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La Citroën bianca sfrecciava lungo Park Avenue, verso nord.
Amy stringeva nervosa il volante, fissando la strada. La superficie d'asfalto era stata ripulita dalla neve recentemente, una sottile striscia bianca persisteva fra le due corsie.
Superò la Grand Central Terminal e continuò lungo la strada, aumentando la velocità.
Le tornò in mente la telefonata di poco prima. Hoyle aveva mantenuto un tono calmo e professionale, ma aveva lasciato trasparire un velo di nervosismo che la aveva agitata.
Sarebbe arrivata al laboratorio in cinque minuti, che improvvisamente le parvero ore.
Premette il piede sull'acceleratore e si sentì premere contro il sedile, ignorando il limite di velocità e proseguendo dritta lungo la strada.
Quattro minuti. Il cuore prese a battere velocemente, un leggero formicolio le pervase le gambe.
La tasca prese a vibrare, illuminando un rettangolo bianco attraverso la stoffa. Amy allungò la mano e sentì il cellulare tra le dita. Lo prese e fissò per un breve secondo lo schermo: Tom Harris.
Sorrise e premette il viva voce, appoggiando il telefono sul coperchio chiuso del portamonete. La voce profonda di Tom la precedette.
«Amy? Non c'eri stamattina. Ti aspettavo per il caffè» disse lui.
La ragazza si sentì subito in colpa, «Oddio scusa, me ne sono dimenticata.»
«Tranquilla» continuò lui, «piuttosto, dove ti sei cacciata? È da venti minuti che ti cerco.»
«Sto andando al laboratorio di Hoyle, te l'avrei detto appena sarei arrivata. Mi ha chiamata lui poco fa, ha detto che aveva bisogno di una mia consulenza. Sto andando a capire di che cosa si tratta.»
«Una consulenza? Nient'altro?»
«Macché, mi ha detto giusto questo. Ha solo specificato che gli è arrivato un campione, si vede che qualcosa non gli torna.»
«Ah» esclamò, «ho visto che hai lasciato in portineria una copia del nuovo capitolo.»
Amy sorrise. «Ti proibisco categoricamente di guardare quei fogli.»
«Anche se volessi, adesso non posso: ho lezione tra dieci minuti.»
Lei guardò l'orologio. Le nove meno sette.
«Quante ore hai oggi?» domandò poi.
«Solo una» rispose lui, sbadigliando. «ma pomeriggio ho il corso, subito dopo pranzo.»
Il suo corso di paleontologia era cominciato quel semestre. Teneva le lezioni un giorno alla settimana il primo pomeriggio, nella stessa aula dove insegnava scienze naturali.
L'anno prima, durante una delle sue lezioni sull'evoluzione delle specie, aveva notato uno scarso entusiasmo da parte degli studenti, e aveva deciso quindi di stuzzicarli.
«Morgan» aveva detto, improvvisamente.
Un ragazzo magro dell'ultima fila aveva alzato gli occhi e fissato il professore, passandosi sulla bocca il dorso della mano.
«Quello che hai tra le mani è forse la pietanza più particolare che tu abbia mai mangiato qui in classe. Pollo fritto alle dieci di mattina.»
La classe era scoppiata in una fragorosa risata, mentre il ragazzo nascondeva l'aletta nella confezione di plastica nello zaino.
«Però, in questa circostanza, non potevi scegliere qualcosa di meglio.»
Le risate si erano smorzate e la classe era tornata a fissare il professore, sul palco.
«Chi di voi conosce il tirannosauro?» aveva chiesto poi, fissando la platea. Quasi tutte le mani si alzarono.
«Benissimo. Qualcuno di voi mi sa anche dire come mai oggi non è più a scorrazzare libero tra i boschi?» Le mani che erano calate furono solo quattro. Ottimo. Pensò.
«Cox?» Aveva chiesto, indicando una ragazza pallida in seconda fila.
«Il tirannosauro è sparito con l'estinzione di massa del Cretaceo» aveva risposto lei.
Harris aveva annuito. «Vero fino ad un certo punto. Il tirannosauro, ma così anche altri teropodi, non è propriamente scomparso, sparito nel nulla. Nessuno di voi conosce la teoria del proseguimento dell'evoluzione dei dinosauri?»
Nessuno aveva risposto.
«Bene, ve la illustro brevemente io: i dinosauri furono classificati tali solo nel 1842. Il loro nome 'Dino', terribile e 'sauro', lucertola, sta ad indicare perfettamente la concezione iniziale di questi grandi animali. Lucertole terribili. Lucertole, rettili. Da alcuni anni questa teoria comincia a vacillare nel mondo paleontologico. Non intendo dilungarmi eccessivamente, ma mi interessa solo dirvi che, a livello molecolare, un tirannosauro somiglia più ad un pollo o ad uno struzzo, che a un grosso rettile.»
«Aspetti un secondo» lo aveva interrotto Morgan, allungandosi sul banco, «lei è convinto che i dinosauri siano... grossi uccelli?»
«Non veri e propri uccelli, ma in definitiva sì, perché no? Per ora è un mistero: né rettili, né propriamente uccelli, un regno animale anfibio, ricorrendo all'uso originale della parola greca. Non mi riferisco ai dinosauri come rospi, sia chiaro.»
A quel punto si era accorto dell'improvvisa attenzione da parte degli studenti. Un ragazzo in ultima fila, che riconobbe come il capitano della squadra di football scolastica, aveva alzato la mano e preso la parola prima ancora che Harris glielo avesse permesso.
«Come si è giunti a questa teoria? Voglio dire, non credo sia così facile arrivare a questa conclusione. A me sembrano, come ha detto lei, grosse lucertole, coccodrilli cresciuti.»
Harris lo aveva per alcuni secondi, accigliato. Zachary Wood, due metri di altezza, novanta chili di muscoli e l'attenzione quasi sempre rivolta allo sport e alle ragazze, era intervenuto per la prima volta ad una delle sue lezioni.
«Be', come ho detto, non è una vera e propria conclusione, ma posso comunque rispondere alla tua domanda. Alcuni anni fa, alcuni paleontologi hanno cominciato a notare strane somiglianze fra lo scheletro di uccelli e alcuni resti ben conservati di dinosauro, tra cui la presenza di sacche d'aria nelle vertebre e la posizione dell'osso pubico, rivolto all'indietro. Un'altra cosa che accomuna queste due classi di vertebrati è la tipica 'posa di morte'. Il corpo in molti resti fossili, veniva ritrovato con le ossa raccolte in posizione fetale, coda e cranio rivolti all'indietro, sopra la schiena, quasi a toccarsi. Altre prove molto controverse sono la presenza di un possibile piumaggio di alcuni carnivori di medie dimensioni, ma l'argomento in questione è parecchio controverso.
Mi piacerebbe davvero rimanere qui a parlarne con voi ma, dato che potremmo rimanere qui a discutere anche per giorni, ne sono sicuro, ho un programma impartito dall'alto che devo rispettare. A meno che io non proponga un corso parallelo alle mie lezioni.»
In classe si era levato un brusio. Harris quasi si era spaventato dell'improvviso mutarsi del silenzio che era regnato nella stanza. Si era schiarito la voce, richiamando su di sé l'attenzione.
Cox, tossendo, si era sporta sul banco. «Io parteciperei.»
«Ottimo, se ci sono molti altri potrei vedere se riesco ad organizzarmi. Mi fate il favore di dirmi chi è interessato?»
Solo tre studenti scossero il capo, le mani degli altri flette verso il soffitto.

«Amy? Ci sei?» chiese Tom.
«Sì, sono sempre qui. Che c'è?» rispose lei, scuotendo il capo. Non era così raro che si perdesse nei suoi pensieri, isolandosi dal mondo che la circondava.
«Niente, niente. A cosa pensavi?»
«Alla tua lezione sui tirannosauri e i polli» rispose, «la mia preferita.»
Tom rise. «Anche per me. Mi sa che devo lasciarti ora. Sei già arrivata?»
«Quasi, sto svoltando sulla cinquantaseiesima. Tu dovresti entrare in classe fra trenta secondi, se vuoi essere puntuale.»
Tom la salutò e spense il cellulare.
Una consulenza? Gli sembrava strano, qualcosa non quadrava.
Era già capitato qualche mese prima che il laboratorio dell'Istituto avesse bisogno di una consulenza esterna.
La cosa che però lo aveva confuso era che avessero chiamato Amy dopo soli dieci minuti dall'inizio dall'arrivo del campione.
Se riesco, dopo vado a dare un'occhiata. Pensò, entrando in classe.

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