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Mentre correva lungo la riva del corso d'acqua con la pistola lanciarazzi stretta in pugno, Amy Su cercava di mettere insieme i pezzi. Le immagini terribili di quella giornata si susseguivano nella sua mente a una velocità allucinante. Rivide il carnotauro che si scontrava con il camper... il corpo di Costa ormai privo di sensi e ricoperto di sangue, disteso a terra... il foro di proiettile nell'addome di Franco... e Tom, che si lanciava con furia contro Rivas prima di venire scagliato nel vuoto.
A quell'ultimo ricordo si sentì sprofondare, come se la sua mente avesse registrato solo adesso la morte dell'amico. Avvertì di colpo la sua assenza, come se una parte di lei si fosse appena frantumata.
Non crollare. Si disse, tentando di ignorare il dolore che sentiva in petto. Devi essere forte, non è ancora finita. Amy si riscosse, sentendosi invadere da una nuova energia, un connaturato desiderio di vendetta, e ricacciò dentro le emozioni.
Inciampò in una radice e dovette afferrare un ramo per non cadere. La forza con cui serrò le mani attorno alla corteccia e il peso del corpo che la trascinava in avanti mentre cadeva le fece riaprire i tagli che si era procurata nella fuga inseguita da Rivas.
Stringendo i denti, ignorò il sangue che si raccoglieva nel palmo della mano e si rialzò in piedi, riprendendo subito a correre. Ormai non doveva trovarsi troppo lontano dal punto in cui era caduta in acqua.
Mentre avanzava nella penombra tra gli alberi, all'improvviso si rese conto di non aver pensato a un piano su come riuscire a uscire dalla caverna senza un mezzo di trasporto. Con il camper ridotto a un ammasso di ferraglie deformate, e il veicolo più vicino a centinaia di metri di distanza, l'unica opzione che le rimaneva era di uscire di lì a piedi, ma sapeva benissimo che sarebbe stato un suicidio. Inizialmente si era detta che fosse l'unica scelta possibile, poi però la sua mente era tornata indietro a quando Franco, nel camper, aveva raccontato a lei e a Tom della morte dell'operaio Cayo Guzman, sbranato da un noasauro mentre si addentrava a piedi nella caverna.
Amy si fermò di botto per riprendere fiato e raccogliere le idee. Ammesso che fosse riuscita a raggiungere lo spiazzo dove il carnotauro aveva attaccato lei e Costa, l'ultimo tratto che avrebbe dovuto percorrere per uscire da lì sarebbe stato completamente al buio, uno stretto passaggio lungo alcune centinaia di metri completamente immerso nell'oscurità. Istintivamente, abbassò lo sguardo sulla pistola lanciarazzi e si chiese se uno dei razzi segnalatori sarebbe bastato per illuminare la galleria permettendole di usare gli altri due rimanenti per proteggersi da eventuali predatori, ma le fu subito chiaro che non sarebbe stato sufficiente.
Da quello che ricordava, quando erano entrati nella grotta, avevano percorso il lungo tunnel che dalla Mina de Calchaquíes raggiungeva la caverna in poco meno di cinque minuti, ma questo con il camper e i fari accesi. A piedi, ci avrebbe impiegato cinque volte tanto, e non aveva razzi a sufficienza per illuminare la galleria il tempo necessario per percorrerla. E soprattutto, se li avesse usati tutti, sarebbe rimasta senza munizioni.
Chiedendosi cosa fare, si appoggiò contro il tronco di un albero e si sforzò di escogitare una strategia. La verità, però, era una sola. Se voleva avere una possibilità di uscire viva da lì, avrebbe dovuto farlo a bordo di un veicolo, ma l'unica maniera per ottenerne uno sarebbe stata quella di contattare qualcuno all'esterno e fare in modo che la raggiungesse...
Di colpo, sentì rinascere la speranza. Il cellulare! Infilò la mano in tasca, dove lo aveva riposto quella mattina, ma le sue dita incontrarono solo la stoffa fradicia. Scoraggiata, fece per alzare la testa e gridare tutta la sua frustrazione, ma l'urlo le si mozzò in gola. Di colpo, si ricordò di una cosa che aveva detto Foster nella tenda, quella mattina: "C'è un telefono satellitare bianco nel cruscotto. Impossibile sbagliarsi. Il mio numero l'ho scritto su un foglietto che ho incollato dietro l'apparecchio. Dovrebbe essere carico e pronto, ma ho comunque lasciato delle batterie di scorta."
Si era scordata che Foster aveva spiegato loro che i cellulari all'interno della caverna non avevano campo; perciò, anche se avesse avuto ancora con sé il telefonino, sarebbe stato inutile.
"...un telefono satellitare bianco nel cruscotto." Le tornò in mente solo ora, tuttavia, che Rivas e Franco erano andati a recuperarlo dai rottami del mezzo circa mezz'ora prima, e realizzò che ora doveva trovarsi chissà dove, trascinato dalla corrente assieme al peso morto di Rivas.
Per la seconda volta in quella mattina, vide le sue speranze andare in fumo davanti ai suoi occhi. Colpì l'albero con il pugno, facendosi forza per non gridare. È finita.
Poi, però, un flash. Rivide per un istante la scena dell'aggressione sull'altura: Tom che si lanciava contro Rivas, lo sparo a vuoto, la pistola del sicario che gli sfuggiva tra le mani. E se...?
Si domandò se per caso anche il telefono satellitare non potesse essere caduto nella colluttazione. In quel caso, le sarebbe bastato tornare sull'altura per verificare. Se non ci fosse stato, non sarebbe cambiato nulla, ma in caso contrario...
Di nuovo fiduciosa, si voltò di scatto e si mise a correre, curvando leggermente verso destra, quando un rumore simile allo squittio di un grosso topo si levò da un cespuglio a pochi metri da lei.
Amy si arrestò puntando bruscamente i piedi sul terreno e chinandosi dietro un grosso albero. Rimase in attesa, trattenendo il respiro, e sporgendosi quel tanto che bastava per intravedere la foresta. Nessun movimento. Silenzio assoluto.
Che stupida! Si disse, rialzandosi lentamente. Era solo un topo.
All'improvviso, il cespuglio dal quale era provenuto il verso si scosse, come se qualcuno o qualcosa lo avessero appena strattonato con violenza. Poi, dalla sommità, spuntò prima un becco, corto e arrotondato, e subito dopo una testa, allungata e stretta, di forma conica. L'animale sollevò il muso sopra il cespuglio e squittì di nuovo, voltandosi verso le proprie spalle.
Amy lo fissò senza fiato, rapita da quella scena senza tempo. Il dinosauro, calcolò, doveva essere grande non più di un metro e mezzo, quadrupede, e alto meno di settanta centimetri. La pelle squamata era verde scuro, più chiara sul collo e sulla mandibola, con una macchia rossastra tra gli occhi neri.
Poi, abbassando il muso, l'animale mosse qualche passo e uscì dal cespuglio, rivelando la sua fisionomia. Su riconobbe all'istante la doppia fila di placche ossee che gli correvano lungo la schiena e la lunga coda munita di quattro aculei arrotondati. Era senza ombra di dubbio un esemplare giovanile di una specie sudamericana di stegosauri.
Il cucciolo emise un verso acuto, come quello di un rapace, sollevandosi sulle zampe posteriori prima di ricadere con un tonfo a terra.
Amy sentì il cuore batterle all'impazzata mentre lo fissava da dietro l'albero. Adesso riusciva a vederlo chiaramente. Si era quasi dimenticata del motivo per cui lei ora si trovava in quella caverna, ma ora era lì, davanti ai suoi occhi, a pochi metri di distanza.
Mentre lo fissava, però, un movimento tra gli alberi alla sua destra catturò la sua attenzione. Voltandosi, alzò la pistola e strizzò gli occhi per abituarli all'oscurità. Per un momento, tra la vegetazione regnò la calma assoluta. Poi udì un barrito che lacerò il silenzio, seguito da una serie di tonfi sordi. Una sagoma immensa spuntò fra gli alberi e si avvicinò al cucciolo di stegosauro, fermandosi al centro della radura. Sulla schiena, le placche romboidali si levavano a quasi quattro metri di altezza.
L'animale abbassò il muso e colpì dolcemente l'esemplare giovane al fianco, che si voltò con uno squittio e si inoltrò nella foresta, tallonato dall'adulto.
Amy li seguì con lo sguardo finché non scomparvero tra gli alberi. Poi, cercando di fare meno rumore possibile, si sollevò da terra e si mise a correre, nella direzione opposta rispetto a quella dei due dinosauri.

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