14. Vattene.

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-"Perché la gente dovrebbe complimentarsi con me?"
-"Perché sei una persona bellissima."
-"Tu neppure mi conosci."
-"È vero, non ti conosco." Annuì Benjamin. "Ma mi basta guardarti negli occhi per capire che persona sei." Continuò. "Per capire che la tua bellezza estetica non è nulla rispetto al mondo che hai dentro." Aggiunse. "E, te lo giuro, farò di tutto per conoscerlo."
Sul volto del più piccolo nacque un piccolo ma sincero sorriso che, a sua volta, fece sorridere anche il più grande.
-"Lo pensi davvero?" Gli domandò Federico e inclinò la testa contro la mano del ragazzo e strusciò la guancia contro il palmo di questo.
Il moro si morse il labbro inferiore e annuì.
-"Assolutamente sì." Disse il moro e allontanò le mani dal volto del ragazzo, facendogli storcere il naso. "Ovviamente solo se tu vorrai darmi la possibilità di farlo." Aggiunse.
-"Anch'io voglio conoscerti meglio." Rispose il più piccolo. "Mi interessi, Benjamin." Aggiunse, sorprendendo anche se stesso per essere stato così tanto diretto.
A differenza del più piccolo, però, Benjamin non rimase sorpresa da quelle parole o almeno non lo diede a vedere perché si limitò a sorridere e ad avvicinarsi al minore più di quanto non avesse già fatto.
-"Anche tu mi interessi, Federico." Replicò Benjamin e stampò un bacio sulla guancia del minore. "E, anche se potrebbe essere prematuro dirlo, sono felice di averti incontrato."

Era passata una settimana da quando Benjamin e Federico, quel giorno, finirono per passare circa tre ore seduti in quel bar, mentre svariati clienti entravano e uscivano, a parlare di loro e raccontare sella propria vita senza trascurare neppure il minimo dettaglio. Entrambi si raccontarono, si aprirono, come se si conoscessero da una vita e tra di loro non ci fosse nessun segreto, nessuna barriera che gli impedisse di essere ciò che realmente erano senza maschere.
Tra le pareti di quel bar per ore riecheggiò il rumore delle loro risate che si attutiva soltanto quando uno dei due raccontava qualche episodio particolare della propria vita, ad entrambi sembrava di aver vissuto insieme quelle esperienze che stavano raccontando. Ad entrambi sembrava di conoscersi da sempre, quasi come se fossero destinati ad incontrarsi.
In quel lasso di tempo passato dall'incontro i due ragazzi non avevano fatto altro che scambiarsi messaggi, si telefonano ogni sera e quasi ogni giorno si incontravano al bar per passare almeno qualche minuto insieme prima dell'inizio delle lezioni o prima di tornare a casa; il più grande si era offerto, quasi ogni giorno, di accompagnare il minore a casa ma questo aveva sempre declinato il suo invito dicendogli di preferire tornare a piedi a casa e rimandando ad un giorno da definire.
I due giovani erano felici come mai nelle loro vite, ad entrambi stava succedendo qualcosa di indefinito ma che li rendeva felici, che donava ai due quel pizzico di follia che ad entrambi serviva per potersi sentire davvero vivi. Nessuno dei due sapeva a che cosa avrebbe portato, non sapevano quanto sarebbe durato e non sapevano neppure se fosse la cosa più giusta da fare o se fosse soltanto uno sbaglio ma, a nessuno dei due, importava scoprirlo tanto presto a loro bastava poter portare avanti quella dolce follia.

Quel giorno, come succedeva da una settimana a quella parte, il moro ritornò a casa dopo aver passato circa mezz'ora con Federico dopo la fine delle lezioni e prima che iniziasse la seguente lezione del biondo, il ventiduenne si era offerto di aspettarlo e tornare insieme a casa ma il più piccolo aveva insistito affinché tornasse a casa per pranzo.
-"Papà sono tornato!" Esclamò, a gran voce, il maggiore e si tolse la giacca nera. "Papà?" Ripeté il ragazzo, non ricevendo alcuna risposta, e si diresse verso il salotto. "Papà ci sei?"
-"No, tuo padre non c'è."
Quella voce, a tratti conosciuta e a tratti tanto estranea, fece rabbrividire il moro che si bloccò tra il lungo corridoio, costantemente poco illuminato, e il salotto. Benjamin, nonostante la sua posizione, riuscì a vedere nitidamente la figura magra e slanciata di una donna dai lunghi capelli biondi platino con una fastidiosa ricrescita nera; gli occhi azzurri della donna erano fissi sul moro, le labbra sottili tinte di un'intensa tonalità rossa era distese in un sorriso appena accennato e poco sincero, mentre le braccia coperte da una giacca di velluto nero era incrociate al petto appena sotto una vistosa collana di diamante.
-"Che cosa ci fai qui?" Ringhiò Benjamin e avanzò verso la donna.
La donna arricciò il naso e spostò le braccia sui fianchi coperti da un vestito rosso fin troppo aderente secondo il maggiore.
-"Amore, non essere maleducato." Rispose la donna e mosse la testa per spostare una vetta dei lunghi capelli ricadutele davanti agli occhi azzurri. "Non si saluta più la mamma?" Continuò e inclinò la testa da un lato.
Il moro digrignò i denti e rivolse alla donna che lo aveva messo al mondo uno sguardo a dir poco disgustato.
-"Hai smesso di essere mia madre nell'esatto momento in cui sei uscita da questa casa per farti un'altra vita." Disse il moro. "Sei la donna che mi ha messo al mondo, è vero, ma non sei altro. Non hai un ruolo nella mia vita."
-"Io avrò sempre un ruolo nella tua vita, tesoro mio." Replicò la donna e scosse la testa. "Sono la tua mamma."
-"E dimmi, Francesca." Iniziò a parlare il moro, scadendo il nome della nome con una certa rabbia e serrò i pugni. "Eri la mia mamma anche quando, da bambino, mi lasciavi solo per correre dietro i tuoi nuovi amore?" Le domandò arrabbiato. "Eri la mia mamma quando sei andata via per non tornare se non quando ti servivano dei soldi?" Continuò. "Anche in quelle occasioni eri la mia mamma?"
Francesca sospirò teatralmente e scrollò le spalle.
-"Ho commesso degli errori, lo fanno tutti." Rispose Francesca. "Ma tu dovresti perdonarmi."
-"Io ti perdonerei se tu fossi pentita, se tu ti rendessi conto dei tuoi errori." Replicò il più grande. "Ma so che non è così, tu credi che il tuo unico errore sia stato sposare papà e avere me. Mi sbaglio?"
-"Lo sapevo che tuo padre ti avrebbe plagiato con le sue stupide idee." Borbottò la donna.
-"Papà non ha fatto nulla se non crescermi e amarmi, a differenza tua."
-"Benjamin non è c-"
-"Non voglio sentirti, non voglio sentire quello che hai da dirmi. Non mi interessa." Disse Benjamin, interrompendo la donna. "Potevi essere una buona madre, esserci per me ma hai preferito farti un'altra vita senza di me. Non ti giudico perché hai lasciato papà, può succede, ma perché hai lasciato me. Hai lasciato tuo figlio soltanto per sentirti giovane e adesso sono io a non voler avere a che fare con te." Continuò, con tono duro. "Torna da quell'uomo che stai per sposare, senza che io sapessi nulla, e lascia in pace me e papà, come hai detto tu stessa, noi apparteniamo alla tua vecchia vita, quella che non ti stava bene."
-"Benjamin." Sospirò Francesca e si avvicinò al figlio.
-"Vattene." Disse il moro e indicò il corridoio alle sue spalle.
-"Per favore, ascoltami."
-"Vattene." Ripeté il più grande. "O chiamerò la polizia. Sparisci."

Lettere dal passato. || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora