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La Volvo grigio scuro si fermò vicino al marciapiede, nella silenziosa Calle Alvarado 646 di Salta, una delle principali vie che tagliano orizzontalmente la città.
Mentre Foster scendeva dall'auto, alzò lo sguardo verso la struttura che lo sovrastava. L'indirizzo indicato sulle pagine gialle, era un modesto albergo del centro città. La struttura aveva un'anonima facciata di quattro piani, con una grande entrata moderna in netto contrasto con il resto. La scritta luminosa con il nome dell'albergo era stata spenta.

HOTEL POSADA del Sol ★★★

Locanda del Sole. Pensò, mentre attraversava le porte di vetro ed entrava nell'albergo.
La hall dell'hotel era una stanza rettangolare decorata con pareti tinte di bianco e pannelli lucidi di legno scuro. La scala che raggiungeva i piani superiori si trovava sulla sinistra, accanto alla reception.
Sul lato opposto della stanza, oltre a due grandi vetrate, si intravedeva la sala da pranzo, dentro la quale si vedeva solo una coppia di anziani.
Foster avvertì un vago profumo floreale che aleggiava nell'aria.
Speriamo di non rimanerci troppo qui dentro. Si disse, mentre raggiungeva rapido la reception. Prima chiudo l'affare, meglio è.
«Buongiorno» disse in spagnolo, cercando di nascondere il forte accento americano.
La giovane donna china su alcuni documenti alzò di poco lo sguardo, fissando l'uomo oltre le spesse lenti degli occhiali.
«Aveva prenotato?» gli domandò, tornando ad occuparsi delle carte.
«Veramente avevamo parlato al telefono poco più di due ore fa» convenne lui, «sono venuto per il signor Rivas. Si ricorda?»
Lo sguardo della donna si fece improvvisamente più serio. Spinse la pila di documenti lontano da lei e si schiarì la voce, indicando verso le scale.
«Prima porta a destra, primo piano» gli riferì, nervosa.
«Grazie infinite» le rispose lui, rivolgendole un rapido sorriso interrogativo.
Mentre saliva la scala di marmo bianco, notò che lungo il corrimano di legno scuro erano state avvolte delle luci natalizie, mentre un piccolo albero era stato addobbato vicino alla porta che dava sulla sala da pranzo.
Ripensò alla telefonata che aveva fatto con la donna alla reception poche ore prima, e si ricordò che anche allora, quando le aveva nominato il signor Rivas, si era innervosita.
Perché avrà reagito così? È forse un uomo pericoloso? Si domandò, incerto. Dal breve trafiletto che aveva letto, Rivas doveva essere un cacciatore, un disinfestatore di grossi animali che si stanziano nelle proprietà private e provocano piccoli disastri, come caimani nelle piscine o animali esotici fuggiti dagli allevamenti locali che scavano le loro tane nelle fondamenta delle case.
Un lavoro che include anche l'uccisione di alcuni di questi animali, oppure dei provvedimenti che possono sembrare eccessivamente crudeli, ma Foster non capiva come questo potesse influire sulla reputazione dell'uomo.
Tralasciando il fatto che possa essere violento anche nella vita personale. Rifletté, spaventandosi. Oppure esagera sul lavoro?
Quando si rese conto che entrambe le possibilità erano più che probabili, aveva raggiunto la porta indicata dalla donna.
La parete di legno spessa un paio di centimetri gli parve improvvisamente un telo di carta marrone, attraverso il quale ogni sensazione di tensione e nervosismo che provava riusciva a passarvi attraverso e raggiungere l'uomo che si celava dietro.
Scosse il capo e bussò, cercando di svuotarsi la mente da quelle idee. La porta si aprì.
Rivas Evian era un uomo muscoloso, alto circa un metro e novanta, il fascino latino e i lineamenti decisi. La camicia sbottonata lasciava intravedere il tatuaggio di un serpente che si arrampicava sul petto scolpito. L'uomo gli sorrise.
Con i suoi trenta centimetri in meno, Foster si sentì di colpo un bambino senza protezione che fissava un enorme cane senza catene, pronto a sbranarlo.
L'idea lo fece rabbrividire, ma si fece forza e gli allungò la mano.
Rivas gliela strinse con decisione, ghignando.
«Lei è il signor Foster, immagino. Scusi se mi presento non ancora pronto ma ha fatto più in fretta del previsto.»
La voce profonda dell'uomo lo riscosse. «Non ho trovato traffico, a dire il vero. Non si preoccupi, dopotutto siamo in casa sua, se così si può dire.»
Il cacciatore ridacchiò, scostandosi per farlo entrare.
Forse mi sto facendo prendere dal panico inutilmente. Si disse, mentre varcava la soglia.
La piccola stanza dell'albergo aveva le quattro pareti rettangolari di un color bianco sporco, un letto matrimoniale era posizionato contro la parete destra della stanza, di fronte ad un piccolo mobiletto sormontato da una televisione. Le finestre erano chiuse e era stata accesa l'aria condizionata. Il ronzio echeggiava da sopra l'entrata.
«Si sieda pure» lo invitò Rivas, indicandogli il letto, «la vedo stressato.»
Foster tentò di giustificarsi. «È solo che sto avendo un brutto periodo questi giorni a causa del problema di cui...»
«No» lo interruppe calmo lui, «o almeno, non credo sia solo per quello. Molti altri che vengono da me a chiedermi favori come il suo sono nervosi quanto lei ora, ma mi creda, può stare tranquillo. Vivo negli alberghi perché è più comodo alle esigenze del mio lavoro: spostarmi mi aiuta a guadagnare maggiormente e, tranne lei, pochi hanno voglia di raggiungermi percorrendo ore d'auto fino all'ipotetica sede della mia impresa. Ma, quando succede, di solito vuol dire che l'uomo in questione ha davvero bisogno di aiuto.»
Doug dovette ammettere che le incertezze nei confronti di quell'uomo erano prive di fondamento. Non pareva né irascibile, né violento.
Alternativo, forse. Pensò. Ma mi piace la sua interessante strategia.
«Ammetto che ha ragione. Su tutto, soprattutto sull'ultimo punto che ha citato. È vero: ho fatto due ore di auto perché ho un problema serio, ma soprattutto complicato, in quanto non conosco concretamente il mio problema.»
Lo sguardo di Evian si corrugò in un'espressione stupita, ma subito allungò una mano per bloccarlo prima che Doug potesse spiegarsi meglio.
«Ha dei danni alla sua proprietà ma non ha mai visto l'animale che li provoca? È questo che intendeva?»
«Non proprio» Foster scosse il capo, «non ha fatto danni materiali, piuttosto problemi morali e ferite fisiche, se si può dire così. Ha letto di recente i giornali locali?»
«Sì, riguardo l'operaio deceduto nella cava? Personalmente ritengo che ci sia ancora poca sicurezza, manutenzione e vigilanza. Chissà in che guaio si sarà cacciato quel poveretto. Ho letto che le sue condizioni sono inspiegabili.»
Foster si sentì in colpa sentendo quelle parole, anche se sapeva che erano tutte vere. Anche se sentirsele dire da un estraneo dritte in faccia, lo fece sentire peggio.
«In verità» specificò, «è quello che dovrà scoprire lei.»

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