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Rivas Evian non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, né di quanta strada avesse percorso, prima che avvertisse una superficie dura come cemento arrestare di colpo il suo lento avanzare in sospensione. La reazione fu immediata e spontanea, quasi fosse stato qualcun altro ad agire e non lui stesso.
Si voltò di colpo e affondò le dita nella sabbia, puntellandosi sui palmi aperti e sollevandosi sopra la superficie calma del corso d'acqua. Avvertì un bruciore lancinante mentre l'acqua che aveva inspirato si faceva strada lungo la trachea e veniva espulsa dalla bocca e dal naso. Lentamente, il bruciore si affievolì.
Tossì ed espulse le ultime boccate di acqua, quindi si trascinò con i gomiti verso la riva asciutta del torrente e si sedette a terra con la schiena appoggiata contro un ceppo marcio e ricoperto di muschio e rampicanti. Alzò la testa e chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Dopo qualche secondo, avvertì il battito cardiaco rallentare e la testa smettere di girare. Sono quasi morto.
Di colpo, gli tornò tutto alla mente, dall'inseguimento nella foresta alla caduta in acqua, ma accantonò subito quei pensieri, cercando di concentrarsi sul presente. Dove mi trovo?
Raccogliendo le forze, afferrò con entrambe le mani la corteccia del ceppo e si alzò in piedi, ignorando le gambe tremolanti e il dolore pulsante alla caviglia, dove la donna lo aveva colpito con lo scarponcino per farlo cadere dal tronco.
Si sollevò in piedi e si voltò, sperando di scorgere qualsiasi indizio che potesse aiutarlo a orientarsi, ma l'unica cosa che vide non contribuì affatto a rassicurarlo. Gli ci volle qualche secondo per mettere a fuoco l'immagine. Si trovava al centro di un'ampia radura dal diametro di quattro campi da calcio, circondata da alberi alti come palazzi di trenta piani. L'erba era alta più di due metri e si estendeva uniformemente in ogni direzione.
A circa duecento metri di distanza, all'altro capo della radura, la caverna terminava bruscamente con una parete di roccia che scendeva in verticale scomparendo dietro una stretta striscia di alberi.
Abbassò lo sguardo, cercando di abituare la vista alla luce accecante del sole, e si arrampicò lentamente sul ceppo, stando ben attento a non appoggiare il piede sulle parti più deboli della pianta. Una volta in cima si sollevò in piedi e si guardò attorno, cercando di individuare la direzione giusta da prendere.
Seguì con lo sguardo il percorso sinuoso del corso d'acqua controcorrente, e vide che scompariva tra la vegetazione a una cinquantina di metri di distanza dalla sua posizione, alla sua sinistra. Si riparò gli occhi con la mano e alzò lentamente lo sguardo verso la calotta emisferica di arenaria sospesa centinaia di metri sopra la sua testa. Poi riabbassò la visuale e guardo fisso davanti a sé. Individuò la parete di roccia dello spiazzo dove avevano lasciato il camper prima di scendere verso il fondo della caverna a circa cinque chilometri di distanza, appena visibile a causa della luce abbagliante che filtrava dalle spaccature del soffitto. Devo assolutamente raggiungerlo.
Abbassò la mano sulla cintura dei pantaloni, tastandola alla ricerca di una delle armi che aveva portato con sé. Strinse le dita attorno all'impugnatura di un vecchio coltello da caccia e lo sfilò dalla cinta, ammirandolo per un secondo alla luce del sole. La lama era scheggiata e l'impugnatura consumata, ma in compenso era l'ultima arma che gli rimaneva.
Il telefono satellitare! Infilò di scatto le mani nelle tasche del giubbotto, ricordandosi solo ora del dispositivo che aveva recuperato dai rottami del camper. Le sue dita, tuttavia, incontrarono soltanto stoffa fradicia e piccoli rami secchi che si erano impigliati negli abiti durante la fuga. «Mierda!» esclamò, stringendo i pugni.
Così non andava, pensò. Si sentiva frustrato ed esausto. Era la prima volta che aveva rischiato così tanto per eliminare dei civili, per di più disarmati. Batté con il piede sul ceppo e saltò a terra, accorgendosi troppo tardi dell'errore. Il dolore che si diffuse nella gamba sinistra lo accecò, costringendolo ad appoggiarsi col corpo al tronco per riprendere fiato. Fece tre respiri profondi prima di rialzarsi in piedi e incamminarsi verso la parete di roccia.
Lentamente, attraversò il torrente tenendo i piedi ben saldi sul fondo e mantenendo il petto fuori dall'acqua. Nel punto più profondo, l'acqua arrivò a lambirgli i muscoli pettorali, stringendogli il torace in una morsa gelida. Trattenendo il respiro, si arrampicò sulla riva opposta e si ritrovò di fronte alla distesa di erba alta che si profilava davanti a lui per decine di metri in ogni direzione. In lontananza, scorse appena il profilo più scuro degli alberi della foresta.
Abbassò di nuovo lo sguardo sul coltello e diede un bacio alla lama, un gesto che non faceva più da diversi anni, ma che ora lo aiutò a infondergli coraggio. Poi tornò a fissare la radura. Di colpo, si rese conto di un dettaglio a cui prima non aveva pensato.
Non ci sono animali. Era strano, pensò. Gli tornò in mente la radura con le carcasse dei saltasauri che aveva visto assieme all'operaio e all'americano a pochi metri dal camper, quando erano usciti. Si chiese come mai grandi animali erbivori come quelli preferissero rimanere nella foresta invece di addentrarsi in quell'ampio spazio erboso. Probabilmente è per il caldo. Si disse, liquidando in fretta quei pensieri. Non essere paranoico, l'ultima cosa di cui hai bisogno al momento è distrarti.
Si asciugò la fronte dal sudore e si inoltrò nell'erba, mettendosi a correre. Il dolore alla caviglia era insopportabile.
Sprofondò con il piede in una pozza d'acqua e cadde a terra, colpendo il terreno con il fianco e rimanendo senza fiato. Ignorando le fitte, puntò i pugni nel fango e si rialzò, riprendendo la corsa. Aveva i polmoni in fiamme e le gambe di piombo per lo sforzo, ma non si arrese. Doveva assolutamente raggiungere gli alberi. Una volta rintanato nella foresta, le sue possibilità di raggiungere lo spiazzo nascondendosi tra la vegetazione sarebbero notevolmente aumentate. Ancora cinquanta metri.
All'improvviso, sentì un sibilo provenire da un punto alla sua sinistra. Si fermò di colpo, il coltello stretto in magno e il cuore che martellava. Una goccia di sudore gli colò lungo il collo. Trattenne il respiro e contò dieci secondi prima di riprendere a correre.
Lo sentì di nuovo, questa volta alle sue spalle. Si voltò di colpo e vide un'ombra scura attraversare con un salto la stretta pista che si era lasciato alle spalle. Lanciò un grido e cadde a terra, atterrando pesantemente sul fango.
Trascorsero altri quindici secondi. Interminabili. Poi udì nuovamente il sibilo. Gli ricordò il verso di alcuni serpenti che aveva visto in un documentario tempo prima. Strinse i denti e si trascinò nel fango per alcuni metri prima di rialzarsi in piedi. Si guardò intorno freneticamente, ma non distinse altro che la fitta coltre di erba che si estendeva intorno a lui. Forse me lo sono soltanto immaginato. Pensò, voltandosi. Gli alberi erano ormai a quaranta metri di distanza.
Fece per correre, ma una fitta lancinante alla gamba lo costrinse a fermarsi nuovamente.
Con la coda dell'occhio, catturò un movimento nell'erba alla sua destra. Girò la testa in quella direzione, ma non vide nulla. Stai avendo le allucinazioni.
Questa volta il sibilo provenne dalle sue spalle, seguito da un rumore di passi. Si voltò un attimo prima che il predatore scattasse all'attacco.
Il dinosauro era verde scuro, alto all'incirca un metro e mezzo, bipede, con due artigli spaventosi nelle seconde dita delle zampe posteriori. Avvenne tutto a una velocità spaventosa. L'animale spiccò un salto superando la linea dell'erba e ricadendogli pesantemente sul petto, spingendolo a terra. Gli artigli ricurvi si conficcarono nel petto, ma lui fu più rapido: colpì l'animale al collo con il pugnale, recidendoglielo con uno scatto del braccio.
L'animale lanciò un ringhio e cadde a terra, immobile. Rivas puntò i gomiti sul terreno e si sollevò, premendosi il braccio sinistro sul petto per tamponare le ferite. Appena si girò, lanciò un grido. Altri tre dinosauri stavano avanzando verso di lui, le fauci spalancate. Per un istante, a Rivas quei tre animali ricordarono tre struzzi di piccole dimensioni, ma senza piume e con una lunga coda protesa all'indietro.
Alzò per un istante lo sguardo verso gli alberi, prima di prendere una decisione.
Ignorando il bruciore lancinante, fece dietrofont e si mise a correre verso il centro della radura. La sua unica possibilità era tuffarsi nel corso d'acqua e sperare che quei lucertoloni non sapessero nuotare.
Trenta metri, poi sarebbe stato al sicuro. L'acqua riluceva al sole del pomeriggio. Venti metri. Più veloce! Quindici metri.
Avvertì un dolore lacerante alle spalle quando gli artigli del dinosauro si conficcarono sulle sue scapole e lo buttarono a terra, serrando le mandibole attorno al suo orecchio e strappandoglielo con uno scatto del collo. Rivas gridò, dimenandosi con le braccia. L'animale ringhiò, spostando il suo peso sulla zampa destra e mordendolo sul collo. Il cacciatore approfittò subito di quel movimento. Scattò con la schiena di lato, facendo perdere di colpo l'equilibrio all'animale, che cadde a terra lasciandogli profonde lacerazioni sulla schiena. Malgrado il male, Rivas si lanciò in una corsa disperata.
Dieci metri, poi sarebbe tutto finito.
Uno degli animali sbucò tra l'erba davanti a lui, tagliandogli la strada. Alle sue spalle, sentì il ringhio degli altri due dinosauri che gli sbarravano la sua unica via di fuga.
Scattarono all'unisono. Evian si ritrovò a terra prima ancora che gli animali gli saltassero addosso. Sentì gli artigli dei lucertoloni lacerargli la pelle del collo, delle braccia, dell'addome.
Lo scontro durò pochi secondi. Uno degli animali strappò un grosso brandello di pelle all'altezza dello stomaco e infilò il lungo muso nell'apertura. L'odore pungente di sangue e di bile per un istante coprì la puzza di carne marcia che emanavano quegli animali.
Poi una delle creature gli azzannò il collo.

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