80

143 22 13
                                    

Amy arrancava nella foresta, alla cieca, scendendo lungo il pendio che dall'altura digradava verso il fondo della caverna. Era senza fiato, accecata dalla forte luce del sole che filtrava fra le fronde e dalle gocce di sudore che le bruciavano gli occhi; si sentiva priva di forze, dolorante, ma animata da una paura primitiva, un istinto viscerale di conservazione, di sopravvivenza.
Dietro di lei, i passi pesanti di Rivas sembravano sempre più vicini, più forti. Presto l'avrebbe raggiunta, ne era certa, ma l'ultima cosa che intendeva fare era lasciarsi sopraffare dalla stanchezza e dalla rassegnazione. Avrebbe corso finché il suo fisico avesse retto.
Il pendio diminuì gradualmente la pendenza. Per contro, i suoi piedi dovettero far fronte ad un nuovo ostacolo: l'acqua che filtrava dal sottosuolo si raccoglieva in ampie pozze che occupavano quasi interamente il pavimento della foresta. Le suole degli scarponcini affondavano nel fango, sprofondando nel terreno spugnoso, e rimanevano incollate a terra risucchiate dagli interstizi d'aria del pantano.
Amy sentì il dolore alle giunture attraversarla dalla testa ai piedi mentre si sforzava di muoversi nella melma. Nell'aria c'era un forte odore di umidità, mescolato con quello nauseante di tessuti in decomposizione che proveniva dai suoi abiti imbrattati di sangue. Ignorando qualsiasi stimolo esterno, concentrò tutta la sua attenzione sul terreno e sugli alberi che la circondavano. Non poteva permettersi alcuna distrazione: se non fosse riuscita a rimanere in piedi o a proseguire, sarebbe certamente morta.
Con quella prospettiva, si sentì invadere da una scarica di adrenalina.
Di colpo, il fondo di una pozza sembrò scomparirle sotto la suola, e per poco non cadde in acqua. Si aggrappò al tronco di un albero, graffiandosi il palmo della mano sulla corteccia mentre riacquistava l'equilibrio. L'acqua superò il bordo dello scarponcino in Gore-Tex, inzuppandola fino alla caviglia.
Si rialzò di scatto e riprese a correre, mentre dietro di lei risuonava il rumore spaventoso dei passi di Rivas. Sembrava vicinissimo, ormai. Amy si disse che doveva essere così, nonostante il suo vantaggio iniziale e il suo fisico più minuto, che le permetteva di muoversi più agilmente tra gli alberi.
Mantenendo lo sguardo puntato davanti a lei, non si azzardò a voltarsi. Se rallento, è finita. Pensò, aumentando la velocità. In preda a un terrore puro, nella sua mente prese forma un'idea dal nulla. Forse... se non mi fermassi, avrei una possibilità di seminarlo.
Quell'idea, per quanto improbabile, non era affatto del tutto assurda. Rivas Evian era alto quasi due metri e gran parte della sua massa era composta da muscoli che, come Amy sapeva, potevano rivelarsi sia una risorsa indispensabile per gli sforzi fisici, sia uno svantaggio considerevole. Prima o poi, il suo peso gli avrebbe impedito di sostenere lo sforzo della corsa, facendolo inevitabilmente rallentare e fermare. L'unico punto interrogativo, ora, era quando questo sarebbe accaduto.
I suoi piedi persero improvvisamente aderenza con il terreno, rischiando di farla cadere in acqua. Afferrò di scatto un ramo sopra di lei e, facendosi forza con le braccia, si risollevò, recuperando l'equilibrio. Mentre si rialzava, lanciò un rapido sguardo alle proprie spalle, torcendo il busto per prepararsi a correre. Rivas si trovava a una ventina di metri da lei, i vestiti inzaccherati di fango, e avanzava a fatica nel pantano. Il riflesso della luce del sole sulla lama del machete brillò per un istante nella penombra degli alberi, spronandola a voltarsi e a fuggire.
Mentre procedeva nell'acqua, si rese lentamente conto di fare meno fatica e, non appena abbassò lo sguardo, sentì rinascere la speranza. In quel punto la profondità della pozza era di appena un paio di centimetri, e pareva diminuire progressivamente. Dopo aver percorso un'altra decina di metri, finalmente tornò a correre sul terreno asciutto, coperto da muschi e da foglie cadute. Gli scarponcini erano pesanti, imbevuti d'acqua, con la suola incrostata di fango, ma per Amy era un sollievo immenso non dover più contrastare l'attrito dell'acqua contro le proprie caviglie.
L'aria era immobile, fredda e umida. L'oscurità quasi assoluta. Gli unici suoni che udiva erano il proprio battito cardiaco accelerato dall'adrenalina e il rumore incessante dei passi del suo inseguitore, dietro di lei. Con orrore, si rese conto che sembravano sempre più rapidi, più vicini. Scosse la testa, alzando lo sguardo dal suolo e sforzando gli occhi per abituarli al buio più totale sotto l'immensa volta di fronde a cinquanta metri di altezza. In quel punto alberi avevano un diametro di tre metri, e la circondavano da ogni lato, bloccandole la visuale.
Muoviti a zig zag. Si disse, curvando bruscamente a sinistra. I rami più bassi le sferzavano il viso, aprendo ferite sanguinanti sulla fronte e sugli zigomi. Le articolazioni e le giunture le dolevano per lo sforzo. Non fermarti!
Ignorando il dolore svoltò a destra e, dopo una ventina di metri, nuovamente a sinistra, dove il terreno aumentava improvvisamente la pendenza verso il basso.
Amy se ne rese conto troppo tardi.
Sentì il suolo sparire sotto la suola degli scarponcini e avvertì il proprio corpo sbilanciarsi verso il vuoto davanti a lei. Sollevò istintivamente le braccia, cercando di afferrare un ramo, o una sporgenza del terreno per fermare la caduta, ma sentì solo la corteccia dei tronchi scorticarle il palmo della mano. Ritrasse rapidamente gli arti e puntò i talloni nel terreno, rallentando fino a fermarsi. Si alzò in fretta e riprese la discesa, stremata. L'aria era di nuovo soffocante, ora, ma non faceva più alcuna differenza: ogni respiro pareva bruciare più del precedente, la vista annebbiata e il petto contratto dallo sforzo.
Prima che avesse il tempo di accorgersene, si ritrovò nuovamente a correre sul terreno pianeggiante, serpeggiando tra gli alberi. Era esausta, prosciugata di ogni energia. Era solo una questione di secondi prima che Rivas la raggiungesse, machete stretto in mano, per portare a termine l'incarico che gli era stato assegnato.
Fu allora che venne colta da un'improvvisa lucidità. I suoi pensieri tornarono indietro, quando si trovava nella tenda di Foster e lei e Tom si erano presentati agli altri tre membri della spedizione. Quel ricordo le provocò una fitta.
Manuel Costa, Jonas Franco, morti. Tom... Il disegno prese lentamente forma nella sua mente. D'un tratto, si sentì travolgere da un'improvvisa ondata di rabbia, un profondo e connaturato sentimento di vendetta, di disprezzo.
"Rivas Evian," si era presentato l'uomo, sorridendole mentre le stringeva la mano, "la proteggerò io durante questa piccola scampagnata." Ancora non riusciva a crederci, ad accettare quell'orribile verità. Si sentiva tradita, raggirata, piena di vergogna per essere stata usata come una pedina in quel vergognoso inganno. Un inganno che era già costato la vita a tre innocenti, e ora anche lei stava per aggiungersi alla lista; poi quel gioco sanguinoso sarebbe finito. In quel momento, tutto fu chiaro. Non aveva più alcun dubbio su chi fosse il responsabile. L'unica persona che aveva da guadagnarci, in tutta quella storia, era il direttore della cava, Douglas Foster.
Quella scoperta, da sola, era in grado di far crollare dogmi consolidati nell'arco degli ultimi due secoli sulla paleobiologia e sulla paleontologia, nonché di riconsiderare completamente anni di ricerche sull'evoluzione della vita, ma rappresentava anche, sul piano economico, una fortuna pressoché illimitata.
Alimentata da una collera furibonda, chiamò a raccolta le le forze e curvò di colpo verso destra, aggirando un albero alto quanto un palazzo di trenta piani, e deviando leggermente verso la direzione opposta.
Poi, quasi istintivamente, Amy frenò di colpo e si lanciò bruscamente verso sinistra.
Il fiato le si mozzò in gola nel momento in cui si rese conto dell'errore. Il terremo scomparve all'improvviso sotto i suoi piedi, lasciandola per una frazione di secondo sospesa nel vuoto. Subito dopo, la gravità la risucchiò violentemente verso il basso.
Amy colpì con forza una superficie ruvida, ricoperta di muschio. Il dolore le si diffuse nel corpo, togliendole il fiato. Automaticamente, spalancò la bocca e inclinò il capo all'indietro, inspirando profondamente. La testa smise di girarle.
Lentamente, riaprì gli occhi, e, con raccapriccio, si rese che quel gioco mortale era appena cominciato. Era sdraiata prona su un tronco caduto, le mani strette attorno alle protuberanza della corteccia e i piedi serrati al fusto, per mantenersi in equilibrio. Pochi metri sotto di lei, uno stretto torrente scorreva a una velocità spaventosa, l'acqua scura e ribollente come catrame.
Amy strinse i denti e rialzò lo sguardo, appellandosi alle ultime forze che le restavano per non cedere al terrore. Resisti. Si disse, girandosi lentamente. Forse Rivas non ti ha vista...
Il sicario, come parte di un copione perverso, emerse dalla fitta vegetazione con il machete stretto in mano e le braccia piene di ferite sanguinanti, prima che lei avesse il tempo di rialzarsi e superare il corso d'acqua.
Si fissarono negli occhi, a lungo. Poi, aggrottando le sopracciglia, Rivas mosse un passo in avanti, sull'albero caduto. Amy trattenne il respiro mentre avanzava verso di lei, facendo scricchiolare le fibre del tronco sotto di loro, con una calma raggelante nello sguardo. Amy, mantenne lo sguardo puntato su di lui, paralizzata dalla paura.
«Pensavo fosse più furba» commentò il sicario, fermandosi a pochi centimetri da lei. «Il proiettile sarebbe stato infinitamente meno doloroso della lama, se io lo avessi voluto.»
Di scatto, sollevò in aria il machete, con un rapido movimento del braccio, e fece per calarlo su di lei, quando improvvisamente Amy reagì d'istinto, tendendo le gambe e colpendolo con forza sulla caviglia sinistra, con la punta dello scarponcino. Avvenne tutto in una frazione di secondo.
Rivas si sbilanciò di lato, lasciando cadere in acqua l'arma, e scivolò dal tronco, lanciando un grido soffocato.

