Il camper era completamente distrutto, ridotto a un ammasso di ferraglie deformate.
Jonas Franco, esitante, si avvicinò lentamente al mezzo, la mano stretta attorno al calcio della Beretta che gli era stata consegnata e lo sguardo puntato sulla foresta che lo circondava, mentre il cacciatore e l'americano perlustravano l'area.
La dottoressa Su, invece, gli stava accanto, con la piccola pistola lanciarazzi abbassata, scrutando la penombra tra gli alberi alle sue spalle. Franco le lanciò un'occhiata e si sentì sprofondare all'idea che si fosse trovata in quella situazione, ma distolse rapidamente lo sguardo da lei e tornò a fissare la vegetazione. Non aveva alcuna intenzione di distrarsi.
Si trovavano in un piccolo spiazzo roccioso settanta metri più in basso di dove aveva lasciato il camper quando era uscito assieme a Rivas e Harris più di un'ora prima. Gli sembrava di trovarsi in quel luogo da giorni, quando erano trascorse a malapena tre ore. Le ore più lunghe della mia vita. Pensò.
«Come ti senti?» gli chiese improvvisamente Amy, con dolcezza.
Lui le rivolse un sorriso tirato, mentre si passava il dorso della mano sulla fronte imperlata. «Non riesco ancora a dare un senso a quello che ho visto. La caverna, il dinosauro, la morte di Costa...» si interruppe, la voce rotta dal dolore. «Lo siento.» "Scusami".
«No te preocupe» gli disse, appoggiandogli la mano sulla spalla. "Non ti preoccupare".
Lui le sorrise debolmente, grato di quel breve gesto di conforto, mentre tornava a voltarsi verso la fitta foresta che circondava lo spiazzo. Sentì i muscoli entrare in tensione alla vista della fitta vegetazione, mentre immaginava cosa potesse nascondersi al suo interno.
Dopo un paio di minuti, Rivas e il professore li raggiunsero, al centro della radura.
«Ci dividiamo, dunque» disse il cacciatore, le mani sui fianchi, mentre si voltava verso il camper rovesciato. «Io e Jonas entreremo, recupereremo il telefono satellitare e le provviste rimaste, qualora ne fossero rimaste, mentre la dottoressa Su e il professor Harris rimarranno all'esterno. Dovremmo impiegarci pochi minuti.»
Amy e Tom annuirono, lanciandosi un'occhiata, con espressione tesa, mentre Franco, titubante, seguiva Rivas verso il mezzo.
Appena gli fu accanto, Jonas rimase a bocca aperta. Da quella distanza, le ammaccature sulla carrozzeria risultavano molto più evidenti, profonde, come crateri sulla superficie di un pianeta. Le giunture delle portiere, invece, erano state completamente disincastrate dall'impatto, alcuni dei finestrini ridotti a ragnatele di crepe e gli altri andati in pezzi. I frammenti sparsi sulla pietra liscia riflettevano la luce solare, dando l'impressione che la roccia brillasse di luce propria come se fosse cosparsa di stelle.
Franco fissò l'effetto sforzandosi di prepararsi a quello che avrebbe visto una volta all'interno del veicolo, ma si rese subito conto che più ci rifletteva, più sentiva le forze venirgli meno. Cercò quindi di distrarsi, di concentrarsi su altri pensieri, ma anche quella tattica risultò inutile.
Chiuse gli occhi e fece tre respiri profondi prima di riaprirli. Quando tornò a fissare la sua immagine riflessa sulla carrozzeria distorta del mezzo cominciò a sentirsi meglio.
«Sicuro di voler venire? Se preferisce posso chiedere al professore di accompagnarmi.» disse Rivas, notando l'insicurezza nel suo sguardo.
Franco scosse la testa. Quell'alternativa era fuori discussione. Non sarebbe mai stato in grado di coprire le spalle alla dottoressa, e nemmeno di proteggere se stesso. Anche se Harris era esperto quanto lui nel maneggiare armi, era peraltro più giovane e robusto, e si augurava anche avesse i riflessi più rapidi dei suoi.
«Seguimi» il cacciatore aggirò il camper e si fermò di fronte al cofano, completamente deformato. Franco immaginò che doveva essere stata la prima parte del mezzo che aveva colpito il terreno durante la caduta. Il parabrezza era scomparso, i giunti privi di schegge, come se il vetro si fosse svincolato senza spezzarsi.
Jonas si chiese come poteva essere successo, data la dinamica dell'impatto, ma Rivas non sembrò porsi molte domande. Si inginocchiò a terra e si trascinò sulla pietra infilando il torso attraverso il finestrino vuoto. Attraverso l'apertura, Franco lo vide perlustrare brevemente l'interno, prima di uscire e rialzarsi in piedi.
«Lo spazio è sufficiente per permetterci di entrare. Una volta dentro ci dovremo muovere carponi. Il pavimento è perpendicolare al terreno, ora, perciò ci sposteremo sui finestrini laterali. Attenzione ai vetri; ferirci adesso non sarebbe una grande idea.»
Detto questo, si inginocchiò di nuovo e si infilò nel mezzo, facendogli cenno con la mano di seguirlo.
Franco sospirò, mentre si chinava a terra e lo tallonava nel veicolo ribaltato.
