
Poi, accertandosi di non essere seguita, si addentrò nello stretto spazio sotterraneo.
La galleria della metropolitana puzzava di urina e di fumo di sigaretta, e nell'aria si levava il brusio indistinto di centinaia di voci che echeggiavano nello spazio vuoto.
Raggiunse i tornelli e si fermò di colpo, rendendosi improvvisamente conto di non avere con sé il portafoglio. Alzò lo sguardo verso l'uscita e fece per andarsene, quando la gente in fila dietro di lei iniziò a spintonare per riuscire a passare.
Sarah capì che poteva fare solo una cosa, ormai. Consapevole di stare per infrangere diverse leggi federali, si accostò all'uomo davanti a lei e, schiacciandosi contro di lui, superò il tornello senza pagare il biglietto.
Una volta sulla banchina, corse verso il treno fermo ed si infilò nella porta aperta, facendosi largo tra le gente. L'odore inconfondibile di un gran numero di persone ammassate in uno spazio chiuso le arrivò alle narici appena si allontanò dalla porta, ma al momento era l'ultimo dei suoi pensieri.
I freni idraulici della metropolitana sibilarono annunciando che il treno sarebbe partito entro pochi secondi. Sarah cominciò a rilassarsi, benché nel vagone mancasse quasi del tutto l'aria. Afferrò una delle maniglie di sicurezza sul soffitto e puntò i piedi contro il pavimento per evitare di perdere l'equilibrio una volta che il treno fosse partito.
Un attimo prima che le porte metalliche si chiudessero, Sarah intravide una sagoma correre sulla banchina e, con uno slancio improvviso, saltare oltre il bordo e infilarsi tra le porte del treno un secondo prima che si chiudessero. L'uomo riprese fiato e si guardò intorno, alla ricerca di un posto a sedere. Appena lanciò una rapida occhiata verso di lei, Sarah si sentì come se il treno fosse appena precipitato in un baratro.
No! Non è possibile!

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