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Il cadavere di Anton Bogdanov giaceva in una posa scomposta sull'asfalto del parcheggio di taxi in Vanderbilt Avenue, davanti alla facciata est del Grand Central Terminal. Il corpo era ridotto a un ammasso di membra sanguinolente, trafitto da schegge di vetro.
Trenta metri più in alto, sulla passerella metallica all'interno della doppia finestra del terminal, Sarah King si ritrasse tremante dal varco che si era aperto nel vetro quando aveva spinto il sicario nel vuoto, sdraiandosi a terra e coprendosi il volto con le mani.
Si sentì subito travolgere dalle emozioni. Negli ultimi minuti non solo un assassino le aveva sparato, costringendola in un folle inseguimento per mezza città, ma aveva visto morire davanti ai suoi occhi Martha, la segretaria del laboratorio, e una giovane ragazza per strada, colpita da un proiettile in mezzo alla fronte.
E ora, lei era viva, e l'uomo giaceva privo di vita su un marciapiede. Ed era stata lei a spingerlo. Stava cercando di ucciderti. Pensò, cercando di accettare il fatto di aver ucciso il suo inseguitore. Aveva già ammazzato Martha, quella povera ragazza e forse ha fatto fuori anche...
Di colpo, si rese conto che, per la concitazione del momento, si era dimenticata di John Hoyle. Si tirò a sedere di scatto, spaventando una ragazza che si era avvicinata tendendole la mano. Appena mise a fuoco la figura davanti a lei, la riconobbe: era l'amica della studentessa col maglione rosso che era stata ferita dal proiettile del sicario.
Sarah accettò l'aiuto con mani tremanti e si alzò in piedi, afferrando il parapetto di acciaio per non perdere l'equilibrio. Sentiva le gambe di gelatina e aveva l'impressione che il mondo stesse girando vorticosamente attorno a lei. John...
In un attimo si riscosse e raggiunse il piccolo locale con gli ascensori alla fine della passerella. Gli studenti, alcuni sconvolti, altri impegnati a inviare agli amici SMS con il resoconto dell'accaduto o impegnati a scattare foto allo squarcio nella finestra, si scostarono lasciandole raggiungere gli ascensori.
La guida, invece, si avvicinò e le afferrò dolcemente il polso, guardandola con un un sorriso colmo di gratitutine. «Aspetti! Lei è un'eroina. Quell'uomo poteva ucciderci...»
Ma Sarah non l'ascoltò neppure. Era arrivata alla saturazione. Le voci intorno a lei erano soltanto un'indistinta cacofonia di suoni senza significato.
Improvvisamente, tra la folla si fece largo una figura, sorretta dalla stessa studentessa che aveva aiutato la dottoressa a rialzarsi. Era la ragazza col maglione rosso. Sul fianco, la ferita era stata tamponata con alcune sciarpe, legate attorno alla vita.
Quell'immagine, le fece istintivamente abbassare lo sguardo sulla propria spalla, dove anche lei era stata ferita da un proiettile dell'assassino. Quando si guardò la ferita, però, capì anche il motivo per cui l'uomo aveva sparato a quella ragazza. Entrambe indossavano lo stesso maglione, ma le somiglianze finivano qui. La ragazza che aveva di fronte era più bassa di lei, afroamericana, con lunghi riccioli neri e gli occhiali da vista. Evidentemente, l'assassino non doveva nemmeno essersi preoccupato di assicurarsi chi fosse il suo bersaglio prima di fare fuoco. Quel pensiero la disgustò, riempiendola di furore.
Un attimo dopo, sentì una stretta all'altezza della vita. Confusa, abbassò lo sguardo, e vide che era la ragazza che la stava abbracciando. Goffamente, rispose all'abbraccio, sentendo le lacrime inumidirle gli occhi. Subito dopo, scoppiò a piangere.
La ragazza le disse una sola parola: «Grazie.»

Non appena l'ascensore si fermò e le porte si aprirono, Sarah si lasciò trasportare dalla folla di studenti giù per la scalinata della balconata, fino al piano terra del terminal.
Con la coda dell'occhio, vide che tutti i passanti diretti alle banchine sotterranee le passavano accanto segna degnarla di un'occhiata, e capì che nessuno doveva essersi conto della colluttazione che era avvenuta nel camminamento sopraelevato. Si voltò verso le vetrate, individuando la stretta passerella a metà dell'altezza delle tre finestre. Il buco non si vedeva nemmeno.
Poi, qualcosa catturò la sua attenzione.
Il fiume di persone che affollava l'atrio principale si aprì improvvisamente in due, lasciando passare nel mezzo alcuni agenti di polizia, chiamati dalla guida poco prima, in ascensore.
Uno dei poliziotti, un ragazzo giovane con i capelli rossi che non doveva avere più di venticinque anni, si avvicinò a lei con aria compatita. «È lei la signora King, vero?»
Lei scosse debolmente il capo, la sua mente lontana migliaia di chilometri da lì.
«Dovrebbe venire con noi, così potremmo farle alcune domande in merito all'aggressione» le disse, facendole cenno col capo di seguirlo. Lei si girò verso il gruppo di studenti e li ringraziò per averla aiutata, prima di accodarsi all'agente.
«L'assassino mi ha aggredita al laboratorio dell'Istituto di malattie tropicali, dopo aver ucciso la segretaria e...» si interruppe, pensando a cosa dire, come se la sorte dell'amico potessero dipendere dalla scelta delle sue parole. «Potrebbe essersi scontrato con il mio collega. Sa dov'è John Hoyle? Avete ricevuto una sua telefonata?»
«Per la verità,» l'agente la guardò negli occhi. «la stiamo portando da lui.»
Sarah si sentì sprofondare. Anche se lui non aveva risposto alla sua domanda a voce, lo aveva fatto per lui il suo sguardo.

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