Una volta dentro ci mise qualche secondo per orientarsi. Come aveva detto Rivas, il pavimento largo due metri era ora disposto in verticale, alla sua sinistra, perpendicolare rispetto al terreno. La parete destra, invece, fungeva ora da soffitto, ed era completamente sgombra, tranne che per l'armadio a muro che separava i sedili anteriori dalla sezione con il tavolo da pranzo, il quale a causa dell'inclinazione non si trovava più sul pavimento, ma era invece caduto contro la parete sinistra.
Jonas immaginò la traiettoria verticale del mobile e la seguì con lo sguardo, scendendo fino ai finestrini sinistri, due superfici infrante di vetro appoggiate contro la pietra.
Fu allora che lo vide.
Il racconto di Amy sull'incidente non lo avevano preparato per niente a quella vista.
Sconvolto, si coprì la bocca con la mano sinistra, libera dalla presa della pistola, e si voltò verso lo spiazzo visibile attraverso l'apertura del parabrezza.
Rimase a fissare la foresta per quelle che gli parvero ore, finché Rivas non lo riportò bruscamente al presente. «Preferisce uscire? Vuole che porti il corpo nel laboratorio?»
Franco lo guardò con aria assente, incapace di formulare una risposta.
Il suo migliore amico era disteso privo di vita contro il divisorio tra i due vetri, in una posa scomposta, chiazzato di sangue e da un altra sostanza densa che doveva essere vomito.
Non riusciva a immaginare cosa potesse essergli capitato, era come in trance.
Aveva lavorato con lui per dieci anni nelle maggiori cave del paese, ed erano stati assunti a una distanza di pochi giorni l'uno dall'altro alla Mina de Calchaquíes. Nonostante la differenza di età, di quasi quindici anni, lo conosceva come un fratello, ormai.
E ora è morto... e io non ero con lui. Sentì un conato che si affrettò a reprimere, lasciandogli il bocca il disgustoso sapore della bile.Rivas Evian fissò il corpo esanime dell'operaio, senza provare alcun rimorso. Era una vittima, prevista, anche se peraltro accidentale, che gli aveva semplificato di molto il compito da portare a termine.
Grazie a quella circostanza, infatti, i civili da eliminare erano diminuiti di un numero, e ciò non poteva renderlo più felice.
Il telefono satellitare. Ricordò a se stesso, tornando alla realtà e guardandosi rapidamente intorno. Foster aveva detto loro di averlo lasciato nel vano portaoggetti del cruscotto, ma per quanto ne sapeva lui ora, la dottoressa e l'operaio potevano averlo utilizzato mentre lui, Jonas e l'americano era usciti per la perlustrazione. Pensò in fretta a come procedere. Come gli aveva detto Amy Su prima di entrare, a causa del fetore che emanava il cadavere di Costa non avevano molto tempo prima che attirasse qualche predatore.
«Recupera quante più provviste e strumenti utili trovi. Proiettili, razzi di segnalazione, alcol... tutto quello che pensi possa tornarci utile, mentre io cerco il telefono.»
Intorno a lui, nell'ammasso di cianfrusaglie varie, però, non lo vide. Decise di controllare nel vano, che si trovava a quasi due metri di altezza da terra a causa del ribaltamento del veicolo. Grazie al suo metro e novanta, però, lo aprì senza alcuna difficoltà, e si affrettò ad allungare le braccia per arrestare la cascata di oggetti che gli cadde addosso, per lo più raccoglitori di documenti relativi alle modifiche del camper. L'apparecchio scivolò fuori per ultimo.
«Trovato?» domandò Franco, da dietro.
Rivas lo afferrò e glielo mostrò, lasciando cadere a terra le carte.
Franco annuì, mentre prendeva dal minifrigo un panino avvolto nella pellicola, per poi infilarlo in un sacchetto già riempito con altri panini e afferrare da uno scaffale rovesciato un paio di bottigliette d'acqua minerale.
Poi si guardò intorno. «Non penso ci sia altro. Secondo Foster dovevamo rimanere qui dentro solo un paio d'ore, quindi immagino sia tutto qui quello che ci ha procurato.»
Evian annuì, controllando l'orologio. Le 3:17.
Non riusciva a credere che fossero trascorse a malapena tre ore da quando erano entrati in quella caverna, ma in quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri.
«Perfetto, allora adesso usciamo, raggiungiamo Su e Harris e contattiamo Foster.» disse, voltandosi e chinandosi per passare attraverso lo spazio vuoto del parabrezza, seguito da Franco, che stringeva con una mano la semiautomatica e con l'altra il sacchetto con i panini.
Una volta fuori, rimase accecato per qualche secondo dalla luce del sole, che in quel punto non era ostacolata da alcuna chioma data l'ampiezza della radura rocciosa. Appena tornò a vedere chiaramente, osservò con la coda dell'occhio Franco accanto a lui che apriva e richiudeva gli occhi come esercizio per far tornare a fuoco la vista, e il professore e la dottoressa che venivano loro incontro.
Appena furono a un paio di metri di distanza, però, si fermarono di colpo, come se avessero urtato contro una parete invisibile. Rivas impiegò una frazione di secondo per capirne il motivo. Un rumore spaventoso lacerò il silenzio, echeggiando dalla foresta alle loro spalle simile al ruggito di un mostro di qualche leggenda medievale.
Il cacciatore lo riconobbe all'istante.
Il carnotauro.
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Crono
Science FictionStoria vincitrice nella categoria SCIENCE FICTION ai Premi Wattys 2020 [In revisione, non su Wattpad] Nel nordovest dell'Argentina, in una cava di sabbia, un operaio viene brutalmente sbranato vivo da un animale misterioso, morendo nell'infermieria...