47. XXXVIII Chapter

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Mi gira la testa, le gambe tremano interrottamente, ho lo stomaco sotto sopra e la poca fame che avevo è svanita.
Quelle parole mi hanno spezzato. Mi hanno diviso in due il mio cuore, mi hanno paralizzato l'anima. Non è vero, non può essere vero.

«No mamma, è fuori che mi aspetta» non poteva lasciarmi così.
Mi guarda accigliata, «No amore, se n'è andato, è andato via».
«No, mi aveva promesso che sarebbe stato qui con me. È in sala d'attesa. Vai a guardare» sono sicuro, aveva capito male, forse era solo andato fino a casa ma poi sarebbe ritornato da me.
Mi guarda preoccupata, non sa cosa fare, alla fine si alza e va verso la porta, si scorge per controllare e mi fa segno di no. Affondo la testa nel cuscino e quei momenti insieme incominciano a riemergere.

Ci stiamo guardando. Continua a ripetermi quanto sia bello, quanto lo renda felice in ogni istante, quanto non voglia perdermi. Mi accarezza la guancia fradicia di lacrime, mi rassicura, mi dice che mi ama e che non mi lascerà mai. Mi dice quanto io sia importante e indispensabile per lui. Mi tranquillizzo, so che è vero. Le nostre bocche si avvicinano e si abbracciano l'un l'altra. Sento le farfalle nello stomaco, non voglio smettere di baciarlo, non voglio e non posso. Mi ripeto quanto io sia fortunato ad averlo incontrato, ad aver conosciuto una persona così umile e altruista. Amo lui con tutto il cuore, lo amo perché mi ha fatto vedere una nuova prospettiva, mi ha insegnato cosa vuol dire vivere per davvero.
Stacco le mie labbra dalle sue e apro gli occhi. Il mio sguardo lo cerca, non c'è più, è scomparso.
Lo chiamo, gli urlo addosso.
Gli dico che deve ritornare.
Gli dico che non se ne deve andare.
Non c'è.
Non c'è più.

Mi sveglio di sopralzo, mi guardo intorno e i fili sono ancora attaccati al mio polso. Cerco di dimenarmi per assimilare il dolore che mi provocano.
Ci sono solo io in quella camera, guardo l'orologio digitale sopra al comodino, sono le tre e ventisette di notte. Cerco di chiudere gli occhi ma da li non escono che lacrime, non riesco ancora a concretizzare il fatto che se ne sia andato.
Forse è uno scherzo.
Forse è li fuori che mi aspetta e che mi guarda da lontano.

Apro gli occhi, mia madre e mio padre sono qui davanti, mi stanno guardando, le loro lacrime scorrono nelle loro guance ormai bagnate. I miei occhi incontrano i loro, il loro sguardo cambia drasticamente, prima era cupo, triste, ora è più acceso, più vivo.
«Harry» mio padre si avvicina e allunga la mano verso la mia, me la stringe per rassicurarmi. È la prima volta che mi tocca la mano, penso non lo abbia mai fatto in vita mia, forse quando ero piccolo ma non ne sono tanto sicuro.
Lo guardo con occhi interrogatori, ha ancora le lacrime che gli rigano il viso. Cerca di parlare, di spiegarmi cos'è successo perché io ancora non lo capisco.
«Dopo che ti sei svegliato sei rimasto in coma per altre due settimane» da quando mi hai detto che Louis se n'è andato vorresti dire.
«Pensavamo non ti saresti più svegliato».
Lo speravo, avrei preferito morire così, senza alcun dolore.

«Chiamo il dottore, voglio portarti a casa, questo posto non mi piace» dice mio padre guardando mia madre.
Si alza e va verso la porta, come posso non biasimarlo, questo ambiente è così odioso.

Pochi minuti dopo il dottore mi sta prelevando del sangue, dice che deve controllare che tutto vada bene. Dice che porterà subito la provetta in laboratorio e che i risultati li avremo tra poco. Mi chiede come sto e cosa mi sento, se ho qualche strano sintomo.
Rispondo che va tutto bene, che sto bene ma nel profondo so che non è così, non sto bene, voglio solo morire.
Mia madre cerca di rallegrare il clima dicendo qualcosa di buffo sulla nonna, è da tanto che non la vedo, vorrei tanto incontrarla.

«Mi ha chiamato Jenna» annuncia distraendomi dai miei pensieri. «Ha saputo dell'accaduto e vorrebbe venirti a trovare appena stai meglio» le cose non potrebbero andare peggio di così, non voglio nessuno, voglio rimanere solo, dovete andarvene tutti.
Non rispondo, mi limito ad accennare un sorriso finto, ormai sono un esperto in questo.

Sono le tre e ventiquattro quando salgo in macchina, mai avrei immaginato di andarmene così in fretta dopo mesi di coma.
«Che giorno è?» ormai avevo completamente perso la cognizione del tempo.
«Ventidue settembre, è venerdì» mi ero perso tutta l'estate, sono rimasto in ospedale per tutto questo tempo ed ora a casa non avrei trovato nessuno. Il ricordo di John passa nella mia ancora confusa mente.
«Devo andare a scuola» dico con voce alta. La scuola sarà già incominciata, non posso permettermi di perdere l'anno.
«Ci andrai appena ti sentirai bene» risponde con prepotenza mia madre.
«Io sto bene» sussurro tra me e me.

Entrare nella mia vecchia camera un po' mi rattrista, è strano tornare qui dentro, tutti quei ricordi, sembra mi saltino addosso come cavallette. Mi distendo sul letto e guardo il soffitto, una serie di immagini si ripropongono nella mia testa. È così irritante.
Ancora non capisco perché se ne sia andato, sapeva che mi avrebbe fatto soffrire, sapeva che ci sarei rimasto male. Non so nemmeno più dove sbattere la testa, lo vedo ovunque, è come se mi seguisse. Tutto questo mi distrugge, non riesco a sopportarlo.
Ricordo il nostro primo bacio, ero andato a casa sua perché mi ero preoccupato del suo comportamento ed è stato li che mi rivelò tutto quello che provava per me, aveva smesso di venire a scuola per non pensare a me, aveva smesso di uscire per non cercarmi a destra e manca, aveva deciso di dimenticarmi così in fretta come c'eravamo conosciuti. Le sue labbra erano fresche e piene d'amore, non ci conoscevamo per niente eppure sembrava potessimo essere già fatti l'un per l'altro.
Il ricordo mi addolora e cerco di scacciarlo via.
Alzo lo sguardo e noto un volto familiare, è Louis. È tornato. Non ci credo, lo sapevo, sapevo che era tutto uno scherzo, un stupidissimo scherzo.
Insomma, era impossibile che mi avesse lasciato così, senza una spiegazione logica, senza un addio.
Continuo a guardarlo mentre mi metto a sedere, mi fa cenno di alzarmi e di seguirlo, svolta a destra, sembra voglia andare in bagno. Mi alzo incuriosito e lo seguo, il corridoio è buio, senza luci. Fatico a vedere dove metto i piedi ma noto la porta chiusa del bagno, le fessure fanno fuoriuscire della luce.
La apro con cautela, magari è una sorpresa, devo stare al gioco.
Il tappeto è in ordine, il lavandino pulito, la finestra chiusa. Non c'è nessuno.
Mi giro e ritorno in corridoio, deve essere qua, sta giocando con me.
Apro la camera dei miei genitori, non c'è niente, nessun mobile, nessun letto, nessuna finestra, sono solo quattro pareti, completamente bianche.
La porta dietro di me si chiude all'improvviso, sono terrorizzato, non so che fare, incomincio ad urlare, voglio uscire.

Rivoglio Louis.
Riportatemelo qua.
Vi scongiuro.

Obsession || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora