116. XCVVVII Chapter

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Il dolore sale e le lacrime continuano a scendere incessantemente, sento il calore delle guance ribollire su tutto il corpo, le gambe tremano e tutti i muscoli volontari sembrano danneggiati da questa sofferenza che mi copre da capo a piedi.
Il mondo non sembra più esistere, i rumori delle macchine in autostrada, i passi dei dottori che rimbombano da ogni reparto e il suono costante dei singhiozzi sembrano ora essere svaniti nel nulla.
Non sento più niente, riesco a percepire solo i sensi di colpa che ora echeggiano nella mia mente. Potevo passare più tempo con lui, potevo comportarmi meglio, potevo essere il figlio che lui ha sempre desiderato. E invece no, ho preferito fare di testa mia, ho preferito comportarmi da egoista ed evitare tutte le persone che veramente mi amavano, sono stato il figlio di cui nessun padre sarebbe orgoglioso e mi pento di questo, papà.

Sono in piedi, mia madre mi abbraccia forte e mi rassicura che andrà tutto bene. Dovrei essere io quello forte, dovrei consolarla io, dovrei proteggerla. Ma non ho la forza di fare niente, il dolore è atroce e mi chiedo se riuscirò mai a rialzarmi dopo la perdita di un genitore.


Sono le otto del mattino quando scendiamo devastati dal reparto e ci dirigiamo in macchina.
«Devi riposarti» dico con tono autoritario, non voglio che veda quanto io stia male, devo farcela, per lei. «Vieni a casa, non voglio che te ne stai sola»
Pronuncia un "si" con la testa ed io imbocco l'autostrada.

«Puoi dormire qui» le indico la camera da letto, io andrò sul divano.
«Va bene» accenna con un sorriso «grazie» sussurra.
Scendo le scale dopo essermi assicurato che si sia infilata sotto le coperte. Prendo la bottiglia di Bourbon e la porto alla bocca sorseggiando grandi quantità di alcol. Nell'arco di neanche mezzora la testa incomincia a girare ma mi sento più libero, come se gran parte dell'angoscia e tristezza fosse svanita.
Decido di raggiungere la casa di mia madre e andarle a prendere il minimo indispensabile per dormire qui qualche giorno.
Arrivo davanti al vialetto frenando un po' troppo bruscamente, prendo le chiavi dalla borsa di mia madre che si era dimenticata in macchina ed entro in casa.
L'aria sembra quasi pesante, come se li dentro non fossi ben accetto. Faccio finta di niente e vado, traballante, in camera da letto. Le coperte sono ancora da sistemare e si può intravedere la sagoma dei corpi della notte prima. Ho quasi uno svenimento, ho bevuto troppo, ma devo essere forte.
Apro l'armadio e prendo la valigia che mia madre usò per trasferirsi qui, butto dentro un po' di biancheria intima, non so bene quale usa con più frequenza ma penso vada bene lo stesso. Infilo dentro qualche maglietta e paia di pantaloni, c'è freddo fuori, metto dentro anche una giacca.
Vado in bagno e tiro fuori shampoo, balsamo, doccia schiuma e spazzolino, è lo stretto necessario, se ha bisogno di qualcos'altro verrò a prenderlo. Mentre esco dal bagno quasi cado andando addosso al cesto della biancheria sporca, non sono nella situazione ideale per guidare, forse è meglio che mi sieda un attimo.
Raggiungo la cucina e mi siedo sul divano. I ricordi di me e Louis accoccolati mentre guardiamo i film riaffiora nella mia testa ora scombussolata. Mi alzo, non voglio pensare a lui.
Noto la vetrina con le bottiglie di whisky che mio padre adorava comprare anche solo per il piacere di vederle. Ne prendo una e decido che da adesso in poi sarà mia.

Prendo coraggio e, insieme alla valigia e alla bottiglia di whisky, salgo in macchina. Ci metto un po' ad accenderla in quanto lo spazio per inserire la chiave è troppo piccolo e limitato per la mia vista attuale. Premo il pedale dell'acceleratore troppo in fretta e mi ritrovo fermo in mezzo alla strada.
Prendo un respiro.
Ce la posso fare.
Sistemo la bottiglia nel sedile posteriore e le metto la cintura, non voglio che si faccia male, è la mia nuova bambina ora. Rido all'idea di avere una figlia-bottiglia ma mi accorgo che sto incominciando a delirare e mi tranquillizzo subito.
In dieci minuti arrivo a casa sano e salvo, non c'è tanta gente a quest'ora così mi sono permesso di guidare anche nell'altra corsia.
L'importante è che ora sia qui.
Slaccio la cintura alla mia piccola e prendo il bagaglio, scendo dall'auto e apro la porta.
«Jake» la valigia mi cade a terra, è qui, perché è qui?
«Harry, finalmente!» urla contento «avrei bussato ma la porta era già aperta»
«Cosa ci fai qui?» balbetto.
«Ho saputo di tuo padre, ho visto l'ambulanza stanotte e la tua faccia non rassicura nulla di buono» dice abbassando lo sguardo «mi dispiace ecco»
«beh grazie» è la prima vera persona che vedo da quando me ne sono andato da Londra.
Si alza in piedi e io faccio un passo indietro «Abbiamo molto di cui parlare »

Obsession || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora