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Amy, seduta silenziosamente sul sedile anteriore del taxi, osservò distrattamente il paesaggio esterno mutare dalla campagna poco illuminata dai lampioni posti ai lati della strada alle luci della città.
Considerata una delle città più belle dell'Argentina per lo stile coloniale spagnolo che ne caratterizza gli edifici, Salta conta circa cinquecentomila cittadini, che la rende anche l'ottava città più popolosa della nazione. Tra gli edifici principali della città vengono ricordati la cattedrale Il Cabildo del diciottesimo secolo e il parco cittadino Plaza 9 de Julio.
Durante il volo, oltre che aver cercato varie informazioni sulla città, Su aveva anche studiato le varie vie per arrivare all'albergo dall'aeroporto e, mentre il taxi curvava di novanta gradi a sinistra immettendosi in Avenida Hipolito Yrigoyen, si rese conto che stavano seguendo il percorso più breve, ed erano già a metà strada.
Guardando fuori, Amy scorse le lunghe file di locali aperti pieni di turisti che brindavano gioiosi, molti dei quali già ubriachi, riconoscibili dal modo precario con cui reggevano i calici pieni di vino di produzione locale e dal volume eccessivamente alto delle loro risate.
«¿Eres americano? Inglés? Italiano? ¿Eres chino, señorita?» domandò improvvisamente l'autista, facendola voltare. Quando si rese conto che l'uomo stava aspettando una risposta, lei  corrugò la fronte cercando di fargli capire che non aveva sentito. L'uomo annuì pazientemente, porgendole nuovamente la domanda.
«Americani, tutti e due» gli rispose in spagnolo, poi si affrettò a raggiungere: «i miei genitori però sono cinesi, sì.»
«Parla molto bene la mia lingua, e con un ottima pronuncia» le disse poi lui, continuando a guardare la strada, «anche se non ha l'accento di qui, chiaro.»
«Conosco le basi dello spagnolo, non mi sono mai preoccupata dell'accento...» gli rispose, imbarazzata, «ho studiato molto le lingue, ma non ho mai avuto tempo di studiare le variazioni delle stesse nei vari paesi in cui vengono parlate.»
L'autista ridacchiò. «Si rilassi, stavo scherzando per smorzare un po' della tensione che c'è qui dentro. Di solito sono abituato a chiacchierare con chi usufruisce del mio servizio, ma non ero sicuro che conosceste abbastanza la lingua. Ne parla delle altre, ha detto?»
Lei annuì. «Francese e italiano e, ovviamente, il cinese.»
«Mi stupisce signorina. E che lavoro fa, grazie a queste conoscenze, se non sono indiscreto?»
«Be'» gli rispose, «in verità lavoro come biologa all'università di New York... diciamo che le lingue le conosco per passione, più che per lavoro.»
«E il suo amico?» domandò poi, indicando Tom sul sedile posteriore con un cenno del capo, «è suo marito? Lavorate insieme?»
«Siamo colleghi a dire la verità» gli rispose, cercando di nascondere l'imbarazzo per l'incomprensione, finendo col ridacchiare.
«Indipendentemente dal vostro rapporto, devo proprio congratularmi con voi per aver scelto questa magnifica città in questo periodo fantastico per la vostra vacanza. Siete qui in vacanza, no? Per che altro, sennò?»
Lei annuì distrattamente, tornando a guardare fuori e cercando di fare mente locale della loro posizione e, quando lo capì, il taxi si era già fermato accanto al marciapiede.
«Arrivati. Hotel Almería, come mi avevate chiesto!» annunciò, girandosi a sorridendo rapidamente a entrambi. Amy colse il messaggio e si affrettò ad infilare una mano in tasca ed estrarre quasi quattrocento pesos argentini - l'equivalente di poco più di venti dollari - e glieli consegnò.
L'uomo le rivolse nuovamente un rapido sorriso e li invitò a scendere, mentre li precedeva e raggiungeva il portabagagli, portando entrambe le valigie fino all'entrata dell'albergo. Amy e Tom lo raggiunsero e lo ringraziarono, aspettando poi che si allontanasse.
Appena l'auto sparì dietro la curva, Su si voltò ed esaminò la facciata della struttura.
L'Hotel Almería di Salta aveva quattro piani, di cui il più alto formato da una terrazza che, sulla facciata principale, mostrava tre grandi arcate.
«Bello, non credi?» le domandò lui, indicandolo con un cenno.
Lei annuì. «Dentro è anche meglio. Entriamo, ma sappi che, anche se abbiamo la camera all'ultimo piano, questa volta non salirò per nessun motivo con l'ascensore.»
Mentre attraversavano la porta di vetro, Tom si mise a ridere sommessamente, trattenendosi poi appena davanti alla reception. La ragazza dietro il banco era molto giovane, forse aveva poco più di ventitré anni. I capelli castani erano legati in un grande chignon e, se li avessi sciolti, Amy immaginò che dovessero arrivarle poco sopra la vita.
«Buenas noches, ¿has reservado?» domandò loro con un sorriso stanco. "Avevate prenotato?"
«In verità ha chiamato per noi un nostro amico alcuni giorni fa. Si chiama Foster, forse ha prenotato a nome suo» le rispose lei.
La ragazza si chinò sul computer e digitò in fretta il nome. Dopo aver atteso il risultato della ricerca, alzò lo sguardo, annuendo. «Aveva prenotato a nome suo» riferì loro, voltandosi e prendendo la chiave dal gancio alla parete e consegnandola a Tom.
«Se prima di raggiungerla mi mostrate i documenti vi registro.»
«Subito, scusi» le disse Amy, sfilando la carta d'identità dal portafoglio nello zaino. La posò sul banco assieme a quella di Harris, che la aveva già estratta.
La ragazza li registrò in pochi attimi e riconsegnò loro i documenti.
«Primo piano, il numero della stanza è quello sulla chiave, ovviamente. Buona permanenza nella nostra struttura» disse loro, mentre gli indicava le scale alle loro spalle.
«Gracias» le disse poi Amy, mentre seguiva Tom verso la rampa. Come allungò il passo sul primo scalino, i suoi occhi vagarono nella stanza fino a fermarsi sull'entrata.
Fu un attimo, ma riuscì ugualmente a scorgerlo. Le parve che un'auto accelerasse improvvisamente davanti a lei, al di là della strada, e scomparisse inghiottita dalla notte. Di nuovo fu assalita da quel senso di disagio che aveva provato durante il viaggio in taxi, come se qualcuno li stesse seguendo.
Scosse il capo e si voltò, prendendo a salire le scale.
Sono solo stanca. Pensò, decisa. Stanca e paranoica.

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