14. VI Chapter

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Fu lunga quella notte.
Piena di pensieri. Di paure. Di sbagli.
Paure che non rispecchiano il tuo modo di essere. Sbagli che non avresti mai pensato di fare.
La mia stessa camera metteva tristezza, era contornata da un blu che al buio sembrava nero.
Dovevo dormire, ma come? Non ci riuscivo.
E così arrivò mattina inconsapevole di aver passato tutta la notte sveglio.
Mi alzai e mi feci il mio letto ancora frastornato da tutti quei pensieri volati ormai via.
Ci misi più del previsto a prepararmi e le urla di mia madre non facevano che peggiorare il mio stato d'animo.
«Due minuti e sono pronto». Urlai dal piano di sopra.
Erano le sette e mezza quando arrivai davanti al portone della scuola e tutta quella gente mi metteva ansia, mi infastidiva.
Fino a che non arrivò Louis Tomlinson.
Lo vidi a due metri da me e non mi degnò di uno sguardo, di un saluto o anche solo di una pacca sulla spalla come aveva fatto in bar, giorni prima.
Mi sentii morire perché quella era stata la prova di quanto avessi rovinato tutto in pochi minuti, lo sapevo, non avrei dovuto guardarlo così intensamente il giorno prima. Ora sarà confuso. Entrai e senza una meta precisa incominciai a camminare lungo il corridoio che, da quanto ricordavo, portava all'aula 108.
Le professoresse incominciavano ad entrare nelle classi in cui dovevano fare lezione e, vedendomi ancora fuori dall'aula, mi lanciarono occhiatacce che mi costrinsero a muovermi per evitare di avere problemi.
La mattinata incominciò con un ora di storia e mentre il professore si affrettava a raccontare la storia della Gran Bretagna io pensavo alla mia, assorta da un vasto numero di problemi a cui non sapevo dare soluzione.
Neanche feci caso alla presenza di John che ogni tanto mi guardava come se sapesse che qualcosa non andava.

Qualcosa non andava, era chiaro, il problema è che non sapevo cosa. Per cosa stavo male? A cosa era dovuta cotanta tristezza?

«Lo so che non ne vuoi parlare, non ci conosciamo nemmeno quindi non posso aspettarmi di certo che tu ti confida con me. Se hai bisogno io ci sono amico». Disse con aria amichevole e gentile John.
Accennai un sorriso ma non dissi nulla, dovevo prima capire cosa avevo che non andava e cosa mi stava succedendo.
Le lunghe e intense ore di scuola finirono ed io arrivai a casa prima che incominciasse a piovere, a quanto pare nemmeno il tempo era in vena di scherzare.
Mi rinchiusi tra me e me e alla domanda "Cosa hai fatto oggi a scuola?" risposi con "niente di che".
Mi chiusi in camera per simulare che stessi studiando quando invece la verità era tutt'altra.
Una serie di lampi e fulmini si intravedevano nelle mie tende color cielo, era stata sicuramente la peggior giornata da quando ero venuto ad abitare li.
All'una di notte decisi che dovevo parlare con Louis, dovevo chiarire la situazione. Perchè non mi parla più?

Non era facile quella mattina svegliarsi con un bell'umore.
La doccia calda mi sciolse i muscoli tesi e, deciso ad andare a parlare con Louis, mi affrettai a arrivai a scuola prima del previsto.

Erano le sette e quarantacinque e non era ancora arrivato. Dovevo entrare per prendere posto alle lezione ma volevo aspettare.
Non arrivò.
Non arrivò neanche il giorno dopo.
Passarono i giorni e non lo si vedeva.
Decisi quindi di andare a casa sua.

Obsession || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora