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Amy Su aveva i polmoni in fiamme e sentiva le gambe pesanti come marmo mentre risaliva assieme a Tom la pista che avevano percorso meno di un'ora prima nella direzione opposta per raggiungere lo spiazzo con l'altura.
Il terreno sotto le suole degli scarponcini era umido e scivoloso, e reso ancora più infido dal sottile strato di condensa che si formava sulle radici esposte degli alberi. Stando bene attenta a dove metteva i piedi, Amy rialzò per un istante lo sguardo dal terreno e guardò in avanti, con il cuore che le martellava nel petto.
La pista curvava leggermente verso destra. In quel punto l'aria era decisamente più fredda e il forte odore di umido e di resina conferiva a quell'ambiente la sensazione di percorrere uno stretto corridoio nelle viscere di una sconfinata cattedrale di roccia. Qualche centinaio di metri sopra le loro teste, la luce del sole era bloccata dalle ampie chiome degli alberi, gettando quell'angusto cunicolo in un'oscurità quasi totale.
Su strinse con più decisione le dita attorno al calcio della pistola lanciarazzi e cercò di concentrarsi su un unico pensiero, per ignorare la paura: porre quanta più distanza possibile tra loro e il carnotauro.
Lanciò una rapida occhiata alle loro spalle per assicurarsi che il dinosauro non li stesse inseguendo e tornò a guardare in avanti, chinandosi appena in tempo per evitare di colpire un ramo che altrimenti avrebbe rischiato di romperle il naso. Quel movimento improvviso le fece perdere l'equilibrio ma, subito prima di colpire il terreno, Tom la afferrò per il braccio e la aiutò a rialzarsi. Lei lo ringraziò e fece per riprendere a correre, ma lui la trattenne per la manica. «Aspetta» le disse, facendola fermare di botto.
«Che cosa c'è?» gli domandò, sentendo i muscoli entrare in tensione e alzando istintivamente la pistola. «Hai visto qualcosa?»
«No» Tom fece un passo in avanti, guardandola negli occhi. «ma mi sono appena ricordato di una cosa.» Con espressione trafelata, le raccontò della radura con le carcasse dei saltasauri in cui si erano imbattuti lui, Rivas e Franco quando si erano allontanati dal camper e del suo nascondiglio di fortuna nella cassa toracica di uno dei sauropodi quando il carnotauro era sbucato dalla foresta. Quando terminò, Amy si sentiva come se le avessero appena tirato uno schiaffo. Non ce la faremo mai a uscire di qui.
Harris, tuttavia, non sembrava altrettanto scoraggiato. «Forse però abbiamo ancora una possibilità di farcela. Ci basterà aggirare la radura risalendo il versante fino alla parete di roccia e rimanervi vicino. In un modo o nell'altro, dovremo riuscire a raggiungere lo spiazzo senza imbatterci in altri predatori.»
Amy annuì debolmente, per niente certa dell'infallibilità del piano. «Va bene. Da che parte dobbiamo andare?»
Lui si voltò verso la sua destra, aggrottando le sopracciglia. «Per di qua.» disse, infilandosi tra gli alberi.
Con il cuore in gola, Amy si tuffò nella fitta vegetazione subito dopo di lui.

A qualche centinaio di metri di distanza, all'interno della tenda, Douglas Foster sedeva sulla sedia in legno e tela posta di fronte all'entrata della caverna, il viso illuminato dal display del telefono satellitare che teneva in mano. Sullo schermo, l'ultimo messaggio da parte del suo contatto all'interno della grotta, che lo assicurava di riuscire portare a termine l'incarico assegnato entro un'ora.
Di ore, però, ne erano già passate ben due, e senza che lui ricevesse alcun aggiornamento. Foster iniziava a spazientirsi. Avrebbe dovuto chiamarmi un'ora fa... che sia accaduto qualcosa? In ogni caso, non avrebbe potuto attendere oltre. Era sorto un problema imprevisto, e non si poteva certo permettere che la situazione gli sfuggisse nuovamente di mano. Avrebbe fatto meglio a risolvere da solo il secondo contrattempo. La posta in palio era troppo alta.
Frustrato, compose il numero di cellulare che il guardiacaccia gli aveva lasciato pochi minuti prima e sollevò la cornetta. L'uomo gli rispose dopo un paio di squilli.
«Soy Hernando Ramirez, ¿en qué puedo ayudarte?» disse, con tono professionale.
«Signor Ramirez, scusi se la richiamo ora che è appena ripartito dalla cava, ma il professor Harris e la dottoressa Su mi hanno appena comunicato che stanno uscendo ora dalla caverna e pensavo che potesse interessarle ciò che avranno da dire su quanto hanno visto.»
«Signor Foster, la ringrazio per avermi ricontattato!» esclamò, cambiando subito tono. «Sarò lì da lei fra un quarto d'ora. È stata davvero preziosa la sua collaborazione.»
Doug Foster salutò e chiuse la telefonata, appoggiando il telefono sul tavolo e estraendo una piccola rivoltella dalla tasca interna della giacca.
Appena la luce del sole si riflesse sul metallo della canna, Foster sogghignò. Sarebbe stato molto più facile di quanto si fosse aspettato.

Tom avanzava per primo nella fitta vegetazione, seguito da Amy. Il terreno aveva un'inclinazione di quasi quarantacinque gradi e i rami caduti a terra non aiutavano di certo a facilitare la scalata, ma sentiva l'istinto di sopravvivenza spronarlo a continuare.
Ogni fibra del suo corpo era tesa, lo sguardo puntato in avanti, per individuare qualsiasi indizio che potesse rivelare la presenza di un predatore in agguato nella penombra fra gli alberi. Se dovessimo imbatterci di nuovo nel carnotauro, questa volta non avremo a disposizione nessuna carcassa dentro cui nasconderci.
Con la coda dell'occhio si accertò che Amy fosse ancora dietro di lui e sorrise girandosi verso il pendio. Sarei morto se non fosse per lei. Pensò, cominciando solo ora a rimettere insieme i pezzi delle ultime ore. Di colpo, gli tornò in mente l'aggressione sull'altura, la caduta in acqua e lo stato di limbo in cui il suo corpo aveva galleggiato. Sono sopravvissuto. Ed è stata lei a salvarmi.
Avrebbe fatto di tutto per sdebitarsi, per ringraziarla, un giorno, ma ora aveva un solo pensiero per la testa. Non sarebbero mai stati veramente in salvo finché fossero rimasti in quella caverna.
Rialzando lo sguardo, fu accecato per un breve istante dalla luce del sole che in quel punto riusciva a farsi strada fra le fronde degli alberi e, non appena riuscì a rimettere a fuoco, distinse chiaramente l'immensa parete di arenaria che incombeva sul versante, a non più di venti metri da lui.
Il costone di pietra saliva per un centinaio di metri in verticale prima di curvare verso l'interno della grotta, come in una basilica romana, a formare una sconfinata calotta semisferica che sembrava levitare come senza peso a mezz'aria.
Dalla sua posizione, Tom si sentì minuscolo di fronte al grande abisso che pareva esplodere sopra la sua testa. Con un misto di meraviglia e apprensione, seguì con lo sguardo la scarpata fino in cima, ammirando a uno a uno i centinaia di sottili strati di arenaria che si sovrapponevano gli uni sugli altri creando una tela naturale frutto di milioni di anni di forti pressioni ed erosione costante.
Sebbene in un'altra circostanza sarebbe rimasto ore ad ammirare quello spettacolo, in quel momento si ricordò di non avere tempo e distolse la sua attenzione dalla scarpata, girandosi verso Amy. «Dobbiamo andare da questa parte.» le disse, indicando la foresta alla loro sinistra.
Lei sembrava averlo già intuito. «Vado avanti io, questa volta.» sentenziò, alzando la pistola e lanciandogli un'occhiata in tralice, prima di rimettersi a correre verso gli alberi. Lui la seguì, senza che lei gli desse nemmeno la possibilità di obiettare, venendo inghiottito nuovamente dagli alberi.

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