John Hoyle, dottore presso il Laboratorio dell'Istituto di malattie tropicali di New York, raggiunse quasi correndo la sua segretaria intenta in una telefonata.
«Sì» disse la donna, prendendo in mano un grosso cilindro di plastica, «è arrivato qua stamattina presto» lo riappoggiò con delicatezza sul ripiano della propria scrivania, «capito, vediamo quello che possiamo fare. Arrivederla» concluse, riattaccando il telefono. La donna alzò i suoi profondi occhi marroni su Hoyle, e il dottore indicò il cilindro con un cenno del capo.
«Che roba ci hanno spedito stavolta?» chiese.
«Mi sa che sta a te scoprirlo. A me non ha detto quasi niente.»
«Il mittente? Sai chi era?»
«Un americano. Foster credo si chiamasse. Ci ha inviato questo campione tre giorni fa dall'Argentina, regione di Salta» rispose, consegnando il contenitore in mano a Hoyle.
«Nient'altro? Cosa vuole che facciamo?»
La donna si schiarì la voce, «vuole che identifichiate la specie, credo di aver capito si tratti di un frammento osseo. Non ha saputo dirmi altro. Mi ha lasciato il numero di cellulare e l'e-mail.» gli consegnò un foglietto.
Hoyle fissò il cilindro, portandoselo davanti agli occhi. All'interno c'era un sacchetto di plastica, che conteneva una piccola scheggia bianca, ma non riuscì a distinguerne bene i contorni per via del riflesso della luce sulla superficie.
«Per favore, appena vedi Sarah dille di venire da me, nel frattempo lo porto in laboratorio e vedo che cosa riesco a fare» le disse, infilando il contenitore nella tasca del camice.
La segretaria annuì e alzò la cornetta, portandosela all'orecchio.
Hoyle si allontanò dall'atrio ed entrò in un piccolo laboratorio laterale. Camminava con passo svelto, quasi correndo. Entrò nella piccola stanza quadrata, le pareti colorate di bianco e l'odore di detersivo che riempiva l'aria.
Si avvicinò al tavolo di ferro e plastica al centro della sala e appoggiò con delicatezza il contenitore cilindrico. Svitò il tappo, e rovesciò sul piano il contenuto, un piccolo sacchetto di plastica trasparente con all'interno un frammento biancastro.
Lasciò il contenitore su un ripiano laterale e aprì la busta, lasciando cadere sulla superficie asettica un piccolo dente, lungo appena un centimetro e largo la metà.
Hoyle lo osservò con cura: la punta era consumata, i lati erano seghettati ed emanava un vago odore di marcio.
Distolse rapidamente lo sguardo e fissò il muro bianco per alcuni secondi, cercando di abituarsi all'odore.
Si chinò nuovamente sul dente e osservò il bordo seghettato con una lente d'ingrandimento. Tra i vari solchi si vedeva del liquido viscoso e denso, di un vago colore biancastro. Saliva.
Dove diavolo sarà finita Sarah? Pensò, sbuffando.
Si allontanò nuovamente per via dell'odore. Doveva prenderne un campione.
Cercò in una vaschetta metallica una siringa sottile. Ne trovò una e tornò al tavolo, infilando la punta dell'ago nel liquido, riempiendo per un terzo lo spazio vuoto all'interno della siringa.
La porta si aprì di scatto.
«Che cos'hai John?» chiese Sarah, la giovane assistente di laboratorio. I capelli castani avevano un aspetto meno luminoso del solito ed erano stati raccolti in una coda di cavallo e, nonostante il trucco abbondante, Hoyle capì subito che quello era lo sguardo di chi aveva un bambino particolarmente vivace, soprattutto la notte.
«Nottataccia?» domandò lui, indicandole gli occhi.
Lei si richiuse la porta alle spalle. «Un incubo. Mio figlio non ha quasi chiuso occhio, e neanch'io.»
Hoyle ripensò al proprio di figlio. I primi mesi erano stati durissimi, specialmente di notte. Lui e sua moglie avevano deciso di occuparsi di lui a turno, ma non erano quasi mai riusciti a dormire. Conosceva benissimo la sua situazione.
«Ad ogni modo?» continuò lei.
«Vieni qua, così mi dici tu.»
Lo fissò con aria interrogativa, aggrottando la fronte. Si avvicinò lentamente al tavolo, guardando il ripiano di plastica bianca.
«Cos'è?» chiese, indicando il piccolo frammento. Era evidentemente preoccupata.
«Quello che sembra: un dente» le rispose lui, scrollando le spalle.
«Quello non può essere un dente, non ho mai visto niente del genere» ribatté lei «non di quelle dimensioni. Da dove proviene?»
«Argentina, vicino a Salta.»
«Dal Nord? Che diavolo di creature con questi denti vivono in quella zona?» gli chiese, alzando la voce.
Hoyle scrollò le spalle. «I puma?»
«No, i denti dei felidi sono differenti da questo: sono più piccoli e appena arrotondati in punta, ma non per l'usura. Questo è anche seghettato» spiegò, avvicinandosi per osservare meglio i bordi del frammento. L'odore di marcio le riempì le narici, facendola voltare di scatto.
«Puzza eh?» ridacchiò Hoyle. Aveva commesso quello stesso errore pochi minuti prima.
«Mio Dio, sembra carne andata a male» rispose, tossendo. «Hai già effettuato dei test?»
«Ho solo raccolto un campione di saliva.» Hoyle estrasse dalla tasca del camicie la siringa e gliela porse. Lei la prese e la studiò per intero, passandosela fra le mani. Il colore era sul bianco, opaco e doveva essere densa. Lo spazio che occupava non era nemmeno la metà di quello vuoto. La siringa pareva vuota.
«Cosa speri di ottenere?» domandò, girandosi a guardarlo.
«Magari tracce di malattie o veleno...» Hoyle alzò le spalle, guardando il frammento.
Lei tornò a fissare il liquido, pensierosa.
«E se chiamassimo qualcuno per aiutarci?» chiese improvvisamente lei.
«A chi stai pensando?»
Sarah esitò, «la dottoressa Su?»
Hoyle annuì pensieroso. La dottoressa Su era una biologa che lavorava presso la New York University. Appena trentenne, aveva accettato quel lavoro solo due anni prima, e si era già guadagnata un'occupazione di rispetto. Non era una docente, non aveva mai accettato di diventarlo. Le sue ricerche si erano specializzate sull'evoluzione di alcuni dinosauri in uccelli moderni, un lavoro che stava ancora seguendo. Quel dibattito la aveva sempre affascinata, spingendola verso quella direzione.
Forse lei sarà proprio il nostro deus ex machina. Pensò Hoyle, prendendo il cellulare dalla tasca.

Amy Su stava attraversando il corridoio del piano terra della New York University. Teneva sotto braccio il nuovo fascicolo della sua ricerca, una dozzina di fogli da cui sarebbero state fatte una ventina di fotocopie.
Amy si sistemò i capelli neri dietro l'orecchio, e si raddrizzò il cerchietto che glieli teneva lontani dal viso. Era di origini cinesi, ma era sempre vissuta in America, nel New Jersey. Si era trasferita a New York poco dopo la laurea, per cercare lavoro e, dopo aver lavorato brevemente come guida al Museo di storia naturale, era stata chiamata per un colloquio all'università.
Quella era stata la svolta di tutta la sua vita.
Raggiunse la portineria e poggiò la pila di fogli sul ripiano di legno davanti al vetro. La portinaia si girò a fissarla. Stava telefonando.
Amy aspettò che la donna poggiasse la cornetta e si sistemò il maglione che le arrivava alle cosce. Era stato un regalo di Tom, quando ancora si erano conosciuti. Quel pensiero la fece sorridere.
«Buongiorno» disse la portinaia, fissando la biologa con aria assente, «hai altra roba?»
«Ho paura di sì, e stavolta ho bisogno di qualche copia in più.»
«Stai avendo successo, eh?»
«Non proprio, sono solo una ventina di lettori» disse, arrossendo.
«Finché non lo pubblichi, allora avrai successo» la donna prese i fogli e li appoggiò vicino alla fotocopiatrice, cominciando a prepararla.
Amy non se lo aspettava, in verità. Immaginava di vedere una o due copie del suo libro in uno scaffale impolverato della biblioteca privata dell'università, non nelle mani di qualche importante scienziato.
Quello che però poteva aiutare il libro una volta pubblicato era il nome del secondo autore sulla copertina, di cui molti ancora non ne erano a conoscenza.
«Quindi venti, giusto?» chiese, inserendo il primo foglio nella fotocopiatrice.
«Giusto» rispose, annuendo distrattamente.
Il cellulare nella propria tasca cominciò a vibrare. Lo prese e controllò il numero. Era il dottor Hoyle. Lo aveva conosciuto l'anno prima durante i suoi studi sui volatili.
Si allontanò dalla portineria e premette il pulsante verde.
«Pronto?» domandò.
«Salve dottoressa, sono John Hoyle.»
«Buongiorno, ho riconosciuto il suo nome nella rubrica. Ha bisogno di qualcosa?» lo aveva detto a bassa voce, benché non ce ne fosse stato il bisogno.
«In verità sì, un grattacapo. È arrivato un campione questa mattina, forse sarebbe il caso che lei venga a dare un'occhiata. Può?»
Amy rifletté alcuni secondi. Quella mattina non aveva nessun impegno particolare, la pagina dell'agenda vuota.
«Sarò subito da lei» disse, poi salutandolo. Hoyle interruppe la chiamata, lasciandole uno strano senso di ansia.

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