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L'aria all'interno del camper si era fatta irrespirabile.
Abituata al clima generalmente freddo e piovoso di New York, gli oltre trenta gradi che il piccolo termometro a parete registrava all'interno del veicolo in confronto sembravano dieci volte più intensi.
Amy osservava silenziosamente fuori dal grande finestrino a parete seduta sul banco da lavoro sul lato sinistro del camper. Fuori, all'interno della caverna, i raggi cadevano quasi perpendicolarmente dalle spaccature del soffitto, illuminando un velo di condensa che aveva cominciato a formarsi sopra le chiome degli alberi. Sembrava un enorme lago dorato intrappolato sottoterra. L'effetto era incredibile.
Spostò lo sguardo verso destra, dall'altra parte del camper, e cercò di scorgere un qualsiasi movimento tra le piccole betulle attraverso il sottile vetro alto solo venti centimetri. Niente.
Se lo aspettava, in fondo. Da quando erano rientrati nel camper pochi minuti prima, la gasparinisaura non si era fatta più viva, e dubitava sarebbe ricomparsa così rapidamente. Sospirando, scese dal banco da lavoro e si passò una mano fra i capelli crespi per via dell'umidità, si avvicinò al piccolo lavabo di ceramica e aprì il rubinetto, lasciando scorrere l'acqua per diversi secondi.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee, di rivedere tutto quello che era successo nelle ultime ore con più lucidità, e il caldo opprimente di certo non aiutava.
Si sciacquò il viso e avvertì una forte nota di cloro sulle labbra, segno evidente che quella non era acqua potabile. Riluttante, spense l'acqua e, ignorando la bocca secca, si appoggiò al bordo del lavabo e chiuse gli occhi.
Ripercorse con la mente gli eventi che la avevano condotta fin lì, da quando Doug Foster era comparso per la prima volta davanti a lei, all'Hotel Almería di Salta, fino a quel momento. Le sembrava ancora incredibile quanto avevano scoperto, e si sentiva in balia di una sorta di vertigine immaginando i possibili sviluppi che ne sarebbero potuti conseguire.
Un rumore alle sue spalle la fece voltare. Manuel Costa spinse con la schiena la porta che collegava il laboratorio alla sezione anteriore del camper e, mentre la richiudeva col piede, lasciò sul tavolo al centro della stanza due panini ricoperti da una pellicola trasparente e altrettante bottigliette di acqua minerale.
«Ho pensato che avesse fame» le disse, cominciando a scartare i due panini, «spero le piaccia il prosciutto che sa di plastica, perché dal colore ho idea che non sia fresco.»
Lei gli rivolse un sorriso radioso, prendendo uno dei due panini e iniziando a divorarlo.
Manuel prese a scartare il secondo e si sedette su uno degli sgabelli ai lati del tavolo.
«Allora» disse, dando un morso, «di cosa ha detto che si occupa? Voglio dire, a New York.»
Lei si passò una mano sulla bocca. «Lavoro come ricercatrice alla New York University. Mi occupo di ecologia comportamentale, anche se ora come ora mi sto cimentando nella paleontologia.»
«Come mai questo... voltafaccia? L'ecocosa non era abbastanza entusiasmante?» le domandò, ridacchiando.
Lei rise, sentendosi quasi andare di traverso un boccone del panino. «Per la verità, quello di cui mi sto occupando tiene conto di entrambe le discipline. Gli uccelli sono una classe di vertebrati che tutt'oggi conta all'incirca sulle diecimila specie viventi, frutto di un'evoluzione che è andata avanti per più di centocinquanta milioni di anni.»
Manuel annuì, aggrottando la fronte. «In pratica lei si occupa dell'evoluzione degli uccelli? E da quando in qua è così affascinante?»
Lei fece spallucce, cercando di apparire seria e disinvolta. «Non da molto, per la verità. Solo negli ultimi quarant'anni il dibattito si è riacceso sulla questione. È saltato fuori che gli uccelli hanno progenitori antichi di gran lunga più interessanti di quelli degli esseri umani.»
«E sarebbero?»
«Non so, molto probabilmente non li avrai nemmeno sentiti nominare. Nell'antica Cina, intorno al secondo secolo, i resti di questi animali venivano chiamati kǒnglóng, o "draghi terribili". Nell'Europa medievale, invece, si pensò potessero essere appartenuti a giganti o ad altre creature bibliche. Come puoi immaginare, nessuna di queste due versioni è più considerata oggi dalla comunità scientifica.»
L'espressione sul viso di Costa passò rapidamente dall'iniziale scetticismo al più completo smarrimento. Dentro di sé, Amy si stava divertendo un mondo a vederlo sempre più confuso, ma si sforzò di mantenere un'espressione annoiata e disinteressata.
«Ma allora» intervenne il ragazzo, appoggiando il panino sul tavolo, «di cosa si tratta? Se i cinesi pensavano si trattasse di draghi, e gli europei di giganti, non dovevano essere proprio fossili di antichi passerotti!»
«Be', dipende da che punto di vista. A nessuno verrebbe mai in mente di associare un tirannosauro ad un tacchino, ma ti assicuro che è molto più sensato di collegarlo ad un coccodrillo o un'iguana.»
Lui la fissò con la bocca aperta. «I dinosauri? I dinosauri sarebbero i progenitori degli uccelli? Io ho sempre pensato fossero i rettili a discendere dai dinosauri, ma gli uccelli...»
Amy assentì con un cenno del capo, lasciandosi scappare un fugace sorriso divertito per l'espressione di Costa in quel momento. Ci sono passata anch'io. «In effetti è comprensibile» gli rispose, cercando di ricordare il discorso che Tom aveva fatto in proposito due anni prima ad una delle sue lezioni, «lo studio delle "grandi lucertole fossili" ha avuto un peso enorme sulla raffigurazione dei dinosauri nella cultura di massa. Basta pensare ai primi resoconti su questi animali: per via di alcune somiglianze con le ossa di alcuni rettili moderni, furono descritti come antichi rettili a sangue freddo, lenti, ed essenzialmente con scarsa intelligenza. Si pensava addirittura che i grandi sauropodi come il brachiosauro e l'apatosauro dovessero vivere in grandi paludi o profondi specchi d'acqua per riuscire a sostenere il loro peso.»
Si concesse una pausa per terminare il panino e lasciar sedimentare quei concetti nella mente di Costa. Doveva ammettere che era la prima volta in vita sua che era riuscita a coinvolgere fino a quel punto una persona con un suo discorso. Era quello il motivo principale che la aveva spinta a licenziarsi dal Museo di storia naturale per cercare lavoro come ricercatrice alla New York University dopo appena undici mesi di visite guidate. La miglior decisione della mia vita.
«La svolta è avvenuta nell'agosto 1964, quando il paleontologo John Ostrom scoprì diversi resti di Deinonychus antirrhopus in Montana» riprese, «e furono proprio gli studi su questa nuova specie ad innescare il cosiddetto "rinascimento dei dinosauri" e un dibattito sulla vera natura di questi animali. Il deinonico presentava caratteristiche da cacciatore tipiche solo di un animale a sangue caldo, come la postura orizzontale, la struttura della spina dorsale che richiamava uccelli come emù e casuari, e i caratteristici artigli ricurvi sui piedi, che lo rendevano a tutti gli effetti un predatore agile e attivo. I rettili moderni cacciano in modo completamente differente.»
«Le anaconde sfruttando l'effetto sorpresa, rimanendo nascoste sotto la vegetazione galleggiante. Quando una preda si avvicina troppo al loro nascondiglio, le anaconde scattano e si stringono con forza intorno alla vittima e la stritolano.» intervenne Costa, mimando la scena sovrapponendo i palmi delle mani e scattando in avanti con le braccia. «Ho visto un documentario non molto tempo fa.»
«Esattamente. Inoltre, i rettili sprovvisti di zampe come i serpenti, o dotati di arti poco sviluppati come i coccodrilli, non hanno molte altre alternative. Ed essendo organismi ectotermi, sono privi delle riserve energetiche necessarie all'inseguimento.»
«Molti serpente sono velenosi» notò Costa, annuendo.
«Questo perché in generale i serpenti non hanno di una dentatura che consente la lacerazione dei tessuti, e l'unico modo che hanno per nutrirsi è inghiottire la preda per intera, ma non possono farlo finché è viva. Come hai detto tu, le anaconde, i boa e i pitoni sfruttano l'eccezionale forza muscolare per stritolare la preda, mentre molte altre specie si servono del veleno.»
«Ma l'animale che ha ucciso Cayo non era velenoso? Insomma, se si trattava di un dinosauro, a che scopo sfruttare il veleno? Credo che i segni lasciati sul corpo siano inequivocabilmente il risultato di uno sbranamento. E poi non mi risulta che esistano uccelli velenosi.» La sua espressione si fece improvvisamente più seria e distante, come se stesse tornando con la mente al momento in cui l'operaio era stato attaccato.
Lei annuì, dubbiosa. I dinosauri carnivori erano dotati di una dentatura eccezionale, con denti che potevano arrivare fino a trenta centimetri di lunghezza. L'eventuale presenza di ghiandole velenifere sarebbe parsa alquanto strana, in quanto il veleno nei grandi predatori era essenzialmente superfluo. A meno che...
«Competizione» gli rispose, tutto d'un fiato.
«In che senso? I dinosauri hanno organizzato una gara per vedere chi fosse stato il più letale?»
«Competizione intesa come concorrenza alimentare» specificò, divertita per l'ambigua interpretazione, «quando due specie sono costrette a sfruttare le stesse risorse alimentari, competono tra loro finché una delle due non si estingue o, in alternativa, modifica la propria dieta. Ma potrebbe semplicemente sviluppare dei caratteri che consentono una maggior garanzia di sopravvivere. Come il veleno.»
Nella stanza calò un breve attimo di silenzio, poi Costa alzò di scatto la testa e la fissò, visibilmente teso.
«Quindi lei sostiene che il dinosauro che ha sbranato Cayo sia diventato velenoso perché in competizione con un altro carnivoro?»
«Be' sì, questa è l'ipotesi più...» lasciò la frase in sospeso, capendo improvvisamente il motivo della preoccupazione apparsa sul viso di Costa.
Si voltò verso il grande finestrino che occupava la metà superiore della parete di sinistra del laboratorio, osservando il punto in cui lo spiazzo di roccia scompariva tra la vegetazione.
«Oddio» disse, sentendo il cuore batterle a mille, «dobbiamo assolutamente avvertirli!»

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