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Nella sala da pranzo dell'Almería, Amy stava cercando di bere il caffè bollente che aveva davanti. Da quando si era svegliata, sentiva un perenne nodo allo stomaco che le impediva di mandare giù qualsiasi boccone.
Per tutta la notte, non aveva fatto altro che pensare a quello che le sarebbe successo la mattina seguente, a quello che avrebbe visto e, quando si era accorta che il sole era già sorto, aveva deciso di svegliarsi una volta per tutte, malgrado la stanchezza.
Tom, nel letto accanto, aveva dischiuso gli occhi guardandola con fare interrogativo, e lei gli aveva semplicemente risposto che non riusciva più a rimanere a letto.
Ora, alle nove e un quarto della mattina, si trovava ancora nella stessa situazione, a fissare con disgusto la tazza colma di liquido fumante.
«Non so quanto posso aiutarti, ma secondo me dovresti mandar giù qualcosa» le disse Tom, indicandole la tazza e posandole un biscotto sul piattino.
Lei si girò e gli sorrise, annuendo. «Hai ragione, mi sforzerò.»
Assaggiò il caffè e addentò il biscotto, cominciando a sentirsi un po' meglio. Poi, alzando appena lo sguardo, incrociò quello di un uomo anziano, sulla sessantina, piuttosto basso e magro. Indossava un completo elegante a righe bianche e blu e un cappello in feltro che gli copriva un po' il viso provato e stanco.
Tenendo in mano gli occhiali da sole, si avvicinò a loro e si schiarì la voce, rivolgendo loro un sorriso tirato. Tom alzò lo sguardo e si pulì la bocca col tovagliolo.
«Possiamo fare qualcosa per lei?» gli domandò, alludendo alla sedia vuota al loro tavolo.
«Oh» gli rispose, continuando a sorridere, «molto più di quello che immagina!»
Si sedette sulla sedia, appoggiando il cappello sul tavolo e passandosi una mano sugli occhi.
«Lei è il signor Foster?» gli chiese improvvisamente Amy, come se dentro una vocina glielo avesse suggerito. L'uomo annuì.
«In persona» le rispose, e prese un biscotto dal piatto di Tom, «e quindi voi dovete essere la dottoressa Su e il professor Harris, immagino» strinse loro la mano con poco sentimento, «comunque scusatemi, avevamo appuntamento qui fra un quarto d'ora ma ho trovato davvero pochissimo traffico e forse ho spinto troppo sull'acceleratore.»
Si mise a ridere, e anche loro due si impegnarono a sembrare divertiti. Quando smise, cambiò espressione, guardandoli con più serietà.
«In ogni caso, vi volevo assicurare che la squadra è al completo, non avete di che preoccuparvi. Il cacciatore che ho assunto è un esperto, un uomo che scinde perfettamente vita professionale e privata, di questo, in realtà, me ne sono assicurato personalmente, diciamo» ridacchiò ancora, riprendendo immediatamente dopo, «e gli altri due sono i colleghi che erano con Guzman quando è deceduto.»
Amy lo interruppe rivolgendogli uno sguardo confuso. «Che si trovavano con lui? E come mai non si sa cosa possa averlo attaccato? Nessuno di loro ha visto niente
Foster scosse il capo, sconsolato. «Macché. Se sono stati animali, che è l'ipotesi più probabile, devono essere molto scaltri.»
«E perché avrebbero attaccato solo Guzman?»
«Non penso sia andata proprio così. Lei non ha avuto il dispiacere di vedere le condizioni dell'operaio appena lo hanno portato all'infermeria. Orribile, davvero, ma, ripensando a quelle immagini, mi viene da pensare che quegli animali abbiamo avuto davvero poco tempo per attaccarlo. Aveva sì brutte ferite, ma poche.»
Amy cercò di comprendere il ragionamento, anche se non riusciva a seguirne bene il filo. «Quindi crede i tre operai siano stati sorpresi ma, anche se sono stati sopraffatti da questi animali, solo Guzman è stato ferito e sono riusciti a scappare prima che fosse troppo tardi per tutti?»
«Esatto, questo è quello che ho pensato io.»
«Però Guzman è comunque deceduto, quindi queste ferite dovevano essere proprio gravi. Quando ci siamo telefonati a New York, lei è stato piuttosto vago su questo aspetto.»