L'acqua si richiuse rapida sopra di lui. Tutt'intorno, la morsa gelida dell'acqua lo attanagliò, comprimendogli la cassa toracica come un gigantesco serpente costrittore, mentre il suo corpo veniva trascinato dalla corrente verso il fondo del corso d'acqua.
Il peso dei vestiti imbevuti d'acqua e di fango gli impediva di muoversi.
Rivas allungò le braccia attorno a sé, cercando di afferrare un tronco, una radice, qualsiasi cosa potesse aiutarlo a contrastare la corrente, ma le sue dita incontrarono solo acqua, in ogni direzione.
Venne assalito da un cieco terrore mentre si dibatteva con i piedi per risalire in superficie, senza successo. I polmoni bruciavano per la mancanza di ossigeno, la testa iniziò a pulsare. Chiuse gli occhi, raccogliendo il corpo in posizione fetale e smettendo di muoversi. Così facendo, sapeva di poter risparmiare molta più aria, nonostante l'assenza di stimoli visivi e uditivi lo disorientasse.
L'oscurità era assoluta, i rumori ovattati e distanti, come se appartenessero a qualche altro universo oppure provenissero direttamente dal suo subconscio.
Rimase in quella posizione per qualche secondo, poi riaprì gli occhi e alzò lo sguardo. La superficie del torrente riluceva leggermente per i riflessi della luce del sole, tre metri sopra di lui.
Di colpo, fu assalito da uno strano sentimento di pace e di rassegnazione. Inspira. La voce parve provenire da dentro la sua testa. E tutto sarà finito.
Contrastando il desiderio di porre fine a quella tortura, distese le gambe verso il basso. Appena la punte dei suoi piedi toccarono il fondo, Rivas piegò le ginocchia e si diede una spinta verso l'alto. Fu uno sbaglio terribile.
Il punto in cui la dottoressa Su lo aveva colpito gli provocò una fitta allucinante. Evian aprì la bocca per lanciare un grido di dolore. L'acqua si riversò nei suoi polmoni, aggredendo le delicate mucose interne come olio bollente.
La vista gli si annebbiò, il petto contratto dal dolore. Rivas, piegato a metà dal male, tentò di vomitare ciò che aveva appena inalato, ma ogni sforzo pareva un'impresa sovrumana.
Sentì che le forze lo stavano lentamente abbandonando. Con la mente andò alla dottoressa Su e al suo tentativo fallito di eliminarla. Si rimproverò di essere stato così sbadato, così imprudente. Poco male. Pensò, ormai in stato di semincoscienza, rendendosi all'improvviso conto che esisteva ancora una possibilità che quella missione potesse avere un esito positivo. Il camper è distrutto, la donna è da sola: non ha alcuna possibilità di sopravvivere.

Amy, rimasta sola sul tronco, respirava affannosamente, dolorante, lanciando continue occhiate tutt'intorno. Le immagini dell'aggressione si ripetevano confusamente nella sua testa, mentre cercava di dare un senso a quello che era appena accaduto
Si sentiva intorpidita, come se il suo corpo fosse di marmo, insensibile. Le dita erano ancora strette attorno ai noduli del tronco.
Per prima cosa, cercò di riacquistare il controllo di sé. Socchiuse gli occhi, inspirando profondamente. Gradualmente, il cuore riprese a battere normalmente.
Muoviti di qui. Si disse, mettendosi carponi sul tronco e muovendosi verso la riva dalla quale era fuggita da Rivas. Mosse qualche passo incerto, superando la metà del fusto e fermandosi per assicurarsi che il legno fosse abbastanza resistente da reggere il suo peso. Forza, solo per un altro paio di metri...
Avanzò per un altro metro, tremante, i denti serrati per la tensione, quando l'albero sotto di lei si mosse con un crepitio sinistro. Amy si fermò, fissando con orrore la propria immagine distorta dalla corrente del torrente sottostante. Un secondo scricchiolio, più forte, parve risuonare nella foresta come uno sparo.
Poi, improvvisamente, il tronco si spezzò.
Le ultime immagini che vide mentre perdeva la presa del legno e il suo corpo precipitava in acqua furono il legno marcio che si apriva a metà sotto le sue ginocchia e il gorgo ribollente del corso d'acqua che la risucchiava.

CronoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora