Capitolo 102

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Mi ritrovai in un campo totalmente deserto: in cielo splendeva una tetra luna rosso sangue, di fronte a me, in lontananza, vidi due uomini con apparenti sembianze umane. Mi avvicinai lentamente e, ad ogni passo, il terreno sotto i miei piedi scricchiolava, come se stessi calpestando delle ossa. La terra era arida e secca, non vi era un filo d'erba: nemmeno un albero sorgeva in quel vasto luogo desolato. Quando fui abbastanza vicino, sentii i due uomini parlare. Uno era steso a terra, aveva il torso coperto di lembi di tessuto stracciati e qualche macchia di sangue sul viso: indossava un paio di pantaloni neri, i piedi erano nudi. L'altro, in ginocchio di fronte a lui, aveva la mano puntata verso la gola dell'uomo: grossi artigli spuntavano dalle sue dita. L'uomo indossava un mantello nero che ricopriva tutto il suo corpo. I loro volti erano oscurati, ad eccezione della bocca. L'uomo in ginocchio sorrise, poi parlò:

«Tu non mi servi più.»

L'uomo digrignò i denti, un bagliore rosso scarlatto fuoriuscì dal cappuccio, poi, con un movimento secco, squarciò la gola dell'uomo privandolo della vita. Ebbi la tentazione di correre verso l'uomo incappucciato e fermarlo, ma ero come bloccato da qualcosa di invisibile. Poi, l'uomo si girò verso di me e sorrise. D'un tratto fui come trasportato in un altro luogo, tutto intorno a me divenne nero, non vi era un solo filo di luce. Mi guardai attorno, ma ero solo in mezzo al nulla. Provai a muovermi e scoprii di poterlo fare, così decisi di fare qualche passo. Poi, una voce, alle mie spalle, mi chiamò.

«Raccon, Raccon.»

Mi girai, ma non vi era nessuno. Continuai a camminare in quel luogo desolato, ma, dopo pochi secondi, la voce tornò a chiamarmi. Mi girai in ogni direzione possibile, ma non riuscii a trovare nessuno. Ero consapevole di star sognando, ma per qualche motivo non riuscivo a svegliarmi. Poi, nel buio, ci fu come un lampo che illuminò la stanza di una pura luce bianca. Una figura nera, in lontananza, si muoveva verso di me. In un tempo quasi nullo, mi fu davanti. Non riuscivo a capire cosa fosse, né che aspetto avesse. Era completamente ricoperta di nero e aveva il corpo tondeggiante, assomigliava ad una grande palla di gomma.

«Raccon, cosa c'è? Non mi riconosci?» domandò la strana figura.

Non riuscivo a capire chi fosse, ma la voce era la mia. In quel momento pensai di impazzire, ma le opzioni erano due: o la mia mente mi stava giocando qualche brutto scherzo o avevo accettato una bevanda da dei tizi poco raccomandabili in un vicolo molto buio di Soldor.

«Non hai preso nessuna bevanda» rispose la voce.

«Mi leggi anche nella mente adesso?» domandai.

«Io non leggo nella mente.»

«E come fai a...» mi fermai perché la figura anticipò le mie parole.

«A sapere quello che stai pensando? Semplice, io, sono te.»

«Non è...»

«Possibile?»

«Smettila» urlammo contemporaneamente.

Trassi un respiro profondo e rimasi in silenzio per un po'.

«Stiamo per affrontare una guerra, tu lo sai ed io lo so. Sappiamo tutti e due che non sarai in grado di uccidere. Siamo persone giuste, dai sani principi. L'idea di uccidere qualcuno non ci sfiora lontanamente, ma, mio caro me stesso, dovremo farlo. Sempre che tu non voglia portarci alla morte.» La figura parlava con una voce calma e pacata, era sempre la mia voce, ma sentirla usare dalla quella cosa, che diceva di essere me, dava un senso di stranezza.

«Io ucciderei solo per...»

«Proteggere Lena e J. Lo so. Lo so. Quanto sei noioso» disse la figura.

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