5. Ci stai provando con me?

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La luna piena di quella notte di metà ottobre illuminava l'ampio giardino, del palazzo brancaccio scelto per la festa di quella sera, illuminato da diverse candele e luci colorate che si riflettevano nella fontana posta al centro di questo. Le poche scale erano state coperte con un lungo tappeto rosso e la ringhiera decorata con fiori di vario tipo.
La strada era gremita di auto lussuose, che sembravano brillare nel buio di quella notte, i vari parcheggiatori del locale si stavano dando da fare per stare dietro agli arrivi di quella serata, per sistemare le auto mentre i proprietari gridavano loro di stare attenti alle loro auto che - incredibilmente - erano tutte nuove o almeno era quanto dicevano loro.
Federico osservava con gli occhi sgranati il luogo che lo circondava, tutte quelle persone vestite con abiti che, molto probabilmente, costavano più di quanto un italiano medio guadagnasse in diversi mesi di lavoro, osservava quel posto che sembrava gridare lusso da tutti i pori e non poteva fare a meno di esserne disgustato.
-"Come può piacere qualcosa del genere alle persone?" Domandò Federico al genitore, che lo aveva appena raggiunto dopo aver salutato delle persone.
-"Perché li fa sentire potenti." Rispose Andrea senza neppure pensarci troppo. "E sono sicuro che, in fondo, sia lo stesso per te." Aggiunse e porse al figlio uno dei due bicchieri di champagne che aveva preso poco prima.
Il biondo rifiutò il bicchiere di champagne con un gesto della mano e fece un'espressione disgustata.
-"Perché una macchina o un completo di alta sartoria dovrebbe farmi sentire potente?" Replicò il ragazzo. "Sono solo degli oggetti che, con il tempo, perderanno di bellezza e anche valore."
Federico non capiva che cosa spingesse quelle persone, e suo padre, a comportarsi come se fossero i padroni del mondo, a volersi riempire di oggetti lussuosi che forse non gli sarebbero mai serviti. Credeva fosse un inutile spreco. Al biondo, invece, piaceva l'esatto opposto, a lui bastava la sua camera, la più piccolo di casa per sua scelta, avere qualche libro da leggere e un sogno da realizzare per essere felice.
Andrea buttò giù in un sol sorso uno dei due bicchieri di champagne e scosse la testa divertito.
-"Non sono gli oggetti in sé, Federico, a dare il potere." Rispose l'uomo. "È il sapere di poterli avere. Sapere di poter avere tutto." Aggiunse. "Nessuno di noi, comprese te anche se vuoi negarlo, qui ha dei limiti ed è questo a renderci potenti. Capisci?" Continuò e bevve anche il secondo bicchiere di champagne. "Certo che lo capisci, alla fine tu sei come me, come tutti."
-"Ti sbagli."
-"Sei sangue del mio sangue, Federico, ti conosco meglio di quanto pensi." Disse Andrea. "E ora entriamo, tra poco inizierà la cena."

