In piedi accanto alla mensola con le attrezzature, Amy giocherellava con i guanti in lattice disposti in due pile da due dozzine l'una. Il contatto con la superficie lucida e il famigliare odore di plastica la riportò all'atmosfera del laboratorio dell'università, dove era solita indossare quei guanti ogni giorno.
Paradossalmente, il più delle volte quando si trovava circondata dalle quattro pareti di quella struttura, provava una voglia irrefrenabile di uscire, fare campionamenti, esperimenti direttamente sui soggetti su cui si basavano i suoi studi e respirare aria pulita.
Si voltò improvvisamente richiamata dal ritmico rumore di passi che si intensificava e incrociò lo sguardo di Tom, che si avvicinò e le sistemò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio destro. Lei gli sorrise per una frazione di secondo, poi lo sguardo le cadde sulla pistola che aveva evidentemente cercato di non farle notare e il sorriso le morì sulle labbra.
La indicò. «Non volevi che la vedessi?»
Lui scostò la giacca che aveva usato per nasconderla e guardò l'arma, scuotendo il capo.
«È di Evian, ne ha almeno una per ognuno di noi» le rispose, scuotendo il capo, «non piace neanche a me averne una così vicina, ma non posso non trovarmi d'accordo sul fatto che, in caso di pericolo, non avercela è un problema davvero poco trascurabile.»
Amy sospirò. Tom aveva ragione, ma la visione dell'arma la faceva comunque sentire a disagio. Preferì distogliere l'attenzione e concentrarsi sul viso teso del professore.
«Sei sicuro di voler andare?»
Lui sorrise. «Sinceramente? Se dovessimo imbatterci in qualcosa di serio preferisco tu non sia lì. Sapere che sei qui dentro al sicuro e che devo semplicemente dare un'occhiata tra un paio d'alberi per vedere se possiamo passare col camper sono gli unici pensieri su cui devo concentrarmi. E, soprattutto, il primo basta a motivarmi.»
Lei fece un passo avanti e gli strinse le braccia intorno al collo, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivargli all'orecchio.
«Speriamo non accada nulla» gli sussurrò, «ma cerca comunque di stare attento, e di tornare qui tutto intero.»
Lui si sciolse dalla stretta e le diede un bacio sulla fronte. «Sarò qui fra poco più di dieci minuti minuti, te lo prometto.»
Dietro di lui, Evian si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla. «Noi andiamo fuori, professore.»
Harris annuì e si voltò, si indicò l'orologio da polso rivolto verso di lei, aprendo poi entrambe le mani per ricordarle la promessa dei dieci minuti e, prima di uscire dal camper, le fece l'occhiolino.
Appena la portiera si chiuse, Amy si sentì completamente sola.
Costa era già scomparso nel laboratorio, e lo sentiva armeggiare con l'attrezzatura. Lei però rimase immobile, spostando lo sguardo verso il finestrino laterale sinistro e osservò i tre uomini attraversare i pochi metri di spiazzo che li separavano dalla foresta per poi scomparire tra gli alberi. Appena la sagoma di Harris sparì dalla sua visuale, sentì il fiato bloccarsi in gola e le dita stringersi con più forza attorno al bordo della camicia.
Chiuse gli occhi e cercò di alleggerirsi dalla marea di brutti presentimenti che presero a vorticare nella sua mente con sempre maggior ostinazione.
Dieci minuti.
Riaprì debolmente gli occhi e guardò l'orologio appartenuto a sua madre. Un fiume di ricordi la riportò indietro di dieci anni, e rivide l'immensa onda che scavalcava il perimetro del resort e si abbatteva con furia sulla struttura. Una lacrima le rigò la guancia
Devo essere forte. Si disse, asciugandosela. Non è questo il momento per farsi prendere dai ricordi e dimenticarsi di non appartenervi.
Si sforzò di non pensarci e si concentrò solo sulle due lancette. Era mezzogiorno e tre minuti.
Sospirando si voltò e superò la porta al centro della parete di cartongesso, fermandosi subito dopo averla attraversata.
Il laboratorio, al contrario delle sue aspettative, era più grande di quanto si fosse aspettata. Lungo almeno tre metri e mezzo e largo due, era il più grande laboratorio in una struttura mobile in cui fosse mai stata, e anche il più all'avanguardia.
Al centro della stanza, su un ripiano di plastica liscia, si trovava un microscopio ottico il cui valore poteva benissimo superare quello di uno qualsiasi di quelli di cui disponeva l'università.
Alla sua destra la parete era occupata da un lungo banco bianco sotto ad una finestra continua che percorreva tutta la lunghezza della parete.
Sul lato opposto, un'altro finestrino alto solo venti centimetri, era inserito fra un ripiano e alcuni armadietti fissati in alto sul muro. In fondo, tra due grandi armadi che sfioravano il soffitto, la porta del bagno.
Mentre osservava affascinata l'intera stanza, passandola in rassegna da cima a fondo, vide Costa venire verso di lei tenendosi le mani sui fianchi, lo sguardo colpito tanto quanto doveva essere il suo.
«Come le sembra a prima vista, dottoressa?» le chiese.
«Uno dei laboratori migliori in cui lavorare, su questo sarebbero d'accordo in molti, soprattutto contando che è stato ricavato da un camper per famiglie» gli rispose, indicando poi verso il ripiano al centro, «e quel microscopio sicuramente è la ciliegina sulla torta.»
Si avvicinò per osservarlo meglio, passando le dita sull'oculare e poi lungo tutto il braccio metallico. «Foster deve disporre di grandi quantità di denaro.»
Costa si strinse nelle spalle. «Se anche le avesse, non ne da molto sfoggio. Vive in una tenda.»
Amy sorrise, staccando gli occhi dal microscopio e concentrandosi sul ragazzo. Manuel Costa era circa dieci centimetri più alto di lei, magro, viso proporzionato con lineamenti latini e sguardo sereno. I suoi occhi erano di un marrone scuro penetrante.
Guardandolo con più attenzione, si rese conto di alcuni tratti che le ricordavano Tom, che andavano dal ciuffo disordinato di capelli castano scuro che cadeva sulla fronte alle fossette che si formavano ogni volta che entrambi sorridevano.
L'unica differenza era l'età. Harris doveva superare quella di Costa di almeno quindici anni, ma le somiglianze si notavano comunque.
Tom. Amy guardò ancora verso la foresta attraverso la lunga finestra, ma non distinse nessuna sagoma umana.
Sta bene, è con un cacciatore esperto ed è armato. Pensò, chiudendo gli occhi e inspirando per calmarsi. Tra poco sarà di nuovo qui.
«Dottoressa?» la chiamò improvvisamente Manuel, «quest'affare puzza di... alcool?»
Lei vide il ragazzo accovacciato a terra, con metà del torso infilato in uno degli armadietti posti sotto il ripiano di destra. Si avvicinò e si inginocchiò davanti a lui.
«Che cosa puzza di alcool?» gli chiese, allungando il collo per osservare meglio. L'interno non era molto spazioso, ma era comunque pieno di contenitori di plastica morbida che ne occupavano tutto lo spazio.
Costa ne prese uno rosa pallido e glielo porse, arricciando il naso. Amy si avvicinò e riconobbe il forte l'odore dell'etanolo diluito, sostanza presente in ogni laboratorio.
«Non è bevibile, chiaro, ma è comunque lo stesso alcool presente negli alcolici, ma non ti consiglio di assumerla: si rischia parecchio.»
«A cosa serve, in un laboratorio?»
«Si tratta di una sostanza largamente utilizzata per la conservazione di reperti viventi anche dopo il loro decesso. Bisogna preparare diverse soluzioni di etanolo diluito in base all'animale o alla pianta che si vuole conservare, ma il procedimento non è molto difficile. A New York è un po' una prassi.»
Il ragazzo annuì, prendendo il contenitore che la dottoressa gli stava porgendo, osservandolo ancora. Era cilindrico, simile ad una bottiglia, e perfettamente liscio.
Nessun particolare.
Sospirò e lo ripose tra gli altri. «Pensa che ci servirà?»
«In realtà lo spererei» gli rispose, «portare via un campione di dinosauro da qui sarebbe la nostra unica prova che potremmo presentare alla comunità scientifica e al mondo.»
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Crono
Science FictionStoria vincitrice nella categoria SCIENCE FICTION ai Premi Wattys 2020 [In revisione, non su Wattpad] Nel nordovest dell'Argentina, in una cava di sabbia, un operaio viene brutalmente sbranato vivo da un animale misterioso, morendo nell'infermieria...