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Sarah King si era spesso vantata di avere una fedina penale immacolata e di non aver mai commesso alcuna infrazione delle norme del codice stradale. Ora, lanciata a tutta velocità nel traffico di Park Avenue, sentiva di starle infrangendo tutte.
Serpeggiando fra le automobili con la piccola Mercedes che viaggiava a più di cento chilometri l'ora, percorse all'incirca mezzo chilometro in direzione sud prima di dover frenare. Nella concitazione, quasi non si accorse che le auto si erano fermate in tutte le quattro corsie del viale. Sarah inchiodò un secondo prima di tamponare il taxi fermo davanti a lei.
Stringendo il volante tra le dita tremanti, si sporse sul cruscotto e guardò fuori dal parabrezza, cercando di capire dove si trovasse. Ci mise solo un secondo a riconoscere i profili dei grattacieli che torreggiavano su di lei.
Nonostante avesse tenuto il piede premuto sull'acceleratore e avesse superato le auto senza rallentare, rimase sconvolta nell'apprendere che non aveva percorso nemmeno mezzo miglio. Il vantaggio che aveva accumulato sull'aggressore che aveva tentato di ucciderla al laboratorio diminuiva ogni secondo sempre di più.
«Merda!» Imprecò, colpendo il cruscotto con la mano. «Questa non ci voleva.»
Con il cuore che batteva all'impazzata nel petto, frugò nelle tasche dei pantaloni e del camice alla ricerca del cellulare, scoprendo con orrore di non averlo con sé. Poi, mentre tornava a guardare la strada, si ricordò di averlo lasciato sul tavolo accanto al microscopio prima di uscire per raggiungere la segreteria.
Sentendo crescere in sé un'improvvisa ondata di rabbia, serrò con decisione le dita sul volante e avvertì una fitta nel braccio dove l'assassino le aveva sparato. Stringendo i denti, tamponò la ferita con la manica zuppa di sangue del camice, massaggiando il taglio con le dita. Il proiettile la aveva appena scalfita, ma il dolore era lancinante. Una sensazione del tutto nuova.
Rendendosi conto solo ora di essere bloccata nella corsia laterale, Sarah considerò l'idea di salire sul marciapiede e di superare la lunga colonna di veicoli fermi, ma accantonò subito quella possibilità. C'era troppa gente, e comunque il marciapiede in quel punto era troppo stretto.
L'unica opzione che le rimaneva era quella di riuscire a prendere una via alternativa e sperare di allontanarsi di lì il più possibile, ma era ferma esattamente di fronte ad un alto grattacielo di mattoni e non avrebbe potuto fare inversione in alcun modo.
Chiedendosi cosa fare, lanciò una rapida occhiata allo specchietto retrovisore, cercando di scorgere l'auto dell'assalitore nell'ingorgo che si stava formando. Passò in rassegna i veicoli, studiando attentamente le persone seduto al posto di guida, finché non lo vide. L'aggressore sedeva al volante di un'utilitaria nero lucido, due corsie alla sua sinistra, guardando assopito le macchine ferme davanti a lui. Lei rimase a fissarlo per qualche secondo, finché l'uomo seduto nel veicolo dietro di lei non strombazzò improvvisamente il clacson.
Sarah si voltò e premette prontamente l'acceleratore, procedendo per una manciata di metri prima di fermarsi di nuovo. Senza perdere un solo secondo, tornò a guardare nel traffico, cercando con lo sguardo l'auto dell'aguzzino. Le ci volle qualche secondo per individuarla. L'uomo alla guida continuava a fissare la strada.
Mantenne lo sguardo puntato su di lui per alcuni interminabili secondi, lanciando continue occhiate fuori dal parabrezza, quando il traffico nella corsia che li separava riprese a scorrere e un furgone le bloccò la visuale per una frazione di secondo.
Appena il mezzo si fu allontanato, Sarah vide l'uomo abbassare lo sguardo verso il proprio orologio da polso. Poi, con calma, lui alzò la testa e si voltò nella sua direzione. Nell'istante in cui i loro occhi si incrociarono, sul volto dell'assassino comparve un sorriso raggelante.
Istintivamente, Sarah ritrasse la testa nella macchina e si appiattì contro il sedile, aspettandosi che da un momento all'altro una pioggia di proiettili investisse la Mercedes. Invece, non accadde nulla.
Rimase in quella posizione per alcuni secondi. Poi, sentì nuovamente il frastuono dei clacson levarsi dalle auto tutt'intorno. Trattenendo il respiro, alzò la testa quel tanto che bastava per intravedere la corsia. Le macchine adesso si muovevano, seppur mantenendo una velocità inferiore ai dieci chilometri orari.
Premette debolmente l'acceleratore, proseguendo con lentezza sull'asfalto umido per la neve. Sdraiata com'era sul sedile, vide il retro dell'auto davanti solo all'ultimo momento, e fece una brusca frenata appena in tempo per evitare di urtarlo.
Dove sei? Si domandò, puntando i gomiti sul sedile e sollevandosi abbastanza per permetterle di intravedere la strada senza essere vista. L'auto scura dell'assassino era rimasta più indietro di qualche metro, ma era ugualmente troppo vicina.
Se fosse sceso e la avesse raggiunta, lei non avrebbe avuto scampo. Reprimendo un brivido, si sfilò il camice e lo appoggiò sui sedili posteriori, controllandosi la ferita sotto la spalla. Il dolore al braccio si stava attenuando e il taglio non sanguinava più, ma faceva ancora un male insopportabile. Stringendo i denti, si voltò di scatto verso la strada, temendo che l'uomo potesse aver avuto la sua stessa idea. Si chiese cosa avesse in mente l'assassino. Se doveva eliminarla, perché aspettare quando avrebbe potuto avvicinarsi all'auto facendosi scudo con le i veicoli fermi e spararle attraverso il vetro dei finestrini?
Quando lei tornò a guardare la macchina, però, si rese conto con orrore che anche lui doveva averlo pensato. L'abitacolo era vuoto e dell'assassino non c'era traccia.
Oh no...! Pensò, voltandosi verso Park Avenue, in preda al panico. Il traffico era di nuovo fermo. Poi, però, guardandosi attorno, si accorse che a una decina di metri di distanza c'era un incrocio formato dall'intersezione fra Park Avenue e la cinquantunesima strada. Se solo riuscissi a raggiungerlo... pensò, affondando le dita nel sedile della Mercedes.
Improvvisamente, un'ombra si materializzò accanto a lei e il finestrino laterale dell'auto esplose in una pioggia di schegge di vetro, che le caddero in grembo. Prima che avesse il tempo di capire cosa fosse successo, una mano si infilò nel varco e le afferrò il colletto del maglione, strattonandola. Sarah affondò le dita nel polso dell'aggressore, cercando di liberarsi, quando vide la mano sinistra dell'uomo impugnare una pistola infilata nella cintura.
Le dita dell'assassino si serrarono attorno alla sua gola, con una forza tale da spezzarle quasi l'osso del collo, mentre le puntava contro la canna della semiautomatica. Un attimo prima che l'uomo premesse il grilletto, Sarah fece un tentativo disperato.
Affondò il piede nell'acceleratore e curvò bruscamente a destra, salendo sul marciapiede. L'aguzzino perse la presa e cadde in avanti, trascinato dall'auto in corsa, colpendo la fiancata dell'auto con la testa.
I pedoni si scansarono mentre lei passava accanto alle auto ferme nel traffico, procedendo come un razzo e mantenendo il piede ben saldo sul pedale dell'acceleratore.
Qualche secondo dopo, Sarah si immetteva a tutta velocità nella cinquantunesima strada.

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