L'interno del palazzo brancaccio, per quanto spazioso e arioso fosse, stava soffocando il ragazzo dai capelli mori e con qualche tatuaggi di troppo che osservava tutti con espressione disgustata. L'intera stanza, da dove i camerieri entravano e uscivano a gran velocità portando nuove ed elaborate pietanze e portando via i piatti vuoti, era coperta da una cortina di fumo che si innalzava verso il tetto coperto da degli affreschi e che rendeva quasi impossibile vedere oltre la propria punta del proprio naso, le chiacchiere e le risate a gran voce riecheggiavano tra le quattro mura bianco sporco del posto.
Benjamin era a dir poco deluso da quella serata, era sicuro che si sarebbe ritrovato davanti ad un gruppo di persone che volevano parlare di lavoro, una serata tranquilla, ma in quel posto nessuno sembrava interessato agli affari ma soltanto a cose frivole o commentare la serata.
-"Che schifo." Disse Benjamin, seduto da solo al tavolo, e incrociò le braccia al petto.
-"Non posso darti una torto."
La voce alle spalle del ventiduenne lo fece sobbalzare, convinto di essere solo in quella parte della sala non si era fatto problemi a parlare ad alta voce. Un po' imbarazzato si voltò e tirò un sospiro di sollievo quando notò che a parlare fosse stato soltanto un ragazzo, come lui, e non uno dei tanti imprenditori; subito dopo però, Benjamin, assottigliò gli occhi per osservare meglio il volto del ragazzo per quanto il fumo glielo permettesse.
-"Va tutto bene?" Domandò il ragazzo dai capelli biondi, sistemati all'indietro, e aggrottò la fronte.
-"È la mia impressione o ci siamo già visti?" Chiese Benjamin e inclinò la testa da un lato.
Il biondo davanti a lui assunse un'espressione confusa e inarcò un sopracciglio.
-"Ci stai provando con me?"
-"Cosa? No, non ci sto provando con te." Scosse la testa il ventiduenne. "Solo... solo mi sembra di averti già visto."
Il ragazzo, vestito di nero, arricciò le labbra, si sedette sulla sedia accanto a lui e si avvicinò - forse un po' troppo - al volto del moro per osservarlo meglio.
-"Ma che stai facendo?" Domandò, un po' in imbarazzo, Benjamin e indietreggiò.
-"Sto cercando di capire se ci siamo già visti." Rispose, con estrema tranquillità, il biondo. "E no, non credo di averti già visto." Aggiunse e si appoggiò contro lo schienale in velluto rosso della sedia.
-"Come fai ad esserne tanto sicuro?"
-"Perché non dimenticherei tanto facilmente degli occhi come i tuoi." Disse il biondo e scrollò le spalle.
Benjamin arrossì leggermente e scosse la testa, per evitare che l'altro lo notasse.
-"Eppure a me sembra di averti già visto." Rispose Benjamin, sicuro di ciò che stava dicendo. "Solo non ricordo dove e nemmeno quando."
-"Non esco molto, se non per andare all'università, quindi credo tu ti stia sbagliando."
-"L'università!" Esclamò Benjamin a gran voce, facendo sobbalzare lo sconosciuto e una signora che aveva raggiunto il tavolo per bere. "Ecco dove ti ho visto, all'università!" Aggiunse.
-"Ma ne sei sicuro?"
-"Un paio di giorni fa, nel cortile della sapienza, mi sei venuto addosso." Spiegò Benjamin. "Eri tu, giusto?"
Il diciannove sbatté più volte le palpebre, per via degli occhi che gli bruciavano per il tanto fumo presente nella sala, e cercò di ricordare che cosa fosse successo due giorni prima.
-"Ti ricordi?" Chiese il moro.
-"Sì, mi sembra di ricordare qualcosa del genere." Annuì il biondo. "Ti ho urtato una seconda volta quando ti sei abbassato a prendere le tue cose, giusto?"
Benjamin sorrise e annuì.
-"Esatto." Disse. "Quasi non ti riconoscevo non drog-" Benjamin si interruppe, pensando sarebbe stato poco carino dare tanto apertamente del drogato ad un ragazzo che neppure conosceva. "...così." Concluse lui, abbassando il tono di voce.
-"Mi stavi per dare del drogato o mi sbaglio?" Chiese il diciannovenne e incrociò le braccia al petto. "Pensi io sia un drogato?"
-"I- io no, cioè..." Tentò di rispondere il moro. "È solo che avevi u- uno sguardo un po' strano, assente."
-"Avevo sonno." Rispose Federico, divertito da quella situazione. "Non mi drogo, nel caso ti interessasse saperlo."
-"Mi dispiace." Sussurrò il ventiduenne e abbassò la testa imbarazzato. "Io non volevo offenderti."
-"Non mi sono offeso." Disse il biondo. "Quel giorno ero davvero un po' assente, distratto, quindi ti capisco."
-"Quel giorno sembra sia stato una brutta giornata per tutti." Sospirò il moro e si passò una mano tra i capelli. "Mi dispiace essere stato un po' duro."
-"Tranquillo." Replicò Federico. "Di sicuro è stato migliore quel giorno che questa festa." Sospirò il biondo e si guardò intorno annoiato.
Il ventiduenne ghignò furbo e avvicinò la sua sedia a quella del ragazzo.
-"Dato che entrambi ci stiamo annoiando, e dire che questa festa fa schifo è riduttivo, se ce ne andassimo?"
-"Se ce ne andassimo?" Ripeté il biondo. "Tutti e due?"
-"Sì, insieme."

Lettere dal passato. || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora