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In piedi nel vagone della metropolitana, Sarah King aumentò la stretta attorno alla maniglia di sicurezza sul soffitto mentre il treno procedeva dondolando ritmicamente verso Midtown Manhattan. Nonostante l'affollamento di persone, gli unici rumori all'interno del convoglio erano lo stridio ovattato delle ruote sui binari d'acciaio e il sibilo dei freni idraulici. Nel silenzio surreale che regnava nel vagone, il suo battito accelerato sembrava assordante.
Cercando di non fare rumore, la dottoressa lasciò la presa sulla maniglia e lanciò una rapida occhiata verso la porta d'entrata, mettendosi dietro con un energumeno di due metri con spalle da giocatore di football per non essere vista.
Non ci volle molto per individuarlo. A meno di tre metri di distanza, l'assassino si era seduto sul bordo di un sedile coperto di graffiti accanto all'entrata, con la testa china sul cellulare. Dal riflesso sul finestrino alle sue spalle, Sarah notò che il telefono era spento.
Sa che sono qui. Pensò, sentendo un brivido percorrerle la spina dorsale.
Si voltò, valutando la situazione e cercando di farsi strada verso il fondo del vagone. Si infilò fra la gente, venendo investita da un forte mix di odori corporei tipici degli spazi affollati. Soffocando un conato, riuscì a raggiungere la porta posteriore del vagone e afferrò un palo in acciaio per non perdere l'equilibrio mentre il treno rallentava con uno stridore di freni.
Una stazione. Il panico prese ad assalirla mentre si domandava cosa fare. Se fosse scesa ora, avrebbe potuto mescolarsi tra la folla e uscire dalla stazione sotterranea per cercare di contattare nuovamente la polizia, ma se al contrario non fosse sceso assieme a lei quasi nessuno, si sarebbe ritrovata da sola su una banchina deserta, vulnerabile, senza scampo. Si sentiva in trappola.
Le luci della stazione comparvero improvvisamente oltre i finestrini oscurati della metropolitana, mentre una voce registrata annunciava la destinazione da un interfono montato sulla parete. Sarah ci mise qualche secondo a metabolizzare quello che aveva appena sentito. «Grand Central Terminal» annunciò la voce computerizzata. «Grand Central Terminal.»
La Grande Stazione Centrale. Nella concitazione del momento, non aveva neppure avuto il tempo di studiare la cartina illuminata montata sopra la porta e solo adesso aveva realizzato che quella corsa si fermava nella stazione ferroviaria più grande del mondo. Il piccolo cerchio che segnava la loro destinazione si illuminò sul tabellone appeso alla parete.
Il treno si fermò e le porte si spalancarono davanti a lei. Una folata di aria fresca, mescolata a un forte odore di umidità e fumo di sigaretta la investì mentre veniva trascinata dal fiume di gente che si riversava nell'ampio terminal sotterraneo. Piegò le ginocchia per tenersi più bassa rispetto alle persone che la circondavano e pregò che l'assassino non l'avesse vista scendere dal treno o, peggio, che l'avesse seguita.
Quando improvvisamente la fiumana di persone si arrestò, Sarah venne colta da una nuova ondata di panico. Che cosa sta succedendo? Si sollevò in punta di piedi e guardò oltre la spalla di una donna anziana in piedi davanti a lei. Individuò subito il motivo dell'interruzione: si erano fermati ai tornelli. Sentì il cuore rallentare mentre la fila di persone riprendeva a scorrere.
Quando infine venne il turno dell'anziana davanti a lei, Sarah non perse un secondo di tempo: scattò in avanti, appiattendosi contro la donna e, con uno slancio, superò il tornello mettendosi subito a correre verso l'uscita. Alle sue spalle si levarono le lamentele della gente in fila, ma lei nemmeno le ascoltò mentre filava sotto le forti luci al neon del corridoio sotterraneo.
Serpeggiando fra la folla, raggiunse un'ampia scalinata di pietra divisa in tre corsie da due corrimani metallici che conduceva verso l'ampio atrio principale. Lanciò una rapida occhiata dietro di sé cercando di scorgere il viso dell'assassino nel mare di volti che affollava il corridoio alla base della rampa, senza risultato. Il flusso di persone su e giù per la scalinata era inarrestabile.