Foster sospirò. «Il suo busto era praticamente aperto a metà. Il taglio si estendeva dalla spalla fino a poco sotto l'ombelico. Quando è stato portato in infermeria aveva già perso parecchio sangue.»
Amy si coprì la bocca con la mano, sentendosi come se qualcuno le avesse appena tirato uno schiaffo e avesse al tempo stesso ingoiato un macigno.
«Avete fatto comunque qualcosa?» chiese Tom, a bassa voce.
«Ripulito la ferita e chiamato un elicottero, ma non è servito a niente. È morto dopo pochi minuti. Non credo di aver mai visto una scena tanto straziante. Avrei preferito risparmiarvelo.»
Anche se avrebbe preferito non saperlo, una piccola parte di lei pretendeva ancora che non le venisse nascosto nulla, benché Foster era stato sincero e si era preoccupato in prima persona della spedizione.
E noi potremmo essere i prossimi. Quel pensiero le parve il colpo di grazia. Aveva già immaginato di potersi trovare di fronte ad un pericolo a cui non sarebbe potuta fuggire, ma il desiderio della scoperta aveva messo in secondo piano le sue preoccupazioni.
«Chi è l'uomo che ha reclutato per proteggerci?» gli domandò improvvisamente, come se quella domanda non avesse fatto altro che attendere di poter essere espressa.
Foster si ricompose, scambiandole uno sguardo d'intesa.
«Me lo sono chiesto anch'io, sa? Chi posso chiamare? Di chi mi posso fidare per affidare la vita di estranei nelle sue mani? Ma la risposta è arrivata da sola. Ho semplicemente consultato le pagine gialle e ho deciso di chiamare i vari numeri di cacciatori. Il primo che ha risposto è anche quello che mi ha convinto maggiormente. È davvero un professionista, serio, preciso. Non credo di aver mai avuto tanta fortuna in vita mia.»
Amy si sentì un attimo meglio, anche se fidarsi delle parole di Foster non avrebbe avuto lo stesso effetto che conoscere il cacciatore di persona.
«E ha detto che ci aspettano già là?»
Lui annuì, guardando verso un punto imprecisato fuori dalla finestra accanto al tavolo.
«Allora forse è meglio non farli aspettare, no?» chiese Tom, allungando l'ultimo biscotto a Amy e alzandosi in piedi.
Lei lo ringraziò e finì il caffè, prese il biscotto, la giacca che aveva lasciato sulla sedia, e li seguì fuori dalla sala da pranzo. Mentre si apprestavano a superare l'entrata, si avvicinò a Tom e gli sussurrò nell'orecchio: «Credi che sia pericoloso? Possiamo fidarci?»
Lui attese un secondo a risponderle. «Pericoloso? Sì, probabile, ma forse possiamo fidarci. Alla fine, se Foster avesse davvero organizzato tutto esclusivamente per salvare se stesso e il suo business finanziario, non mi sembra il tipo che rischia tanto su un investimento.»
Lei si voltò e lo guardo stupita. «Mi hai appena fatto sentire un po' meno umana quando ci hai definito "investimenti", sai? Però devo anche ammettere che mi sento un attimo meglio, ora.»
A volte aveva l'impressione che le sue paranoie avessero una coscienza propria e si divertissero a tormentarla nei momenti in cui doveva prendere decisioni difficili o doveva provare qualcosa di nuovo.
Sono davvero una sciocca. Pensò, appena il sole dell'Argentina le lambì il viso e la riportò al presente. Ad appena un paio di metri davanti a lei, di fianco alla strada, c'era una Volvo grigio scuro ferma ad attenderla.
Foster la superò e aprì l'auto, facendo poi cenno ad entrambi di entrare. Tom si accomodò davanti, mentre Amy occupò i sedili dietro, sentendo il corpo sprofondare nei sedili di pelle scura e rilassarsi.
La sensazione si interruppe bruscamente appena l'auto partì lasciandosi l'hotel alle spalle, che scomparì in pochi secondi dallo specchietto retrovisore.
Quando l'auto svoltò in Avenida Hipolito Yrigoyen, Amy si rese conto che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio a bordo di un mezzo prima di scoprire la verità dietro la morte dell'operaio.
Un sorriso le increspò le labbra.

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