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Dario 17:35, Domenica.

Al lago ho solo appoggiato la mia fronte alla sua, non ho voluto baciarlo lì, perché se lo avessi fatto sarebbe stato come ammettere che lo avessi perdonato per tutto. Così gli ho chiesto se aveva fame e assieme siamo andati a pranzare in uno dei locali che frequentavamo di solito.

Abbiamo parlato e ci siamo piano piano ritrovati.

All'inizio è stato strano, essere di nuovo noi spaventava entrambi e capirci al volo come era solito prima, non ci sembrava potesse essere ancora vero.

Eppure è come se tutto quello che ci eravamo fatti, non fosse mai successo.

Mi ha chiesto scusa per avermi lasciato andare e poi ha chiesto scusa per il comportamento che ha tirato fuori negli ultimi giorni. Prima che tutto andasse a puttane.

Ho ascoltato ogni parola senza dire niente, ma per tutto quello che mi ha detto, io lo avevo già perdonato nell'istante esatto quando ho deciso di andare a sedermi su quella panchina ogni giorno.

Le nostre dita sono rimaste intrecciate sopra il tavolo per quasi tutto il tempo e tra uno sguardo e l'altro tra di noi continuava ad alleggiare quel bacio non dato.

Abbiamo camminato lungo la riva e ci siamo schizzati con l'acqua tra una corsa e una rincorsa, abbracciandoci e saltandoci addosso come due perfetti innamorati.

E forse è perché è proprio quello che siamo.

"Ho voglia di un tuo bacio!" mi dice Matteo con le gocce d'acqua che gli cadono dai capelli.

"Io ho voglia di te invece" gli dico. "Come possiamo fare?".


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