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I sogni non seguono nessuna logica, e il sognatore è sempre disposto ad accettarlo.
È durante la fase REM, la Rapid eye movement, che hanno origine i sogni nella mente umana, impossibili da controllare e impossibile da evitare.
Alonso Perez sentì la sua testa pulsare forte, mentre una rapida successione di immagini non definite gli vorticarono nella mente, mentre gli risuonavano le grida della moglie e del figlio. I rumori cessarono all'istante, seguiti da un verso gutturale che lo fece rabbrividire. Il primo istinto fu di correre via, ma si rese subito conto di essere bloccato sul posto, come paralizzato e, come se non fosse abbastanza, completamente cieco. Non riusciva ad aprire le palpebre.
Mentre cercava di muoversi, un rapido fruscio attirò la sua attenzione, e capì che il verso che aveva sentito era di un animale che gli era vicino in quel momento.
Una massa gelatinosa lo colpì improvvisamente in pieno petto, scaraventandolo a terra con forza.
Mentre tentava di liberarsi, avvertì la sua pelle bruciare al contatto con la sostanza, e la sua mente elaborò involontariamente una risposta. Veleno.
Alonso Perez si svegliò di scatto, come se avesse avvertito una scarica elettrica attraversarlo dalla testa ai piedi.
Seduto nel letto matrimoniale, sentì la fronte imperlata di sudore e il battito accelerato. Aveva avuto un incubo.
L'immagine tornò improvvisamente ad infestargli la mente, facendolo sbiancare.
Prendendosi la testa fra le mani, si passò le dita sugli occhi, cercando di frenare le lacrime. Non si era mai sentito così male.
Dietro di lui, sua moglie Clarisa sbadigliò e si mise a sedere, accendendo la piccola lampada sul comodino, che rischiarò appena l'ambiente.
Perez si girò, sforzando di sorriderle, tradendosi quando, nel rivederla, gli tornò in mente il suo urlo prima del verso sinistro dell'animale.
«Al, dimmi cosa non va» gli disse dolcemente, «stai piangendo?»
Lui si appoggiò allo schienale del letto e sospirò. «Ho fatto un brutto sogno, non ti preoccupare.»
«Raccontamelo.»
«Non posso, non ricordo bene» mentì, non volendo trascinare anche lei in quella storia.
«Così non risolverai nulla, allora» ribatté lei con decisione, «ho visto brutte scene anch'io, non so se la tua mente possa sbizzarrirsi più di un poliziesco.»
«Quando guardi un poliziesco sai già che tutto è finto e, per quanto passano rendere credile un cadavere fatto a pezzi, il tuo atteggiamento sarà diverso se la stessa scena accade ad un membro della tua famiglia.»
Dallo sguardo spaventato della donna, capì di essere stato forse troppo diretto con lei, ma sapeva che era uno dei modi migliori per confidare un fatto.
Da quando lavorava come medico all'Hospital San Bernardo, era capitato moltissime volte che dovesse comunicare a parenti ed amici di una complicanza o del decesso di un loro caro, e girarci intorno era sempre l'approccio sbagliato.
Nella maggior parte dei casi si creano delle false aspettative che aumentano il dolore emotivo al momento della confessione.
«Mi dispiace, scusa» le disse, inspirando per calmarsi. Il battito era ancora rapido.
«Non ti preoccupare, se ti fa sentire meglio puoi urlarmi contro, ma forse finiresti con svegliare Mateo, e sai quanto è difficile farlo addormentare la sera della vigilia.»
Quella frase gli strappò un sorriso, e si sentì più rilassato.
Clarisa Vera, trentadue anni e un fisico da ventenne, era diventata sua moglie dieci anni prima e, nove mesi dopo la luna di miele, era nato il loro primogenito.
Lavorando come psicologa in una clinica privata in centro città, a Clarisa era capitato spesso di passare alcune serate a discutere col marito di ciò che lo aveva stressato durante la giornata.
Il lavoro come medico permetteva che quelle serate fossero parecchie nell'arco del mese, ma la loro passione appena sbocciata ne faceva terminare la maggior parte prima della metà della terapia.
Perez amava la sua famiglia, e non si era mai immaginato di poterla perdere. Era un pensiero che non aveva mai preso in considerazione, benché sapeva di essere un uomo piuttosto pessimista.
L'incubo, anche se surreale, era riuscito a colpirlo nel profondo, facendolo sentire più vulnerabile di quello che era, accerchiato e minacciato da ogni tipo di pericolo.
«Credo sia stata colpa del lavoro ultimamente, sai... penso la storia dell'operaio.»
«Quello che non si sa com'è morto? E cosa hai sognato di preciso?»
Perez valutò se dirle tutto o omettere alcuni particolari, ma alla fine decise di confidarle quello che ricordava.
«Un grosso animale, credo, ha fatto irruzione nella nostra casa e ha divorato prima voi due» indicò lei e fece un segno verso la camera del figlio, «e poi mi ha immobilizzato per mangiarmi appena dopo.»
«Questo ti ha spaventato? Detto così mi sembra solo la trama di un film horror di serie B con dei mostri. Come sai che è collegato con l'operaio?»
«L'essere mi ha sputato, prima di mangiarmi. Il liquido mi ha immobilizzato come se fossero le ragnatele di Spiderman, penso che la mia mente mi abbia detto che quello era veleno.»
«Veleno
Lui annuì. «Nella ferita dell'operaio ne abbiamo trovato, ricordi?»
«Sì, non avevo afferrato il collegamento» gli rispose, dal tono non molto convinta, «ma perché poi non ricordi che animale era?»
«Non lo ho visto, non ho visto nulla a dire il vero.»
«Eri cieco
«Esatto.»
«E non hai capito, forse, di che essere potesse trattarsi?» gli domandò, cominciando a preoccuparsi. Lui le sorrise per calmarla.
«Non ne sono sicuro, ho solo sentito dei sibili... forse un serpente?»
«Un serpente? Doveva essere enorme!»
«Molto probabilmente.»
Lei sospirò, appoggiandosi allo schienale del letto. Lui la strinse a sé.
«Devo andare al lavoro, domani Al» gli disse, cercando di spingerlo lontano, ridendo.
«È la sera di Natale, no? E poi, ho avuto un incubo, dovresti consolarmi» le rispose, con un sorriso malizioso.
Lei si avvicinò al suo viso e gli diede un rapido bacio sulla punta del naso.
«Buonanotte, tesoro» gli disse, spegnendo la lampada sul comodino e avvolgendosi tra le coperte.

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