Conscia che una volta sui gradini sarebbe stata quasi completamente esposta, si appiattì contro la parete laterale e, con uno sprint, risalì la scala tre scalini alla volta.
Una volta in cima, sentiva i polmoni in fiamme. Inspirando profondamente, chiuse e riaprì gli occhi più volte per abituarli alla forte luce che filtrava dalle ampie finestre del terminal e attraversò quasi di corsa lo sconfinato androne diretta verso la parete opposta rispetto all'entrata.
Sebbene vi fosse stata parecchie volte, l'atrio principale della Grande Stazione Centrale non le era mai sembrato tanto immenso.
Da molti viene definita come la "Porta della Nazione", la stazione di Grand Central Terminal è sviluppata su tre livelli ed ha una superficie totale di diciannove ettari, pari a quasi trentotto campi da football. Il terminal fu edificato per volere del magnate americano Cornelius Vanderbilt con marmi italiani di Botticino, gli stessi utilizzati poco più di un secolo prima per la Casa Bianca a Washington.
Una delle caratteristiche che più colpisce della struttura, d'altronde, non è tanto l'ampiezza sconfinata dell'androne superiore o le ricche decorazioni scultoree che adornano le biglietterie e le scalinate, quanto l'immenso soffitto a volta interamente dipinto a mano dall'artista francese Paul Helleu, che ritrae i segni zodiacali e le costellazioni primaverili del Tropico del Cancro. Quello che oggi è presente tuttavia, non è altri che un sostituto realizzato solo diciotto anni più tardi, nel 1930, a causa della caduta dell'intonaco, e restaurato sul finire degli anni novanta per ripulirlo dal catrame e dalla nicotina rilasciati negli anni dalle sigarette dei viaggiatori.
Salendo una delle due scalinate in marmo per raggiungere la balconata destra  che dava sul Main Concourse, Sarah lanciò soltanto una rapida occhiata alla stazione prima di sedersi a terra con la schiena appoggiata a una delle massicce colonne a forma di parallelepipedo in corrispondenza degli abbaini a mezzaluna sul soffitto.
Mentre riprendeva fiato, alzò per un secondo lo sguardo sulla grande bandiera americana che era stata appesa al soffitto subito dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 per commemorare le oltre tremila vittime degli attentati al Pentagono e alle Torri Gemelle. La "Stars and Stripes" ondeggiava pigramente diverse decine di metri sopra di lei.
Una volta che il bruciore al petto diminuì e il cuore riprese a battere normalmente, afferrò il colletto del maglione e lo abbassò fino a metà del braccio sinistro, per controllarsi la ferita. Il sangue si era rappreso, incrostando l'interno del maglione, ma faceva decisamente meno male. Da scienziata, Sarah sapeva che se il dolore era diminuito era in parte dovuto all'effetto dell'adrenalina, ma al momento era grata di non doversi preoccupare anche della ferita.
Lentamente, si mise in ginocchio sul marmo e, ignorando le occhiate che le rivolgevano i turisti che passeggiavano sulla balconata, si appoggiò contro il parapetto in marmo cercando di distinguere l'assassino nel mare di persone che affollava il terminal, ma ben presto si rese conto che sarebbe stato come trovare un ago in un pagliaio. Praticamente impossibile.
Si pentì di aver buttato la parrucca nel cestino all'uscita del grande magazzino, ma sentì riaccendersi subito la speranza mentre si faceva strada in lei un'altra considerazione. Anch'io per lui sono come un ago in un pagliaio.

A cinquanta metri di distanza, il sicario Anton Bogdanov stava fumando di rabbia mentre attraversava di corsa la banchina affollata della metropolitana verso le scalinate che conducevano verso il piano terra della stazione, le dita della mano sinistra strette attorno alla rivoltella Ruger SP101 accortamente nascosta nella giacca.
Quella che era iniziata come una normale giornata di lavoro, si stava rivelando un incubo senza fine. Era già capitato durante le missioni più pericolose che qualcuna delle sue vittime fosse riuscita a tenergli testa, in un primo momento, ma si era sempre trattato di scontri brevi, in cui non aveva mai dovuto sprecare più di tre proiettili.
Non aveva mai mancato di portare a termine un incarico, e non intendeva farlo nemmeno questa volta.

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