Capitolo 77

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Il viaggio fu abbastanza tranquillo, non ebbi modo di conversare con nessuno dato che i miei compagni decisero di addormentarsi non appena fuori dal paese. Fortunatamente avevo il computer di bordo a farmi compagnia, non aveva chissà quale intelligenza artificiale, ma era in grado di sostenere una conversazione. Man mano che mi avvicinavo a Soldor, il paesaggio cambiava: le colline crescevano fino a diventare montagne e le piccole chiazze di alberi diventavano fitti boschi. Quando entrai in città, rimasi totalmente a bocca aperta. Sin da piccolo ero stato abituato alle piccole case di paese, al poco traffico e alla tranquillità di Oaktown, a Soldor era tutto il contrario: c'erano grattacieli ovunque, bar, ristoranti, negozi di abbigliamento, macchine che andavano e venivano da ogni direzione, ma soprattutto, c'erano le persone. C'era vita in quel posto, gente che si muoveva a piedi, con gli autobus. Alcune fuoriuscivano dai sottopassaggi dopo aver preso la metropolitana. "Meraviglioso!" 

Era tutto così diverso, ma bello, mi sentivo emozionato: stavo per vivere una nuova esperienza. Una volta entrato in città decisi che era ora di svegliare i miei compagni di viaggio: Lena si svegliò non appena le toccai il braccio, John ebbe bisogno di qualche minuto in più, ma alla fine si svegliò anche lui. Alla vista della città ebbero la mia stessa reazione, muovevano la testa in ogni direzione, si affacciavano dal finestrino della macchina e guardavano esterrefatti qualsiasi cosa gli si parasse davanti. In tutta quella novità, anche la cosa più comune sembrava diversa. L'obiettivo era raggiungere l'appartamento precedentemente affittato. Jayden aveva già impostato la direzione: il traffico era l'unica difficoltà. 

Jayden aveva già impostato la direzione: il traffico era l'unica difficoltà. Ero lì da cinque minuti ed ero già stufo di tutte quelle macchine, avrei tanto voluto saltare fuori dall'auto e correre per tutta la città. Trovare l'appartamento non fu difficile, Lena aveva ragione, il nostro era l'unico ad essere stato affittato. Tutti gli altri avevano ancora il cartello "Vendesi" o "Affittasi" attaccato al cancello in ferro. Parcheggiai l'auto davanti casa e scendemmo tutti dalla macchina, scaricammo i bagagli e aprimmo la porta. L'ingresso della casa sembrava essere abbastanza grande, alla sinistra della porta d'ingresso c'era un appendiabiti in legno mentre alla destra vi era un mobile, di media altezza, che possedeva numerosi cassetti: provai ad aprirli ma erano tutti vuoti. Sopra il mobile, attaccato alla parete bianca, c'era un quadro raffigurante un paesaggio di montagna, c'era la firma del pittore "Godet Marlon". "Sarà sicuramente francese" pensai. Qualche metro dopo l'ingresso si aprivano due corridoi, quello di sinistra portava alla sala da pranzo, provvista di un tavolo, un orologio rotondo appeso alla parete e una tv di ultima generazione poggiata su un piccolo ripiano attaccato al muro. Infine, posizionato in modo da avere un'ottima visuale su tutta la stanza, c'era uno spaziosissimo divano blu. Infondo alla sala da pranzo vi era una porta a scorrimento, in vetro opaco, che portava alla cucina.

Facendo attenzione a non mandarla in frantumi, la aprii: la cucina era già tutta arredata. Era una cucina componibile, non potevo dire che fosse all'ultimo grido, ma il modo in cui era composta, e il colore, me la fecero apprezzare più del dovuto. La parte bassa era composta da tre mobili rossi: uno conteneva un lavello con accanto lo scolapasta, mentre sotto vi era la lavastoviglie. Alla sinistra del lavello c'era il piano da lavoro in granito, un piano cottura a induzione e una cassettiera. L'ultimo mobile a colonna, attaccato alla destra del lavello, era composto da vari ripiani sui quali erano poggiati qualche brocca, tazze e alcuni bicchieri. La parte superiore della cucina era composta da due credenze fornite di sportello, all'interno di esse c'erano dei piatti che sembravano essere nuovi. Non era molto grande, ma aveva tutto il necessario. La stanza era fornita di due finestre ed una porta che conduceva a un piccolo giardino. Una volta vista la cucina raggiunsi Lena e J che visitavano l'altra parte della casa.

«Cosa ne pensi?» chiese Lena venendomi incontro.

«La sala da pranzo e la cucina non sono male, tu e J cosa avete visto?» risposi guardandomi intorno.

«Infondo al corridoio ci sono due camere da letto e due bagni. Una camera ha il letto a due piazze, mentre l'altra ha un letto singolo. J ha già buttato lì tutta la sua roba.»

«Ehi, a te va bene che stia qui per un po'?» chiesi poggiandole delicatamente le mani sulle braccia.

Lena fece di sì con la testa e poi la poggiò sul mio petto. La strinsi a me e le diedi un bacio sulla fronte.

La guardai negli occhi e sorrisi «Andiamo a sistemare i bagagli. Ti va?»

«Sì.»

 La camera da letto non sembrava essere molto grande, ma possedeva un bel po' di spazio tra il letto e la porta. Il letto a due piazze era posizionato al centro della stanza e possedeva due comodini con i relativi lumi. Le pareti erano prive di poster, quadri o di qualsiasi oggetto decorativo, non c'era nemmeno la televisione. In compenso avevamo un grosso armadio capace di contenere una mucca intera. Al centro della stanza, appeso al soffitto, vi era un lampadario molto vintage; provai ad accenderlo e con mia sorpresa scoprii che, oltre a funzionare perfettamente, emanava una luce molto calda e intensa. Io e Lena sistemammo i bagagli e poi ci sdraiammo sul letto per testarne la morbidezza.

«Beh, non è il letto di casa mia, ma è abbastanza comodo!» esclamai.

«Concordo, però non sono soddisfatta del resto della stanza. Queste pareti vuote hanno un'aria molto triste, servono delle decorazioni» disse Lena guardandosi intorno.

«Sperò che la camera di J sia un po' più moderna. Una stanza vuota di certo non lo aiuterà a superare la distanza da Lisa.»

«Lo spero anche io» concluse Lena guardandomi.

Cronache Di Un Lupo - L'inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora