*In questa storia ci saranno delle frasi, o espressioni, in romano e chiedo scusa in anticipo per possibili errori; di romano so ben poco e la maggior parte di quello che leggerete avrà internet come fonte, nel caso di errori vi chiedo di farmelo presente e li correggerò subito!
Il traffico di Roma poco dopo le otto del mattino avrebbe fatto impazzire chiunque, erano tante le imprecazioni che si sentivano provenire dalle diverse vetture e chiunque le ascoltasse non poteva fare a meno di essere d'accordo. Benjamin, invece, era uno di quelli che faceva a meno di lamentarsi e arricciava il naso quando volavano imprecazioni fin troppo pesanti per un contesto del genere, a lui quasi piaceva ritrovarsi bloccato nel traffico. Quei momenti, per quanto spesso fossero troppo lunghi, erano per lui un buon motivo per ammirare ciò che lo circondava, coglierne tutti i particolari e archiviarli in una parte della sua memoria, credeva che tutti i dettagli un giorno gli sarebbero tornati utili; il ragazzo, un ventiduenne dell'alta società romana ed amava farne parte, durante quei momenti si fermava a pensare alle cose più disparate, che fossero importanti o meno. Il giovane dai capelli mori spesso si fermava a pensare a quanto fosse fortunato ad avere una vita come la sua: aveva viaggiato in quasi tutto il mondo, visitato luoghi che per una buona parte della popolazione mondiale potevano essere soltanto dei sogni, aveva auto lussuose, una casa che avrebbe potuto ospitare almeno altre tre famiglie grande com'era, poteva avere tutto ciò che desiderava e senza fare troppi sforzi. Il padre di Benjamin era un'importante imprenditore romano, aveva lavorato duramente per ottenere ciò che aveva, con pochi soldi che i suoi genitori - morti prematuramente - gli avevano lasciato in eredità aveva tirato su dal nulla un'azienda che, negli anni, lo aveva fatto diventare milionario e aveva assicurato a suo figlio, il suo unico figlio, il futuro migliore che potesse desiderare.
Benjamin era fortunato, lo sapeva bene, era certo di avere tutto ciò che desiderava ma ancora non sapeva che cosa sarebbe successo. Non sapeva che presto si sarebbe reso conto di non avere nulla.Aveva appena smesso di piovere, il cielo era buio e le nuvole continuavano a troneggiare sulla rumorosa città, sulle strade romane trafficate e piene di vitalità. Benjamin, un ragazzo apparentemente come tutti gli altri, aveva appena attraversato quelle stesse strade per poter tornare alla sua dimora e mettere fine a quella giornata che aveva definito una delle giornate più brutte della sua vita.
-"Allora ce se pija!" Esclamò a gran voce un suo amico - o meglio conoscente - per salutare Benjamin, dopo aver scambiato qualche parola con lui prima che questo entrasse nel cancello di casa sua.
-"Sì, ci si vede in giro." Borbottò in risposta Benjamin e salutò il ragazzo, con i capelli lunghi e un piercing sul sopracciglio, con un gesto della mano.
"Che giornataccia." Pensò il ragazzo, sospirò rumorosamente e salì sulla sua moto per entrare in casa e poter finalmente lasciare alle spalle quella giornata che sembrava fosse interminabile.-"Sono a casa!" Gridò il ragazzo dai capelli scuri e tanti tatuaggi e chiuse, con un rumoroso tonfo, la porta bianca alle sue spalle. "Sono distrutto." Sospirò il ragazzo e gettò sul pavimento il suo zaino della Gucci in nero che sua madre gli aveva regalato la settimana precedente.
Il giovane avanzò verso la cucina ma prima che potesse entrare venne raggiunto dalla governante, una donna di mezz'età paffutella e dai capelli rossi scuri perennemente legati in uno chignon alto.
-"Finalmente è arrivato." Disse la donna e gli sorrise cordialmente. Nonostante lo avesse visto crescere, e fosse stata a lei a prendersi cura di lui nei primi anni della sua vita dato che sua madre era troppo occupata per farlo, tra i due non si era mai instaurato un rapporto che andasse oltre quello lavorativo, nessuno dei due aveva mai osato mancare di rispetto all'altro o usare un linguaggio informale.
-"Sì, sono arrivato." Annuì il ragazzo e si passò una mano tra i capelli scompigliati dal vento. "È successo qualcosa, Teresa?" Domandò.
-"Suo padre la sta aspettando da diverse ore." Spiegò la donna e unì le mani sul suo grembo. "È nella sua camera, vuole parlarle."
-"La mia?" Replicò il moro e inarcò un sopracciglio. Suo padre, in genere, rispettava la sua privacy e non entrava mai nella sua stanza se non in sua presenza senza, però, trattenersi più di un paio di minuti.
-"Sì, mi è sembrato un po' agitato."
-"Vado subito."Benjamin aveva salito le scale della villa, con un corrimano color oro e i gradini in marmo, il più velocemente possibile per raggiungere il suo genitore.
"Cazzo, spero non abbia trovato l'erba." Pensò il giovane ventiduenne mentre rischiò di inciampare nei suoi stessi lacci sciolti, per poi velocizzare la sua camminata per raggiungere la sua stanza al terzo piano.
-"Ehi p- papà!" Lo salutò, un po' con il fiato spezzato per la corsa, e spalancò la porta della sua stanza. "Teresa mi ha detto che vuoi parlarmi." Disse, cercando di sembrare calmo, e avanzò nella sua ampia stanza con il soppalco dalle pareti tinte di azzurro e con delle nuvole bianche disegnate nei quattro angoli.
Il padre, seduto sul suo letto matrimoniale, si voltò verso di lui e Benjamin poté notare i suoi occhi scuri iniettati di sangue.
-"Che succede?" Domandò il giovane e andò a sedersi accanto a lui.
-"Francesca." Disse soltanto l'uomo, sapendo che il figlio avrebbe compreso subito e così fu.
Il moro sospirò e poggiò una mano sulla schiena del genitore, coperta da una camicia bianca e un panciotto nero.
-"Che cos'ha fatto la mamma?" Chiese Benjamin e serrò i pugni.
-"Mi ha chiamato." Rispose l'uomo con la voce roca. "O meglio, ti ha chiamato ma ho risposto io."
-"Che cosa voleva?"
Il genitore del ragazzo rise sarcastico e strinse tra i pugni il lenzuolo blu scuro che copriva il letto del figlio.
-"Invitarti al suo matrimonio."
Il ventiduenne sgranò gli occhi e lasciò cadere la sua mano sul letto.
-"C- che cosa?" Balbettò il ragazzo. "Io non sapevo n- neppure fosse fidanzata."
-"È quello che le ho detto anch'io e lei mi ha risposto che, ormai, sono solo affari suoi." Rispose il padre, visibilmente provato.
Erano passati anni da quando Alessio e Francesca, i genitori di Benjamin, avevano divorziato dopo l'ennesima scappatella della donna che, però, insisteva nel dire che quel ragazzo appena ventenne fosse l'amore della sua vita e non aveva esitato nel lasciare suo figlio per vivere con lui a Milano; la relazione di Francesca, però, era durata appena un paio di mesi dopodiché la donna era tornata a Roma a rivendicare qualche diritto sul figlio che non aveva più, Alessio era disposto a perdonare la donna e ricostruire la loro famiglia ma questa aveva preferito un assegno di mantenimento, una villa a Trastevere e qualche sporadico incontro con il figlio. "Noi facciamo parte del suo passato."
-"Allora dovrebbe smetterla di rompere il cazzo." Ringhiò il moro e si alzò dal letto. "Smetterla di scucirti diecimila euro al mese di mantenimento e iniziare a farsi una vita senza rovinare le nostre."
-"Benjamin, per favore, non parlare così di lei." Sospirò Alessio. "È pur sempre tua madre."
-"No, papà, ti sbagli." Scosse la testa Benjamin. "È la donna che mi ha messo al mondo ma di madre non ha niente. Ha preferito un ragazzino a me e a lui ne sono seguiti tanti altri, per lei non sono mai stato importante." Disse con tono duro. "E, adesso, io non ho intenzione di dare importanza a lei." Continuò. "E non dovresti farlo nemmeno tu, non lo merita."
-"Io però continuo ad amarla..." Sussurrò l'uomo e abbassò il capo.
Il ventiduenne sospirò e si inginocchiò di fronte al genitore.
-"Lei non ti merita. Lei non ci merita." Disse il ragazzo. "Noi stiamo benissimo anche senza di lei. Guardaci, guarda le nostre vite, che cosa ci manca?" Continuò. "Te lo dico io, niente, non ci manca niente e soprattutto non ci manca lei." Aggiunse. "Io ho te e tu hai me, stiamo bene così, non ci serve altro."
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Lettere dal passato. || Fenji.
Fanfiction«2050, sono passati trent'anni da quando Federico ha spedito una lettera che ha cambiato per sempre la sua vita. Trent'anni da quando due opposti hanno trovato il modo di essere simili. Che cosa sarà successo in così tanti anni? Quella lettera sarà...