75

145 19 6
                                    

Il lungo recinto in ferro si materializzò dal nulla di fronte a loro, comparendo all'improvviso in cima a un'ampia strada sterrata che risaliva un largo pendio ghiaioso
Hernando Ramirez fermò la Land Rover a un paio di metri dall'inferriata, sollevando nuvole di polvere tutt'intorno, e si allungò sul cruscotto per poter guardare sopra di lui.
Su di un grande cartello a dieci metri d'altezza campeggiava in caratteri cubitali il nome del sito recintato di fronte al quale si erano fermati: MINA DE CALCHAQUÍES.
«Dovremmo essere nel posto giusto» disse, aprendo la portiera e uscendo dalla vettura, venendo investito di colpo dall'afa soffocante che lo lasciò senza fiato.
Il collega Pedro Santos, seduto accanto a lui, scese subito dopo, coprendosi gli occhi con la mano per proteggersi dalla luce accecante. Lanciò anche lui un'occhiata all'insegna e poi abbassò lo sguardo, verso l'amico.
«Quindi? Cosa facciamo qui, ora?» domandò, grattandosi la nuca.
«Chiamiamo il direttore della cava per farci entrare» Ramirez infilò una mano in tasca ed estrasse un piccolo pezzo di carta piegato. Lo aprì, rivelando un numero di telefono scritto in matita all'interno. Sfilò il cellulare da un'altra tasca e compose il numero, per poi avvicinare l'apparecchio all'orecchio e attendere.
«Dove hai trovato quel numero? Per un attimo mi sono illuso che saremo arrivati qui con una tronchese, avremo spezzato la catena del cancello e avremo raggiunto il luogo dell'incidente infrangendo decine di leggi federali.»
Hernando sorrise, mentre contava gli squilli. «Devo ammettere che sarebbe stata un'entrata d'effetto, ma ho pensato sarebbe stato meglio avvertirlo. Il suo numero è online.»
Dopo cinque squilli, finalmente qualcuno rispose.
«Pronto, chi parla?» Era una voce limpida, gioviale, di un uomo anziano con forte accento americano.
Ramirez si schiarì la voce. «Douglas Foster? Noi non ci siamo mai visti, ma ci siamo già sentiti per telefono qualche giorno fa. Sono il guardiacaccia Hernando Ramirez, e al momento mi trovo appena fuori dalla sua cava, assieme al mio collega, Pedro Santos. Potremmo raggiungerla? Vorremmo discutere con lei di quello che è accaduto a un suo operaio qualche giorno fa. Le dispiacerebbe?»
Trascorsero dieci secondi di silenzio prima che Foster gli rispondesse. In quel breve frangente, Hernando ebbe la sensazione di essere stato troppo avventato, di averlo messo con le spalle al muro, ma quel pensiero lo abbandonò di colpo appena la voce tornò a farsi sentire.
«Ma certo, ma certo. Avevo immaginato sareste passati, in questi giorni. Vi raggiungo in auto e vi apro il cancello.» Interruppe la chiamata.
«Cosa ha detto?» gli chiese Pedro, avvicinandosi alla recinzione e guardando la cava tra gli spazi vuoti a forma di diamante della rete metallica intrecciata.
Hernando gli riferì la risposta di Foster. «Sei dispiaciuto di non poter usare la tronchese? In ogni caso, oggi non me ne sono portata una con me in macchina.»
Santos si strinse nelle spalle. «Avrei trovato un altro modo. Forse la tua Land Rover avrebbe potuto dimostrare di essere all'altezza della cifra che hai speso se me la avessi lasciata usare contro il recinto.»

