Rivas Evian, all'interno del piccolo bagno nel camper, infilò la mano nel taschino della camicia ed estrasse un piccolo foglietto stropicciato. Lo aprì e lesse il numero di telefono che ormai conosceva a memoria.
Non si separava mai da quel piccolo pezzo di carta, lo infilava sempre nelle tasche degli abiti puliti, e non ne aveva mai fatto una copia. Era troppo prezioso.
Lo conservava da almeno sette anni, ma non aveva mai avuto bisogno di comporre quel numero. Quel giorno però, se ne era presentata l'occasione.
Prima di premere il tasto verde, però, si sentì invadere da un brivido di piacere. Da quando era stato contattato dodici giorni prima, non aveva fatto altro che aspettare, ma ora tutto avrebbe cominciato finalmente a riguardarlo in prima persona.
Il fatto che il professore e la dottoressa avessero appena confermato che i dinosauri erano sopravvissuti all'estinzione trattata in ogni libro di testo non gli importava parecchio. Il suo compito era più importante, e soprattutto, più soddisfacente.
Non vivranno abbastanza per raccontarlo.
Inspirò l'aria che odorava terribilmente di detergente e vernice e premette con decisione il tasto verde, avvicinandosi il telefono all'orecchio.Anton Bogdanov affondò i denti nel gigantesco cheeseburger che aveva in mano, strappandone un pezzo grande quanto la metà del panino e ingoiandolo senza preoccuparsi di masticarlo in bocconi più facili da digerire.
Da quando si era trasferito in America, circa trent'anni prima, aveva fatto molta fatica ad abituarsi all'economia e allo stile di vita americano, stufo e oppresso dal comunismo nella patria. Il cibo, sorprendentemente, era stato uno degli ostacoli più ardui. Abituato ai sapori della cucina tipica russa, che come ingredienti principali conta cereali e ortaggi, che si evolvono soprattutto in zuppe e cibi salati a base di grano, aveva fatto grande fatica però solo nei primi tempi, ma poi si era abitato facilmente ai nuovi sapori occidentali
In America, la mescolanza di numerosissime tradizioni europee a seguito delle migrazioni di inizio Novecento, aveva fatto assumere alla cucina tradizionale forme e colori tanto differenti quanto interessanti, ma soprattutto una varietà quasi illimitata di scelte alimentari.
In Russia, al tempo dell'Unione Sovietica, l'America non era sicuramente apprezzata per il suo stile di vita, se non addirittura pesantemente criticata, ma Anton non ne capiva il motivo.
Una volta raggiunto il continente, non aveva fatto fatica a trovare un piccolo appartamento nell'Upper East Side di New York e un lavoro come barista in un vecchio locale della zona. Una sera, mentre ripuliva i bicchieri usati, aspettando che l'ultimo cliente se ne andasse, erano entrati due uomini armati sfondando la porta con un calcio e si erano calati il passamontagna sul viso subito prima di varcare la soglia.
Anton aveva notato le due pistole che cercavano ingenuamente di nascondere nella tasca della felpa nera e pesante che portavano entrambi.
Bogdanov aveva subito appoggiato il boccale ed era corso verso la cassa, pronto a collaborare. Non aveva nessuna intenzione di morire quella sera, e i due rapinatori che erano appena entrati non sembravano essere tipi con cui si poteva ragionare. Erano entrambi ubriachi, la loro andatura era scomposta e goffa, e avrebbero potuto sparare in qualsiasi momento senza nemmeno accorgersene.
La cosa peggiore era che non aveva ancora imparato del tutto l'inglese, e non avrebbe potuto mediare con loro per evitare che quella serata si trasformasse in una carneficina.
«Tu, stronzo, dacci tutti i soldi che hai o ti trapasso il cranio proprio in mezzo agli occhi» aveva gridato il più giovane dei due, puntandogli la pistola addosso.
Anton si era paralizzato dalla paura, anche perché non era sicuro di quello che avesse detto. Poi, capì quando il rapinatore gli indicò la casse con l'arma.
L'altro uomo, più alto e grosso, si era avvicinato al cliente abbassandosi fino a portare la bocca accanto al suo orecchio. Gli aveva detto qualcosa a bassa voce, probabilmente gli aveva intimato di farsi consegnare il denaro o eventuali oggetti di valore di cui disponesse, ed in cambio lo avrebbe risparmiato.
Il cliente però, con una mossa dettata dall'alcool, gli aveva rovesciato addosso la birra del suo boccale e aveva fatto per andarsene, ma era inciampato nelle gambe dello sgabello ed era caduto a terra.
Il rapinatore si era passato una mano sul viso per pulirsi dalla birra e gli aveva sferrato un calcio sullo sterno, facendolo sussultare e racchiudersi su sé stesso come un armadillo. Gli aveva domandato un ultima volta denaro, urlandolo e, in vista di un secondo rifiuto, gli aveva sparato alla testa.
Il sangue era schizzato su tutta la parete e sul viso dell'uomo, che aveva assunto una connotazione più spaventosa. Anton, allora, aveva aperto di scatto la cassa e la aveva svuotata, disponendo in pile ordinate in base al valore.
Il ragazzo, che doveva avere forse venticinque anni, gli aveva puntato la pistola alla fronte e gli aveva chiesto un sacco per infilarci il denaro.
Fortunatamente, "sacco" era stata una delle prime parole che Bogdanov aveva imparato una volta arrivato nel continente, che era il contenitore che più si addiceva ad assomigliare al suo bagaglio fatto a mano, per evitare che fosse disperso in aeroporto.
Aveva annuito guardando il rapinatore nei suoi occhi rossi per via delle droghe, e gli aveva fatto cenno che aveva un sacco sotto il banco.
Chinandosi e portandosi fuori tiro dai due uomini, aveva sorriso e preso la pistola che aveva ottenuto per pochi spiccioli in un vicolo di notte. Era già carica.
La aveva presa e la aveva alzata, puntandola contro la gamba del giovane, e aveva sparato senza esitare. Il rapinatore era caduto a terra con un grido di dolore, e aveva lasciato l'arma che si era allontanata strisciando sul pavimento.
Il suo compare era accorso ma, prima che gli sparasse contro, Anton gli aveva già perforato il polso col quale sosteneva la pistola. L'uomo, in preda al dolore e alla rabbia, si era lanciato contro il banco tentando di strangolarlo, ma Bogdanov era stato ancora una volta più rapido, prendendo al volo una bottiglia di liquore di bassa qualità spaccandogliela sulla testa.
L'uomo era crollato sul ripiano coperto dai vetri e dall'alcolico.
A quel punto, paralizzato a causa della tentata rapina e dall'essersi trovato in pericolo di vita parecchie volte, si lascio cadere su di una sedia vicino alla cassa svuotata.
Le banconote erano state appena bagnate dal liquore, ma se asciugate entro breve ancora utilizzabili, sembravano richiamarlo come se impossessate da una forza mistica.
Lui allora aveva cominciato a ragionare, trovandosi di fronte a due possibili strade: prendere i soldi, sommarli a quelli già guadagnati e andarsene fingendo di essere rimasto ucciso durante la rapina, oppure cercare di trovare un altro lavoro in cui non serviva saper parlare perfettamente l'inglese in un negozio in una zona più tranquilla.
La risposta era lampante, e aveva scelto senza nemmeno pensarci troppo di prendere la via più semplice. Aveva controllato i proiettili all'interno dell'arma. Ne erano rimasti tre.
Avvolgendo l'arma in uno strofinaccio e appoggiandola al collo del rapinatore disteso sul banco, aveva sparato colpendo l'arteria vertebrale. Il corpo aveva sussultato ma si era subito riaccasciato, cominciando a versare sangue a fiotti sul pavimento.
Poi aveva aggirato il banco, si era inginocchiato accanto al ragazzo che si teneva la gamba insanguinata stringendo i denti.
«Angel mesti ne demon.» "L'angelo della vendetta non è un demone."
Poi aveva premuto il grilletto esattamente nello stesso punto suggerito dallo stesso rapinatore, quando lo aveva minacciato. Il resto del lavoro era stato facile.
Si era cambiato i vestiti con il cliente deceduto, pestandolo poi fino a renderlo irriconoscibile. Aveva infilato tutto il denaro in un sacchetto per la spazzatura nero e aveva svuotato la cassaforte a muro dietro il banco.
Aveva guadagnato sì e no circa duemila dollari in un colpo solo. Non erano molti, ma se sommati al denaro che già possedeva, la cifra aumentava parecchio.
Uscendo era stato attento ad evitare i coni di luce dei lampioni ed era scomparso in un vicolo, raggiungendo il suo appartamento con la scala antincendio sul retro.
Da lì a cinque minuti aveva ricevuto una telefonata. Terrorizzato, ipotizzando fosse la polizia e sorpreso della precisione con cui era suonato da quando era entrato in casa, aveva comunque alzato la cornetta preparandosi a negare.
Invece, con sua sorpresa, la telefonata era stata parecchio diversa dalle sue aspettative.
Da quanto aveva capito, l'uomo che lo aveva chiamato aveva assistito alla tentata rapina, non solo non aveva intenzione di denunciarlo, ma si era anche procurato il suo numero di telefono e gli aveva proposto un'offerta di lavoro impegnativa e sicuramente tendente all'illegalità, secondo quanto detto dall'uomo. Non che fosse stato così difficile riuscire a contattarlo, si era dimenticato un bigliettino col suo numero di telefono sul banco del bar.
Anton, ormai rendendosi conto di aver imboccato una strada pericolosa, decise di accettare, ma solo se l'uomo gli avesse garantito l'invulnerabilità.
Dopo aver acconsentito, aveva interrotto la telefonata.
Anton Bogdanov, quella fredda notte di settembre, era diventato un sicario.
Erano passati trent'anni da allora, eppure il ricordo di quella sera non pareva volersene andare dalla sua mente. Non gli lasciava più un senso di malessere e preoccupazione come i primi mesi dopo averlo vissuto, ma una specie di eccitazione ripensando a quando aveva premuto il grilletto su quei due uomini e rendendosi conto di aver eliminato due pericoli per la società, si era sentito come una specie di forza divina scesa in terra per ripulire il mondo dalla feccia.
Sono un angelo mandato ad eseguire compiti da demone. Da quando aveva usato quell'espressione prima di uccidere il giovane rapinatore, era diventata quasi il suo biglietto da visita.
Da quando aveva accettato quell'incarico, aveva guadagnato una tale somma solo nei primi dieci anni da potersi permettere una villa in periferia e ritirarsi per sempre dal mondo del lavoro, ma preferì invece trasferirsi nell'attico di un palazzo a Times Square.
La vista su una delle piazze più famose del mondo occidentale era magnifica, e il suo lavoro, per quanto brutale, gli permetteva di scaricare la tensione che accumulava tra un incarico e l'altro, senza dover ricorrere a farmaci dispendiosi e nocivi.
Improvvisamente, la suoneria del suo telefono interruppe il flusso di ricordi riportandolo alla realtà, facendogli quasi andare di traverso il boccone del panino.
Si domandò se fosse qualcuno che richiedeva il suo servizio e si alzò dalla poltrona, avvicinandosi al telefono fisso appeso al muro in cucina.
Prima di prendere la cornetta, però, sentì come una voce dentro di sé che gli suggeriva di aspettare che la chiamata finisse. Non hai mai eliminato nessuno durante il periodo natalizio.
Per lui, benché non ne avesse una, la famiglia aveva un'importanza che andava al di là di semplici ambizioni lavorative e, nel periodo appena successivo al Natale, sapeva che le famiglie erano solite riunirsi per festeggiare la nascita del Messia o solo per passare del tempo assieme perché impossibile durante il resto dell'anno.
Uccidere qualcuno significava distruggerne la famiglia, e non era nel suo stile.
E se fosse per qualcos'altro?
Prima che la chiamata terminasse afferrò di getto la cornetta come se stesse per fuggire e la avvicinò all'orecchio. La voce che rispose gli fece venire i brividi.
Il segnale era debole e la chiamata rovinata dalla continua alternanza di parole chiare e rumore di fondo.
L'uomo che lo stava chiamando aveva una voce familiare, e non gli ci volle molto per riconoscerlo. Appena si presentò i suoi pensieri si concretizzarono.
Oh no, non lui.
«Anton, vecchio mio» esclamò, fingendo un tono cordiale, «forse non ti ricorderai chi sono, ma non è un problema, ti rinfresco la memoria. Ci siamo visti più o meno sette anni fa, sul tetto di un edificio in Ann Street, ricordi?»
Eccome se lo ricordava. Stava puntando un fucile da cecchino contro il suo bersaglio, nell'edificio di fronte, quando aveva inevitabilmente rivelato la sua posizione esponendo gran parte del corpo a causa di una raffica di vento improvvisa. L'uomo che doveva eliminare lo aveva visto e, in un attimo, gli aveva puntato lui stesso un fucile che aveva recuperato da sotto la scrivania dell'ufficio dove si trovava. Fortunatamente, dopo aver udito uno sparo, aveva visto il bersaglio cadere in una posa scomposta a terra e si era reso conto di non essere stata lui la vittima.
A sparare era stato un sicario argentino che si era presentato come Evian, o qualcosa di simile. Questi gli aveva spiegato che l'uomo a cui aveva sparato si era fatto molti nemici potenti a causa di ingenti debiti e Anton non era l'unico che era stato incaricato di eliminarlo.
Dopo avergli salvato la vita, Bogdanov aveva insistito per ricambiargli il favore e, evidentemente, quel momento era arrivato.
Evian gli accennò del favore che Anton gli doveva e lui assentì. Il sicario, quindi, gli parlò brevemente di un dente proveniente dall'Argentina e di alcuni specialisti di laboratorio da rintracciare ed eliminare a New York il prima possibile.
«Posso fidarmi? Mi dispiace, ma ho solo queste poche informazioni. Se scopro dell'altro ti richiamo.»
«Puoi fidarti.»
La chiamata si interruppe.
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Crono
Science FictionStoria vincitrice nella categoria SCIENCE FICTION ai Premi Wattys 2020 [In revisione, non su Wattpad] Nel nordovest dell'Argentina, in una cava di sabbia, un operaio viene brutalmente sbranato vivo da un animale misterioso, morendo nell'infermieria...