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Il tempo cura le ferite, o almeno così mi è sempre stato detto, ma ci sono ferite che neanche il tempo riesce a guarire; non bastano giorni, non bastano mesi, non bastano anni, ed a volte, non basta neanche una vita intera affinché le ferite divengano cicatrici delle quali ne possiedi il ricordo ma che, anche a causa di quel ricordo, non ti fanno più male. Ci sono ferite che rimangono aperte, che continuano ogni giorno a sanguinare, che lo fanno per tutta la tua intera esistenza e che solo quando chiuderai gli occhi, si chiuderanno anche loro.

C'è chi dice che il nostro destino sta già scritto da qualche parte, c'è chi dice che il destino ce lo andiamo a creare da noi e c'è anche chi quel destino lo idealizza talmente tanto da perdere perfino l'idea primordiale del destino stesso.

Il destino è un concetto astratto per alcuni ed un concetto concreto per altri, c'è chi basa la propria esistenza su di esso tentando di decifrarlo e talvolta, anche di anticiparlo,'e poi c'è chi ad esso non crede, c'è chi sostiene che esso non sia nient'altro se non un qualcosa di inesistente alla quale ci sia aggrappa per poter giustificare ciò che accade, ciò che accaduto e ciò che accadrà.

Se devo essere sincera, io non so cosa credo, non so se credo che il destino sia scritto, non so se credo che il destino ce lo scriviamo da soli o se, addirittura, al destino io credo, tuttavia non è quello che credo e che penso io che interessa al voi e che sia importante ai fini di questa storia, se siete qui non è per conoscere quelle che sono le mie idee e le mie credenze. Ma credo che comunque il termine "destino" così come l'idea che si ha di esso, siano importanti per dare un finale degno di merito a tutta questa storia.

Erano le 6:30 del mattino circa, la città di Seattle era stata salutata dalla luna circa un'ora prima lasciando che il sole prendesse il suo posto; era tiepido, entrava con i suoi raggi dalle piccole fessure della finestra di una delle ultime stanze nel reparto di Cardiologia.
Non c'era freddo, ma neanche troppo caldo, e la tipica aria frizzante mattutina stava iniziando a dar fastidio a quelle quattro ragazze sdraiate ed ancora dormienti sui due lettini.

Il braccio destro di Dinah circondava, con fare quasi protettivo, l'addome di Ariana, mentre una sua gamba era incastrata tra quelle della bruna leggermente piegate in avanti. Si muoveva spesso durante la notte, ed involontariamente, durante le primissime ore dal calar della luna, aveva abbracciato l'altra ragazza che si era lasciata accogliere dal calore del suo corpo, non avendolo nemmeno riconosciuto.

Lauren, stava ancora in dormiveglia e seppur tenesse gli occhi chiusi, avvertiva una sorta di fastidio all'altezza della spalla, non sentiva più la sensibilità del braccio sinistro e sul petto vi un peso che non la faceva respirare per bene.
Se in un primo momento aveva ignorato tali piccoli disagi, adesso l'impossibilità di muoversi iniziava a darle fastidio perché doveva andare in bagno ed il suo corpo era del tutto intorpidito.

-" Che ore sono ? "- mugulò non sapendo nemmeno a chi si riferisse, aprendo leggermente gli occhi, mettendo a fuoco la stanza.
Essa non era ancora del tutto illuminata, i raggi del sole arrivavano come spiragli ad entrare dalla finestra ma al contrario, l'aria fresca, circolava liberamente.

La corvina fece per sporsi verso la poltrona in mezzo ai due letti dove era certa di aver lasciato il suo iphone la sera prima, ma venne letteralmente bloccata dal corpo della sua ragazza che la cingeva dal busto. Era la più piccola che non le permetteva di muoversi.

Giorgia si era addormentata praticamente addosso a lei, con la testa poggiata, appunto, tra la sua spalla ed il suo petto, e le gambe attorcigliate ai suoi fianchi, come se fosse una scimmia aggrappata ad un albero, ed era evidente stesse sentendo freddo poiché sulla pelle delle sue braccia, Lauren, poté notare i brividi.
Inoltre, la forza con cui la stringeva, suggeriva alla maggiore la sua ricerca di contatto con il fine di avere calore.

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