67

149 24 6
                                    

Amy Su, esausta, trascinava i piedi mentre si inoltrava da sola nella foresta, ascoltando il monotono scrocchio delle foglie secche sotto le suole dei suoi scarponcini. Stava ancora cercando di dimenticare il rumore spaventoso del camper che si sfracellava alla base della scogliera e le grida di dolore di Costa. A quel pensiero sentì il cuore riprendere a martellarle nel petto e il respiro mozzarlesi in gola. Chiuse gli occhi e si appoggiò al tronco di un albero, inspirando per reprimere un singhiozzo.
Manuel Costa è morto. Si sforzò di non pensarci, ma la serie di eventi che era appena accaduta continuava a ripetersi nella sua mente come il suono di un disco rovinato, incessante, e le dava un senso opprimente di solitudine.
Stava tentando di rassegnarsi all'idea che Costa fosse morto, ma la sua mente era troppo annebbiata e scossa per riuscire ad accettare quello che era successo. Decise che era meglio distrarsi, per il momento, concentrarsi su qualsiasi altro pensiero, tutto fuorché non c'entrasse con l'incubo che stava vivendo.
Nella sua mente prese forma un nome, e subito dopo un volto, prima sfocato, poi sempre più nitido, chiaro, e si sentì invadere da una nuova ondata di emozioni. Ma queste erano emozioni diverse, non più rimorso e tristezza, ma più un senso di vuoto, di vulnerabilità.
Tom.
L'ultima volta che lo aveva visto era stato due ore prima, quando era uscito con Rivas e Franco per perlustrare l'area attorno al camper per trovare una via percorribile per scendere con il mezzo dallo spiazzo dove si erano fermati.
A quel ricordo si sentì serrare lo stomaco.
Rilassati. Devono essersi messi in salvo. Si disse, mentre cercava di riprendere a respirare con un ritmo più regolare e di calmarsi per rallentare il battito.
Nonostante gli sforzi, però, sentiva che era tutto inutile. Era impossibile contrastare l'adrenalina che le scorreva nel sangue.
Aveva sentito dire che spesso, in situazioni di pericolo, ogni stimolo, di qualunque natura, era in grado di fare la differenza tra la sopravvivenza e la morte.
In quel momento si rese conto di quanto fosse vero. Il solo pensiero che Tom potesse essere vivo e trovarsi a poche centinaia di metri da lei le ridava speranza e animava una parte di sé di cui aveva ignorato l'esistenza.
Mentre avanzava tra gli alberi, si rese improvvisamente conto del silenzio surreale che era calato intorno a lei. I rumori che produceva con i passi sotto le suole degli scarponcini sembravano quasi echeggiare intorno a lei come boati in un ampio spazio vuoto.
L'umidità e la mancanza d'aria le davano le vertigini ma, nonostante la fatica di mantenersi in piedi e di contrastare i conati, si fece forza e mantenne il passo.
Mantenendo l'andatura, socchiuse gli occhi per limitare gli stimoli visivi così da acuire l'udito per captare ogni singolo rumore che potesse indicare la presenza di qualche predatore, oppure di Tom, di Franco o di Rivas. Fece quell'esercizio per qualche minuto, ma non udì nulla.
Quella strana calma, invece che inquietarla come aveva fatto in un primo momento, la stava invece aiutando a distrarsi. Ogni capacità logica che era svanita dalla sua mente qualche minuto prima stava lentamente riprendendo forma nella sua mente.
Appena sentì finalmente il battito rallentare e la testa smettere di girare, si fermò appoggiandosi con la schiena a un albero e chiuse nuovamente gli occhi, sforzandosi di fare il punto della situazione.
Con la mano sfiorò la canna della pistola lanciarazzi per assicurarsi di averla ancora infilata alla cintura. Rialzò lo sguardo e si guardò intorno.
Ora, stando a quello che riusciva a distinguere tra gli alberi, doveva trovarsi a poche decine di metri dalla parete di roccia, settanta metri più in basso di dove avevano parcheggiato il camper prima dell'attacco del dinosauro.
Ricostruendo mentalmente il percorso che aveva seguito da quando era scesa dallo spiazzo, capì di aver proceduto parallelamente alla scogliera per circa cinquanta metri, il che implicava che doveva ancora proseguire per altri centocinquanta metri prima di trovare la parete laterale della caverna. Sperava con tutta se stessa che Tom e gli altri stessero venendo verso di lei, oppure le possibilità di ritrovarli erano praticamente pari a zero.
Non che in quel momento fossero molto più alte. Senza contare i predatori, non aveva quasi più forze dopo la fuga precipitosa dal camper, e la mancanza di cibo e di acqua cominciavano a farsi sentire. Tutte le provviste rifornite da Foster si trovavano ancora nel camper, e l'ultima cosa che voleva era andare a recuperarle.
Sebbene fosse troppo presto perché cominciasse a emanare esalazioni, il cadavere di Costa era coperto di sangue mescolato a vomito, il che avrebbe attirato spazzini nel giro di pochi minuti. Andarci ora sarebbe stato un suicidio.
Le uniche cose che poteva fare al momento era allontanarsi quanto più possibile dal camper distrutto, e soprattutto lavarsi di dosso le macchie di sangue di Costa che le erano rimaste addosso quando lo aveva aiutato a riprendere fiato dopo la caduta.
Quel ricordo le causò una fitta di dolore che le fece risalire un conato. Riaprì gli occhi e rigurgitò quella che era stata la sua colazione quella mattina. Asciugandosi una lacrima si ripulì la bocca con il dorso della mano e fece tre respiri profondi. Doveva assolutamente trovare il modo di non pensare a quello che era appena accaduto e concentrarsi su ciò che la circondava.
Aspettò qualche secondo che le passasse la nausea, per poi avvolgere le maniche della camicia fino al gomito e asciugarsi con l'avambraccio il sudore dalla fronte. Le sembrava quasi che non ci fosse aria. L'umidità doveva essere vicina al cento per cento.
Raccogliendo le forze riprese a camminare, curvando leggermente verso sinistra per avvicinarsi alla base della scogliera, dove gli alberi con molta probabilità dovevano essere più radi per garantirle una visuale più ampia.
Percorse all'incirca un'altra cinquantina di metri nel silenzio più assoluto, finché non lo cominciò a sentire. In quel momento, le sembrò il rumore più bello che avesse mai udito. L'inconfondibile sciabordio dell'acqua corrente.
Deve essere la cascata. Pensò, ricordandosi del piccolo ruscello che sgorgava tra le rocce vicino alla galleria di entrata della caverna e scorreva sullo spiazzo prima di precipitare dalla scogliera verso il fondo della grotta.
Amy aumentò la propria velocità mentre si dirigeva nella direzione da cui sentiva provenire il rumore del corso d'acqua, superando non senza difficoltà alcune rocce che spuntavano dal terreno. Ad ogni salto sentiva come se i suoi legamenti stessero per strapparsi, ancora provati dall'attacco al camper, ma si sforzò di ignorare il dolore.
Gradualmente gli alberi intorno a lei si fecero più radi, mentre il terreno di foglie venne sostituito da una superficie ghiaiosa. Improvvisamente, venne inondata da una forte fonte di luce che la accecò per qualche istante, obbligandola a chiudere gli occhi e a ripararsi con un braccio.
Le ci volle qualche secondo prima di tornare a vedere chiaramente e, appena riuscì a mettere a fuoco, rimase senza fiato dallo stupore. Di fronte a lei la cascata che scendeva lungo la scogliera formava uno stretto specchio d'acqua profondo qualche metro, circondato quasi interamente da sponde di ghiaia e argilla grigia. Alla destra di Amy, il lago si restringeva fino a formare un ruscello largo appena un metro che scorreva formando piccole cascate prima di scomparire tra la fitta vegetazione.
Nell'aria aleggiava un forte odore di umidità.
Mantenendo la mano sinistra vicina alla pistola lanciarazzi si guardò rapidamente intorno prima di lasciare il riparo che le procuravano gli alberi e di raggiungere la cascata, camminando al limitare della foresta e mantenendosi lontana dall'acqua.
Nonostante non avesse con se né un recipiente, né alcuna soluzione per sterilizzare l'acqua, sapeva che se non avesse bevuto quanto prima le sue possibilità di uscire viva dalla caverna sarebbero state praticamente nulle. Decise che doveva rischiare.
Appena raggiunse la parete di roccia curvò a destra e si avvicinò alla cascata allungando le mani unite a formare un incavo per raccogliere quanta più acqua possibile.
Appena riempì lo spazio tra le dita avvicinò le mani alla bocca e bevve nonostante fosse gelida. Per un attimo si irrigidì a causa dello sbalzo termico e trattenne il fiato, ma la sensazione durò solo un secondo. Si sciacquò il viso e bevette di nuovo. Un istante più tardi sentì ritornare le forze e i morsi della fame che si attenuavano.
Subito dopo avvertì il battito cardiaco riprendere un ritmo più regolare e i muscoli rilassarsi. Distese le spalle e osservò distrattamente l'incredibile gioco di luci che si formava con il riflesso del sole sull'acqua proiettato sulla parete di roccia. Era come se sinuosi rami d'acqua si arrampicassero sulla pietra sospinte da un vento impercettibile, danzando formando magnetici effetti di luci e colori distorti dalle imperfezioni delle arenarie. Somigliava più a un quadro astratto che ad una fotografia.
Sebbene quello spettacolo fosse magnifico, però, in quel momento Amy non ce la faceva proprio ad apprezzarlo. Non riusciva a non smettere di pensare a Tom e all'ultimo momento in cui si erano visti, nel camper, due ore prima. Le sembrava trascorsa un'eternità.
Improvvisamente, il rumore secco di un ramo che si spezzava la distolse da quei pensieri e la riportò bruscamente alla realtà. Si immobilizzò, avvertendo un brivido percorrerle la spina dorsale.
Il suo primo istinto fu di scappare da lì, ma si rese conto di non riuscire più nemmeno a respirare. Si appiattì contro la parete cercando di individuare il punto da cui aveva sentito provenire il rumore, ma si rese subito conto che poteva essere provenuto da dovunque.
Mentre si sforzava di ricordare con precisione con quale orecchio avesse sentito il colpo più chiaramente, e magari di immaginare cosa potesse averlo provocato, cominciò ad avvertire dei passi. Inizialmente ovattati distanti, poi sempre più chiari, vicini.
Improvvisamente, alcuni cespugli a venti metri di distanza da lei si piegarono sotto il peso di una zampa, che mosse un passo sulla superficie di ghiaia seguita dal corpo di un animale mastodontico. Amy riuscì a malapena a distinguerne la sagoma, stagliata contro la forte luce del sole.
Era un animale lungo una decina di metri e alto quattro, con un'andatura agile e decisa e con un capo allungato che dondolava leggermente in avanti e indietro ad ogni passo.
Fece qualche passo in avanti si abbassò il capo verso l'acqua del lago, apparentemente ignaro dell'altra presenza in quella radura.
Amy si sforzò per non lasciarsi sfuggire alcun suono, nemmeno il minimo respiro, colpì accidentalmente un sasso con il piede che rimbalzò cadendo in acqua. Merda!
L'animale scattò con il capo verso l'alto, poi alla sua destra verso la foresta e subito dopo a sinistra, fissandola negli occhi.

CronoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora