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Hoyle entrò di corsa nel laboratorio, seguendo Sarah. La vide turbata, non pareva nemmeno stanca come le era sembrata quella mattina.
«Mi vorresti spiegare che cosa c'è? Mi stai facendo preoccupare.»
«Non inutilmente, te lo assicuro» gli rispose, sedendosi di fronte al computer. Vide che il sito era ancora aperto a quella pagina. Lui si accomodò vicino a lei.
«Prima ho fatto delle ricerche» gli spiegò, grattandosi la punta del naso, «sul luogo dove è stato rinvenuto il dente. Ti dico subito che il primo sito mi è bastato.»
Indietreggiò con lo sgabello, in modo che Hoyle potesse leggere meglio. Il testo era in spagnolo, ma si sforzò comunque di dargli una letta.

El cuerpo del obrero de Cafayate, Cayo Guzmán, finalmente fue enterrado en el cementerio de su ciudad, rodeado por sus parientes. Fuentes anónimas mostrarían señales de sobornos en el cuerpo de la víctima, incluso si por ahora no hay noticias ciertas. Ya sea que la familia quiera o no demandar al propietario de la cantera donde ocurrió el incidente, Douglas Foster, aún no se conoce. Nos mantenemos en contacto para futuras actualizaciones.

Quando terminò scosse il capo, voltandosi verso la collega.
«Avrei bisogno di aiuto per lo spagnolo» le disse.
«Giusto, mi ero dimenticata che tu non lo conosci» gli disse, mentre selezionava il breve articolo. Aprì la pagina di un traduttore automatico e attese che si caricasse la versione inglese. Quando comparve il testo, lei lo lesse rapidamente e annuì, indicando lo schermo a Hoyle.
«Ecco a te.» Lui lo lesse, finalmente a suo agio con la traduzione.

Il corpo dell'operaio di Cafayate, Cayo Guzman, è stato finalmente seppellito nel cimitero della sua città, circondato dai suoi parenti. Fonti anonime rivelerebbero segni di sbranamento sul corpo della vittima, anche se per ora non si hanno notizie certe. Se la famiglia voglia o meno fare causa al proprietario della cava dove è avvenuto l'incidente, Douglas Foster, non è ancora noto. Ci teniamo in contatto per altri aggiornamenti.

Quando ebbe finito, si portò una mano alla bocca, non credendo a quello che aveva letto.
«Non può essere» sussurrò, guardando di nuovo, non convinto di aver letto bene. Il testo era lo stesso.
Capì subito perché aveva visto Sarah così nervosa e agitata, e non poté che esserlo anche lui. Poi lo sguardo gli cadde sulla data.
«Ehi, guarda qui» disse, facendolo notare alla collega, «la pagina è stata aggiornata diciotto minuti fa!»
Cercò di assimilare la notizia, passandosi una mano sugli occhi, ma la situazione era più inquietante di quanto si fosse aspettato, non riusciva a comprenderla.
«Non ci posso proprio credere» replicò, tornando a guardare Sarah negli occhi.
«Devi crederci» lo bloccò lei, scuotendo il capo, «un uomo è morto, John! È inutile fare come gli struzzi e mettere la testa sotto la sabbia perché ci è più comodo.»
«Quella della testa sotto la sabbia è una storia senza fondamento, ma ho capito cosa intendi» continuò lui, «io non sto cercando di ignorare quello che c'è scritto lì. Le coincidenze sono davvero troppe, Sarah, me ne rendo conto.»
Lei attese in silenzio, il capo chino e lo sguardo assorto.
«Hai trovato solo quell'articolo?» le chiese poi, sedendosi.
«In verità ce n'era uno allegato, di due giorni fa, in cui si parlava a grandi linee dell'incidente. L'ho letto rapidamente ma non c'era scritto nient'altro di importante. I medici e i familiari non hanno permesso che informazioni sul cadavere raggiungessero i media.»
Lui si alzò di scatto, sbuffando. Si sentì improvvisamente intrappolato fra le quattro mura bianche del laboratorio, senza vie d'uscita.
La notizia lo aveva scosso più di quanto si fosse aspettato, ma decise di calmarsi e di affrontare il tutto un passo per volta.
Non è così facile. Si disse, guardando assorto il soffitto.
«John» lo chiamò lei, «che cosa è meglio fare, secondo te?»
«Credo che sarebbe meglio aspettare la dottoressa Su, mi piacerebbe tanto scoprire cosa potrebbe aver ucciso quell'uomo. Se non lo scopriamo e avvertiamo qualcuno, quel dente da solo non servirebbe a niente, creeremo solo altra confusione.»
«Vero» convenne lei, guardando prima lui e poi lo schermo.
«Vorrei anche tanto capire cosa ha riferito Foster alla famiglia, se ha rilasciato spiegazioni» continuò, appoggiandosi le mani ai fianchi.
Si risedette sullo sgabello, giocherellando con una penna sul ripiano del tavolo. Potevano solo attendere, e la prospettiva lo turbò. Detestava aspettare informazioni importanti.
«Se fossi una famigliare di quell'operaio, andrei io stessa dal signor Foster per una spiegazione» rispose lei, mentre si sistemava la coda di cavallo.
Lui annuì distrattamente, poggiando con forza la penna sul tavolo.
Non ce la faccio, voglio una risposta! Pensò.
Sarah gli prese le mani, guardandolo con serietà, notando fosse teso.
«Non mi piace questa storia, John. Non mi piace per niente.»
«Neanche a me» le disse, dando nuovamente un'occhiata alla pagina del sito, sperando fosse scomparsa. Notò con dispiacere che non era così.
«Ho bisogno di un caffè» annunciò Sarah, alzandosi di scatto e facendogli cenno di seguirla, mentre lei usciva nel corridoio. Lui annuì e la accompagnò nell'atrio del palazzo.
Sarah si bloccò appena fuori dalla porta, tornando di corsa all'interno del laboratorio. Dopo alcuni secondi uscì con un portatile sotto al braccio.
«Come mai te lo porti?» domandò Hoyle, indicandoglielo.
Lei sospirò, facendogli un sorriso stanco. «Magari può tornarci utile, no? Forse troviamo altre informazioni.»
Lui annuì, mentre lei riprendeva a camminare.
«Vestiti» gli ordinò, passandogli la giacca dall'appendiabiti, «non voglio quella schifezza delle macchinette.»
«Sì, neanch'io» le rispose, soprappensiero. Lei se ne accorse e si avvicinò, aggrottando la fronte.
«Cos'hai? Ti vedo continuamente assente.»
«Ti pare? Sto ancora pensando a quell'articolo» rispose, infilandosi le maniche e mettendosi il berretto di lana.
«Va bene, ti capisco. Ma aspetta che ne parliamo di fronte ad una tazza fumante, John. Se vuoi ti offro i pasticcini, ma adesso seguimi fuori.»

Sarah si voltò, seguita da Hoyle, che la raggiunse alla porta, salutando velocemente la segretaria. Appena fuori, sentì neve posarsi sui suoi capelli, ma lei la ignorò, scendendo in strada.
«Sai già dove stai andando?» le chiese lui, mentre controllava il cellulare.
«Sì, c'è un piccolo locale qui vicino, dietro l'angolo.»
Lei proseguì lungo il marciapiede fino all'incrocio con Lexington Avenue.
La sinagoga centrale svettava sulla strada con le sue due torri neomoresche di fine ottocento, sormontata da due cupole di rame dorato. Situata su 652 di Lexington Avenue, all'angolo con la cinquantacinquesima strada di New York, era una delle costruzioni che Sarah preferiva in tutta la città. Quel tempio di pietra rosso scuro, quasi marrone, decorata con pietre più chiare con motivi contrastanti, pareva estranea in quell'enorme foresta di grattaceli rettangolari.
L'impatto visivo la aveva sempre colpita e attratta. Benché non fosse di fede ebraica, aveva visitato più volte l'edificio, anche durante le funzioni religiose, rimanendo sempre colpita dalle numerose decorazioni dorate sulle colonne e sulle volte.
Si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, spostandosi per far passare una donna con la figlia. Alzando lo sguardo vide Hoyle che le sorrideva, indicando con lo sguardo il piccolo locale oltre la strada.

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