61

176 25 19
                                    

Amy era paralizzata, incapace perfino di respirare, e continuava a fissare impietrita lo spaventoso animale dall'altra parte del finestrino. Ogni suo muscolo le pareva di marmo, come se la sua mente fosse imprigionata in un corpo non suo, ma avvertiva ancora il cuore batterle fortissimo nel petto e il capogiro dovuto al terrore e al caldo torrido.
Devo andarmene di qui. Si ripeté, pur sapendo che si trattava di un'impresa disperata.
Erano passati solo novanta secondi da quando aveva riaperto gli occhi dopo la caduta, ma a lei sembrava trascorsa un'eternità. Costa giaceva sul pavimento quasi completamente privo di sensi, con una grave emorragia interna, e lei non aveva né i mezzi né alcuna possibilità di aiutarlo. Doveva pensare in fretta a cosa fare, ma la sua mente sembrava rifiutarsi di concepire un solo pensiero razionale.
Il dinosauro che la fissava dall'altra parte del finestrino in quel momento le parve perfino più terrificante di quando lo aveva visto prima dell'attacco. Il muso, corto e leggermente schiacciato lateralmente, era un pattern incredibilmente complesso di squame di diverse tonalità di marrone, interrotto in alcuni punti da protuberanze e noduli ossei dai colori più scuri. Le narici, sottili e verticali, si dilatavano e si chiudevano rapidamente, appannando il vetro, mentre l'occhio sinistro dell'animale sembrava seguire ogni suo movimento, come un segugio che punta una preda.
Nell'aria resa irrespirabile dal caldo afoso all'interno del camper Amy cominciava ad avvertire un vago odore di carne in decomposizione. In un primo momento pensò a Costa e alla frattura del bacino, ma poi scartò subito quella supposizione in quanto si ricordò che solo le ferite aperte potevano infettarsi, producendo un caratteristico tanfo di tessuti in putrefazione, e comprese di conseguenza che quel tanfo nauseante proveniva dal dinosauro. Le tornò in mente un commento che aveva fatto il dottor John Hoyle a New York a proposito del forte odore di marcio del dente che Foster gli aveva inviato dall'Argentina. Sembra successo una vita fa.
Ignorando il dolore sempre crescente alle ginocchia per via della posizione scomoda, Amy chiuse gli occhi e cercò di sopprimere l'istinto di fuggire da quella situazione mentre aspettava pazientemente che il dinosauro si allontanasse per permetterle di raggiungere Foster per portare chiamare un ospedale per Costa.
Curiosamente, si ricordò di una frase che Tom aveva detto ai suoi studenti durante una delle prime lezioni a cui aveva assistito. «Nonostante la paleontologia non consista più nel giocare a fare i detective con le ossa dei dinosauri, ma sia diventata una branca della scienza vera e propria, oggi c'è ancora chi crede che la Terra abbia seimila anni e che i tirannosauri vedano solo i corpi in movimento.»
Amy aveva riso quando la aveva sentita la prima volta, ma in quel momento l'ultima affermazione di Harris le sembrava stranamente adatta alla circostanza. Fino ad ora non aveva nemmeno preso in considerazione quell'idea, ma in quel momento non riusciva a non domandarsi se per caso non fosse realmente vero che i tirannosauri e altre specie di grandi carnivori non riuscissero a vedere corpi immobili.
Sapeva, da quanto le aveva detto Tom, che si trattava solo di un'errata credenza popolare che si era rafforzata col tempo perché inserita in film che avevano poi riscosso un certo successo, ma che era stata smentita da uno studio condotto da alcuni scienziati dell'Università dell'Oregon, che aveva rivelato come il tirannosauro possedeva abilità sensorie molto avanzate, tra cui una vista che superava persino quella delle aquile e degli astori.
Da biologa, Amy sapeva che un predatore per riuscire a cacciare doveva disporre di una vista piuttosto acuta, che in grado di permettergli di inseguire la preda su lunghe distanze senza perderla d'occhio, ma anche di tendere agguati se quest'ultima si fosse trovata in una situazione di assoluta tranquillità, come in riva ad uno specchio d'acqua per abbeverarsi.
Eppure, in quel momento, Amy non faceva che chiedersi perché il dinosauro esitasse ad attaccarli. Pochi minuti prima non aveva aspettato un solo secondo prima di colpire il camper. Che ci abbia ripensato? Seppur probabile, era un'idea poco plausibile. Aveva visto decine di documentari che mostravano chiaramente grandi predatori di specie diverse contendersi delle prede, e in particolare di come ogni volta uno dei due esemplari preferiva la fuga anziché uno scontro. Ma il dinosauro si trovava ancora dall'altra parte del vetro, e non dava l'impressione di voler abbandonare quell'opportunità.
Forse non capisce se siamo vere prede. Quella seconda teoria le sembrava più verosimile. Sapeva che alcuni paleontologi avevano proposto che il tirannosauro e altri grandi predatori non avessero una vista scarsa che non permetteva loro di distinguere i corpi immobili, ma che più semplicemente il loro cervello non li percepisse come preda.
Ora, nel camper, Amy sperava con tutta se stessa che fosse così.
Con gli occhi chiusi, il suo udito sembrava essersi intensificato in risposta alla perdita della vista, e riusciva a percepire perfettamente il respiro del dinosauro farsi progressivamente più distante, ovattato, mentre dal pavimento sotto di lei risuonavano dei tonfi sordi sempre più deboli.
Quando i colpi si arrestarono, seguì un silenzio carico di tensione che la disorientò, ma non bastò a darle il coraggio di riaprire gli occhi per valutare cosa fosse successo. Rimase immobile in quella posizione per qualche altro secondo. Poi, titubante, sollevò leggermente le palpebre e si alzò per guardare fuori dal finestrino. Appena lo spiazzo di roccia occupò per intero il suo campo visivo, si bloccò, confusa. Chiuse e riaprì gli occhi più volte per assicurarsi di non avere le traveggole, ma ogni volta l'immagine risultava sempre la stessa. Il dinosauro era scomparso.

Manuel Costa cominciava a non avvertire più alcun dolore. Le fitte che fino a pochi secondi prima lo avevano attraversato come se si fosse trovato in un terribile strumento di tortura sembravano ormai scomparse del tutto, come un lontano ricordo.
Aveva quasi l'impressione di galleggiare nel vuoto, come se il suo corpo non pesasse più e la mente si stesse librando in una dimensione priva di colori, di suoni, di odori...
Sto andando in paradiso? Sebbene non ci avesse mai creduto, in quel momento non poteva negare che la maggior parte delle descrizioni in riferimento al momento in cui l'anima si separa dal corpo per raggiungere il paradiso sembrava combaciare in modo inquietante con quello che stava provando in quel momento.
Sì, deve essere questa la morte. Pensò, mentre la sua mente fluttuava in quell'abisso infinito. Altrimenti, dove mi trovo? Non essendo stato credente, aveva sempre reputato le storie che gli venivano raccontate sul paradiso e sull'inferno come il bisogno dell'uomo di concretizzare concetti astratti per avere delle prove tangibili, ma in quel momento non era più sicuro di niente. Se sono morto, perché sono ancora cosciente?
La cosa più strana accadde un minuto dopo. Improvvisamente, dal buio si materializzò una luce bianca, accecante, che riempì lo spazio in cui era sospeso. Un istante più tardi, sentì il corpo materializzarsi intorno a lui, assieme con il dolore. Fu una sensazione orribile.
Appena riaprì gli occhi, il viso si contrasse in un'espressione di terrore misto a una sofferenza atroce. Inarcò la schiena e, voltando la testa all'indietro, lanciò un grido straziante che fu soffocato subito dopo da un attacco di tosse e un conato. Il ragazzo ricadde di peso sul pavimento e sputò a terra una grande quantità di sangue.
Quando riprese fiato, si portò lentamente una mano alla bocca e si ripulì, rigirandosi e lanciando una muta supplica alla figura inginocchiata accanto a lui.

Amy si sentì sprofondare di fronte alla scena che aveva davanti. Costa giaceva supino sul pavimento, con una mano tremante vicino alla bocca e la testa in una pozza di sangue. Incapace di dare un senso a quella visione, si passò una mano sulla faccia cercando di fare appello a tutte conoscenze di cui si ricordava dal corso sul pronto soccorso che aveva seguito anni prima, ma si sentiva di nuovo la mente vuota.
«Emorragia con la tosse, più tecnicamente emottisi...» disse ad alta voce, cercando di ricordare cosa le avevano spiegato in merito. Dieci secondi dopo le tornò in mente. Gli passò delicatamente le mani sotto le ascelle e lo sollevò appena, cercando di non scaricare il peso del corpo sul bacino, e lo posizionò su un fianco, per evitare l'aspirazione del sangue e del vomito nelle vie aeree.
Appena il ragazzo riprese a respirare con una frequenza più regolare, la guardò con un mezzo sorriso, che però durò solo un secondo. «Grazie...» la sua voce era ridotta a un sussurro.
«Dovresti rimanere su un fianco, e assolutamente immobile» gli disse, mentre lo sosteneva tenendolo con il braccio. «Devo ruotarti in modo da appoggiarti contro il muro, altrimenti non posso guidare per portarti fuori dalla caverna senza il rischio che tu possa finire contro qualcosa, rischiando di ferirti ulteriormente.»
Lui annuì debolmente e lei, prendendo fiato, infilò le mani sotto il suo corpo e prese a spingerlo il più delicatamente possibile, stando attenta a non appoggiare la mano sul bacino. Anche se Costa soffocò le grida di dolore, Amy gli lesse nello sguardo che stava soffrendo in modo atroce.
«Appena esco da qui chiamo un elicottero» disse, più per infondersi un po' di ottimismo che per fargli una promessa che non era sicura di poter mantenere.
Appena Costa toccò la parete chiuse gli occhi e inspirò profondamente, stringendo le mani a pugno forse per alleviare quanto più possibile il dolore.
Amy sospirò e, senza perdere altro tempo, si voltò e si alzò in piedi, andando a sedersi al posto di guida. Appena prese tra le mani le chiavi del camper e fece per infilarle nel blocchetto d'accensione, Costa lanciò l'ennesimo grido ma, prima che Amy si potesse girare per capire se si trattasse di un'altra fitta oppure se la frattura fosse peggiorata, il suo sguardo si posò sulla figura torreggiante che si stava avvicinando dall'altra parte del finestrino laterale. Capì subito che l'urlo del ragazzo non era dovuto al dolore. Oddio.

CronoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora