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Tom fissò improvvisamente Amy, distogliendo gli occhi dal laptop. Lei alzò lo sguardo e sbuffò, grattandosi distrattamente dietro l'orecchio.
«Mi dispiace non esserti stato d'aiuto» le disse, mortificato.
«Tranquillo. Comunque, non ti ho ancora detto un altro paio di cose.»
Harris si sistemò meglio sulla sedia, incuriosito.
«Niente di che, altrimenti non te lo direi soltanto ora. Ero solo giunta alla possibilità che quel dente appartenesse ad un animale nuovo, non ancora scoperto» vide il professore illuminarsi, colpito, «oppure ad una specie che si crede estinta.»
«Se fosse la seconda ipotesi, noi paleontologi saremmo disoccupato, lo sai?»
Lei rise, scuotendo il capo. «Il contrario, se questo fosse di aiuto potrebbe essere più facile da capire.»
«In ogni caso non credo che da qui, così, ci si possa riuscire. Ho solo la foto di una misera appendice ossea. Potrebbe essere difficile persino se fosse un dente umano, data la somiglianza con quelli delle scimmie.»
«Vero, hai ragione su due fronti» rispose lei, arricciando il bordo del maglione fra le dita, «molto probabilmente faremo fatica a rintracciare esattamente la specie, più probabilmente il genere a cui appartiene. Secondo, qui non credo proprio, ma non ti preoccupare, fidati di me.»
Mi fido di te, Amy. Pensò Tom, allarmato. Ma non capisco proprio dove vuoi arrivare.
«Copriti bene, andremo con la mia macchina.»
«Amy, fermati un momento» la interruppe lui, cercando di farla ragionare, «è vero che qui faremo fatica, ma ci possiamo provare. Tra me e te un po' di cose salteranno fuori e abbiamo internet...»
«Tom» gli disse, bloccandolo, «lo hai appena detto tu stesso: abbiamo solo la foto di un dente. Chissà quanti riscontri riusciamo a trovare e, almeno credo, non so nemmeno come faremo a rintracciarli tutti.»
Harris la guardò, sconfortato. Aveva ragione, se fossero stati fortunati ci avrebbero impiegato parecchie ore solo per rintracciare la fauna autoctona della regione, e ancora di più per quella estinta.
«Stavi proponendo qualcos'altro?» le chiese, arrendendosi.
«Sì, ma non voglio rivelarti nulla. Considerala una piccola sorpresa.»
«Lo sai che non le amo particolarmente, Amy.»
«Questa volta dovrai solo fidarti, Tom. Non sarà poi la fine del mondo.»
Harris sorrise, mentre spegneva il laptop e lo riponeva nella custodia.
Amy nel frattempo recuperò la borsetta, si infilò il cappotto e raggiunse la porta, girandosi a guardare il professore, impaziente.
«Prima che tu possa fare qualsiasi cosa, Amy» la anticipò lui, «mi daresti qualche indizio?»
Lei attese un secondo, titubante.
«Ti porto indietro nel tempo, Tom» gli rispose, «magari troviamo l'illuminazione, laggiù.»
Lui aggrottò la fronte, alzandosi in piedi e infilandosi la giacca. La dottoressa, nel frattempo, raggiunse la porta e uscì in corridoio, dirigendosi fuori.
Tom la seguì, accelerando il passo per raggiungerla, sentendosi addosso i suoi quarant'anni da poco compiuti.
Non posso già invecchiare. Pensò, preoccupato. Ho solo pochi anni più di lei e fatico a starle dietro.
Scacciò subito quei pensieri appena superata l'entrata, quando l'aria fredda gli entrò nei polmoni e i cristalli di neve gli si posarono sul naso.
Non ebbe il tempo di lasciarsi invadere dall'atmosfera invernale che Amy lo prese per un braccio e lo trascinò verso la Citroën. Il calore all'interno del veicolo, constatò il professore, era più piacevole del freddo esterno, e si lasciò rilassare sul sedile del passeggero.
Lei si sedette al posto di guida, aprendosi la cerniera della giacca e lanciando sui sedili posteriori la borsetta. Si soffiò il naso e girò la chiave.
«Sai, questa non è proprio una DeLorean. Come hai intenzione di portarci indietro nel tempo?» scherzò lui, mentre l'auto accelerava sulla quarta strada.
«Come fanno tutti: pagando un semplice biglietto. L'unico problema è dove pagarlo ma, come ti ho già detto, lo scoprirai una volta arrivati.»
Niente da fare. Realizzò il professore, scoraggiato.
Mentre l'auto proseguiva lungo Park Avenue, Tom fissò fuori dal finestrino, contemplando le vetrine natalizie. Festoni e lucine elettriche contornavano la scena, solitamente abbellita da pupazzi e un Babbo Natale seduto su di un trono di legno all'interno di negozi di giocattoli e grandi magazzini.
All'incrocio con la sessantaseiesima strada, l'auto svoltò a sinistra, proseguendo attraverso Central Park. Una volta fuori, Amy svoltò nuovamente a destra, su Central Park West e Tom, guardando distrattamente davanti a sé, vide un imponente edificio contornato da alberi, con un grande colonnato. Osservandolo meglio, capì improvvisamente la loro destinazione.

La hall del Museo di storia naturale lo aveva sempre affascinato, ma mai come quella mattina. Fermo di fronte all'enorme scena preistoria che aveva di fronte, Tom si sentì di nuovo bambino, assaporando il momento della sua prima visita. Aveva sei anni e, una volta varcata la soglia, aveva già capito che i dinosauri non sarebbero stati una semplice passione infantile, come i fumetti o i film d'animazione.
E ora. Si rese conto, sorridendo. Ne ho la conferma.
Lo scheletro di mamma barosauro che proteggeva il cucciolo da un allosauro era un icona del museo, una delle uniche esposizione che si potevano ammirare gratuitamente, subito prima di pagare il biglietto.
Un pensiero si materializzò velocemente nella sua mente, dopo la mezz'ora frenetica di quella mattina. Il cuore prese a palpitargli forte nel petto, non riuscendo quasi a contenersi.
Molto probabilmente ti guarderò con la pelle addosso, mentre ti difendi davvero. Si disse, rivolto all'adulto di barosauro, che aveva di fronte. Lo scheletro di elevava per un'altezza pari ad un palazzo di cinque piani.
Il collo, ritto verticalmente, si piegava poi di quasi novanta gradi, infilandosi nella calotta del cranio. Le zampe anteriori erano parallele al terreno, rette verso il predatore, per allontanarlo.
Anche se era la rappresentazione iconica dei sauropodi, Tom sapeva che con estrema difficoltà avrebbero sostenuto il collo in quella posizione, analoga a quella delle giraffe. Il cuore, per pompare il sangue fino al cervello, sarebbe dovuto pesare sulla mezza tonnellata. Il sangue poi, una volta raggiunto il cranio, non vi sarebbe rimasto abbastanza a lungo prima di ridiscendere lungo la spina dorsale, tornando a circolare nel resto del corpo.
L'ipotesi più probabile a cui si era giunti era quella di sauropodi che sostenevano il collo parallelamente al terreno.
Un'altro fatto che lo aveva sorpreso, durante una visita guidata di quasi dieci anni prima, era che quello che veniva definito il cucciolo, apparteneva ad un'altra specie, il Kaatedocus siberi, un erbivoro di medie dimensioni.
Molti visitatori osservavano distrattamente quell'immensa scena, senza nemmeno soffermarsi sulla bellezza di quel mondo perduto. Allungando lo sguardo, Tom vide un gruppo di bambini intenti ad osservare l'allosauro. Quello che pareva il più grande del gruppo, indicava il muso del carnivoro, imitandolo, mentre ringhiava.
Harris non poté non ridere, pienamente d'accordo con l'ammirazione del bambino.
«Tom?» La voce di Amy risuonò alle sue spalle, mentre lo raggiungeva. Lui si girò, incrociando lo sguardo della dottoressa, accompagnata da un uomo alto e magro, le guance scavate e gli occhi stanchi. Lo conosceva solo di fama.
«Professor Harris, che piacere! Non ci eravamo mai parlati, o sbaglio?» domandò l'uomo, stringendogli la mano.
«Il piacere è mio, signor Myers» Tom ricambiò il saluto, sperando di non essersi confuso col nome, «e no, non ci eravamo mai incontrati.»
«La dottoressa Su mi ha spiegato che avete bisogno di visitare il nostro terzo piano» riprese il direttore, sistemandosi la cravatta, «ma ovviamente non avrete bisogno di una guida. Su stessa ha lavorato qui come tale per un anno.»
Amy annuì, imbarazzata.
«Mi dispiace solo non potervi accompagnare di persona, ma ho una riunione, una vera scocciatura. Vado a parlare alla cassa per scontarvi il biglietto, naturalmente.»
L'uomo li salutò con un cenno del capo e si allontanò.
Amy attese che fosse dall'altra parte della stanza, poi si girò e tirò un sospiro di sollievo.
«Non ti è mai andato a genio, vero?»
Lei alzò gli occhi al cielo. «No, non ha interessi se non economici qui dentro. Ha insistito per farci entrare gratuitamente, ma ho vinto io e ho pagato i biglietti.»
«Ma ha appena detto che ci avrebbe rimborsato.»
«Che ci provi» sibilò, sbuffando, «lo fa per provocarmi, si diverte così.»
Tom rise, scuotendo il capo, mentre si allontanavano dallo scheletro di barosauro e si dirigevano verso il fondo della stanza, alle scalinate.
«Non sarebbe meglio prendere l'ascensore?»
«No» rispose prontamente lei, seria, «preferisco le scale.»
Harris la guardò enigmatica, allungando poi lo sguardo verso le due ascensori sulla parete opposta. Il primo, aperto, lasciava intravedere un gruppo numeroso di visitatori accalcati, e capì subito il perché lei gli aveva risposto subito, decisa.

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