Due minuti dopo, una Volvo grigio scuro risalì la larga strada di terra battuta che raggiungeva l'ampio spiazzo di fronte al cancello, dall'altro lato rispetto a loro dell'inferriata, e si fermò. Pochi secondi dopo dal posto del guidatore scese un uomo sui cinquant'anni, alto e magro, con un completo beige a righe scure e un cappello in feltro, che venne verso di loro aggiustandosi il colletto della camicia.
Appena li raggiunse si affrettò a infilare una chiave nella serratura del lucchetto, la girò, e aprì il cancello accogliendoli con un sorriso radioso.
Ramirez doveva ammettere di essersi immaginato Douglas Foster completamente diverso, una versione più simile all'imprenditore texano con il cappello da cowboy e abiti discutibili ma che costavano più della sua nuova auto. Quello che li aveva accolti, invece, non rispecchiava affatto lo stereotipo al quale aveva associato la voce con con cui aveva parlato giorni prima, quando aveva iniziato a lavorare sul caso, dopo aver riconosciuto l'accento degli Stati Uniti.
Douglas Foster era un ometto poco più basso di lui, ma che a una prima occhiata sembrava più alto per via della gracile struttura fisica. Il volto era scavato e segnato da rughe, che però incorniciavano un sorriso sincero e due piccoli occhi scuri.
I tre uomini si presentarono, stringendosi la mano. Appena Ramirez si sciolse dalla presa, rilassò il volto e tornò serio. Non voleva portare via troppo tempo all'uomo, perciò doveva fare in fretta.
«Io e il mio collega abbiamo iniziato ad occuparci del caso della morte di un suo dipendente, Cayo Guzman, il cui incidente si è verificato qui, nella sua cava, perché ci è stato comunicato, e successivamente confermato dalla stampa e da uno dei medici dell'Hospital San Bernardo, che è stato sbranato da un animale per qualche ragione non identificabile. Non so quanto potremo apprendere, qui, ma ci chiedevamo se poteva chiarirci qualche dubbio.»
Foster annuì, facendo loro cenno di seguirlo verso la Volvo. «Sicuro, vedrò di aiutarvi, ma immagino sia più comodo per tutti se ne parliamo nella mia tenda, no? Qua fuori si muore di caldo, e l'aria condizionata delle auto non farà alcuna differenza, credetemi.»
Ramirez sorrise, sollevato della disponibilità dell'uomo, mentre saliva nella vettura scura del direttore della cava, seguito dal collega, che si sedette dietro. Hernando notò la rapida occhiata che il collega gli lanciò nel riflesso dello specchietto retrovisore. Si scambiarono uno sguardo di intesa. Se vogliamo delle risposte, questo è il momento per ottenerle.
«Insomma, mi state dicendo che non siete riusciti a identificare la specie?» esordì Foster, girando la chiave e partendo con l'auto per la strada sterrata, verso una serie di ampie curve in discesa. «Cosa non vi ha convinti?»
Hernando si schiarì la voce e gli raccontò tutto, dalle prime informazioni che erano state comunicate a lui e alla sua squadra, alle supposizioni della stampa, alle conclusioni a cui era giunto in un primo momento, per poi soffermarsi sull'incontro che aveva avuto con il dottor Perez, l'anatomo patologo che si era occupato dell'autopsia.
Quando terminò, Foster lo fissava con un'espressione angosciata. «E lei ne è sicuro? Crede posa trattarsi di una specie ritenuta estinta? È davvero possibile?»
Santos si protese verso di loro, scuotendo il capo. «Abbiamo considerato quest'ipotesi, è vero, ma in realtà la riteniamo un'idea alquanto improbabile. Se si trattasse effettivamente di un'esemplare di una specie sopravvissuto all'estinzione il campo si allarga, ma non abbiamo riscontrato molti generi recenti che combacino. Per "recenti" intendo secoli, qualche millennio, non di più.»
Foster corrugò la fronte, scoraggiato. «Se si trattasse di un animale più antico?»
Pedro fece una smorfia. «Per quanto ne sappiamo, potrebbe anche darsi, ma dei gruppi di predatori in grado di sbranare un uomo adulto sopravvissuti per centinaia di migliaia di anni, se non milioni, senza mai essere stati visti prima d'ora mi sembra davvero poco realistico.»
Contrariamente a quanto Ramirez aveva pensato, le rughe sul viso del direttore si rilassarono, e le labbra si arcuarono in un sorriso. «In verità, signori, non c'è niente di irrealistico in tutto ciò.»
L'auto si fermò una trentina di secondi dopo, in fondo alla lunga strada sterrata che dal cancello scendeva verso un'area diverse decine di metri più in basso, in una depressione circondata da terrapieni.
Il capo guardiacaccia ci mise qualche secondo a comprendere la terrificante visione che si profilava di fronte a lui.
Non può essere... Di colpo, gli tornarono alla mente le parole del dottor Perez: "Foreste tropicali, catene montuose difficili da raggiungere, grandi fiumi o, addirittura, complessi sistemi sotterranei. Le possibilità sono molte, ma se teniamo conto delle caratteristiche del territorio che ci circonda, possiamo escludere già le prime tre."
A una cinquantina di metri di distanza, alle spalle di una recinzione metallica di sei metri, una caverna delle dimensioni di un piccolo dirigibile si apriva nella montagna come una ferita gigantesca, nera e profonda.
Ramirez la fissò intensamente, sperando con tutto se stesso che quella grotta non fosse in alcun modo connessa con la morte dell'operaio. Ma, per la seconda volta in quella giornata, fu costretto a ricredersi.
«Quella caverna era sigillata da una parete di roccia prima di due settimane fa, quando abbiamo cominciato i lavori di ampliamento della cava, completamente isolata dal resto del mondo.» spiegò Foster, dopo avergli lasciato del tempo per metabolizzare. «Ci troviamo di fronte a un autentico mondo perduto, rimasto invariato per decine di milioni di anni.»
E forse era meglio se rimaneva tale. Pensò Ramirez, terrorizzato dalle possibili implicazioni di quella scoperta. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era che ora cambiava tutto. Il ragionamento di Perez era sostenuto da una prova inconfutabile.

CronoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora