40. XXXII Chapter

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Qualcuno mi stava cercando.

Una marea di domande incominciarono a susseguirsi nella mia mente, ero preoccupato e non sapevo cosa fare.

«Harry..» mi prese il mento con la sua dolce mano, cercò di rapire il mio sguardo e di portarlo ai suoi incantevoli occhi.
«Ehi guardami» mi impose a bassa voce. Lo guardai.
«Andrà tutto bene, ci sono io qui con te. Nessuno ti farà mai del male, te lo prometto»
Le lacrime incominciarono a scendermi nel volto, aveva ragione, finché c'era lui andava tutto bene, ero ancora vivo, stavo ancora bene.
I ricordi di tempo fa riaffiorarono, quello che quasi mi investì, quel ragazzo con il cappuccio tutto nero, quella sparatoria nel ristorante. Era tutto collegato, tutto collegato a me. Ma perché? Perché mi stanno cercando? È per via di Louis? C'è qualcun altro che lo ama più di me e che sarebbe pronto ad uccidere per lui?

«Ti prometto che scoprirò chi è e tutto questo finirà» accennò un sorriso rassicurante.
«Parlami Harry, devi dirmi a cosa stai pensando».

«Non andartene, non farlo, ti prego» la mia voce era quasi incomprensibile, ancora traboccava dalle lacrime che continuavano a scendermi.

«starò qui con te per sempre»

Un minuto di silenzio mi rassicurò e le lacrime smisero di scendere. La fame mi era passata ma volevo ancora passare la giornata con lui.

«Sai, mia mamma vuole organizzare un festa per il mio diploma, vuole invitare tutti gli amici di papà, prenotare un hotel per tutti noi e dormire li conclusa la festa» disse non tanto eccitato.

«È una bellissima idea Louis. Dille che se avrà bisogno di aiuto io ci sono, non vedo l'ora di mettermi all'opera» dissi entusiasta.

«Sarà contentissima anche se speravo in qualcosa di più intimo» ammise.

Era piacevole vedere come Louis cercava di cambiare argomento e di passare sopra a ciò che invece era più importante. Non ci feci molto caso in quanto ero ancora troppo preoccupato e darlo a vedere sarebbe stato ancora più "tragico".

Ritornammo a casa dopo aver mangiucchiato qualcosa, ancora non mi ero ripreso e la fame tardava a venire. Ci sdraiammo nel divano come facemmo settimane prima a casa di uno dei due, accendemmo la tv ma servì a poco perché ci trovammo accoccolati l'un l'altro e la televisione non la badammo di striscio.
Scherzammo.
Ridemmo.
Giocammo.
Andava tutto per il meglio e speravo sarebbe stato così per il resto dei giorni ma sapevo che qualcosa sarebbe accaduto, era più una presunzione che una certezza ma ne ero sicuro, fermamente convinto.
Ci lasciammo trasportare dai giochi e ci addormentammo sul tardi, nella tarda notte.

«Harry svegliati, dobbiamo andare a scuola» per me erano ormai gli ultimi giorni di scuola, Louis invece aveva gli esami, doveva studiare, prepararsi per le prove finali e doveva continuare ad andare a scuola per tenersi in pari.

«Louis vai, io ho una marea di cose da fare oggi, ne approfitterò per portare qui la mia roba e per avvisare i miei del mio trasferimento» dissi ancora assonnato.

«Va bene, se hai problemi non esitare a chiamarmi, mi raccomando» si rassicurò dandomi un bacio nella fronte e dicendomi le ultime parole quasi a bassa voce.

«E fai un po' di spesa, il frigo è vuoto» urlò scendendo dalle scale. «Ti amo»

Mi affrettai ad alzarmi cercando un buon modo per dirlo ai miei, sarebbe stato difficile dirglielo. Mi vestii casual con un paio di jeans blu scuro e una camicia azzurra-celeste, infilai le scarpe e mi diressi al supermercato più lontano che conoscessi, non volevo vedere nessuno di conoscente, ero ancora troppo terrorizzato per la scoperta di ieri.

Parcheggiai lontano dalle altre macchine, era da tanto che non guidavo e la paura di finire addosso ad un'auto era tanta.
Entrai dalle ampie porte automatiche, presi il carrello e incominciai a scorrere il lungo corridoio. Mi feci una specie di lista della spesa a mente, per capire, più o meno, cosa serviva.
Ogni tanto avevo l'impressione che qualcuno mi fissasse e mi giravo, a destra e a manca per confortarmi sul fatto che non c'era nessuno di così "pericoloso".

Il carrello era ormai pieno e mi decisi di andare alla cassa con il portafoglio già in mano. Volevo andarmene.
Salii in macchina in fretta e furia e mi diressi sulla AA13 a tutta velocità, volevo ritornare a casa immediatamente. Sapevo esattamente che era tutta questione di cervello, ero impazzito, letteralmente impazzito. Dovevo darmi una calmata perché non sarebbe successo niente, o almeno, non adesso.

Arrivai a casa tutto sudato nonostante fuori non ci fosse così caldo. Sistemai le buste della spesa, mettendo le robe negli appositi scaffali e poi mi diressi da mia madre, agitato in quel momento per ciò che dovevo dirgli.
Mi ricordai, solo una volta arrivato, che era a lavoro, fino alle quattro e mezza e che dovevo quindi limitarmi a prendere le mie robe. Mi fermai in tabacchino, a prendermi un ricettario, avevo proprio bisogno di sbizzarrirmi con il cibo, avrei preparato un piatto con i fiocchi.

Ritornai a casa, sistemai le mie cose prima in bagno e poi in camera da letto. Andai in cucina e cercai qualcosa di abbastanza facile in modo tale da non correre rischi.
"Pasta alla carbonara" sarebbe potuta andare bene, era facile da quello che avevo capito.
Era mezzogiorno e quarantacinque quando sentii il telefono squillare, risposi pensando fosse mia madre e che mi avesse chiamato per chiedermi dove fosse finita la mia roba.

«Pronto?» risposi tranquillo, quasi impaziente di sentire mia madre.

Non rispose nessuno, di sottofondo c'era un leggero rumore.
«Pronto?» insistetti per la seconda volta. Nessuno rispose e, intenzionato a mettere giu, pensai fossero gli idioti dei miei compagni di scuola che volevano farmi uno scherzo.

«Harry» seguito da quella parola chiuse la conversazione e la mia mano, forse troppo sudata, fece scivolare tra se il cellulare, caduto ormai nel lucido pavimento.

"Era uno scherzo" continuai a ripetermi, uno stupido scherzo, ma in fin dei conti sapevo che si trattava di tutt'altro.

Finii di preparare la pasta giusta in tempo all'arrivo di Louis, dovevo dirgli della chiamata altrimenti sarei scoppiato.

«Ehi amore, sono arrivato, tutto bene stamattina?» chiese affamato.

Feci cenno di si, lo invitai a sedersi e gli servì il piatto di pasta.

«Grazie tesoro» sorrise.

«Oggi qualcuno mi ha chiamato»

«Chi?» chiese senza staccare lo sguardo dal piatto.

«Inizialmente non rispose, poi, prima di riattaccare pronunciò il mio nome»

Louis appoggiò la forchetta sul piatto ancora pieno e mi guardò quasi fulminandomi con gli occhi.

«Com'era la sua voce?» chiese con tono interrogatorio.

Incominciai a pensare al suono della sua voce, così imponente e scura. Non era di una persona normale, era più una macchina, uno di quegli aggeggi che usano anche per televisione durante le interviste, per non identificare la voce di colui che risponde alle domande. Si certo, aveva di sicuro usato quel macchinario.

«Era una voce finta, molto fredda» la mia frase lo fece scattare in piedi.

«È lui, sa dove sei».

Obsession || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora