74. Che noia.

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Nella mente del più grande si affollavano pensieri di ogni genere, contrastanti l'uno con l'altro, che da diversi giorni ormai gli impedivano anche di dormire o, semplicemente, di rilassarsi.
Erano passati cinque giorni da quando Federico lo aveva bloccato da qualsiasi social impedendogli, così, di mettersi in contatto con lui nonostante gli avesse appena rivelato di amarlo.
"Lui non mi ama." Continuava a ripetersi il ragazzo quando una piccola parte di lui, quella che non voleva saperne di arrendersi, continuava a sperare che da un momento all'altro il più piccolo sarebbe tornato da lui.
Quei giorni per il moro erano stati i peggiori della sua vita, si era appena reso conto che l'unica persona che avesse mai amato in vita sua era scappata via da lui. Federico se ne era andato e non si era voltato indietro a guardarlo neppure per un momento, non aveva avuto ripensamenti. Benjamin non gli era mai mancato.
Il maggiore, in quei giorni, non aveva fatto altro che trascinarsi da una parte all'altra della casa ignorando chiunque gli si avvicinasse, non aveva voglia di parlare con nessuno che non fosse Federico.
Marco aveva fatto di tutto - aveva persino organizzato uno spettacolo di marionette nel soggiorno del più grande - per far sorridere e distrarre il suo amico, almeno per qualche secondo, ma non era riuscito a farlo in nessun modo. Benjamin sembrava odiare il mondo intero e chiunque ne facesse parte ad eccezione del biondo.
Per quanto Benjamin si stesse impegnando, nonostante tutto, non riusciva ad odiare Federico.

Anche quel giorno il più grande, nonostante fosse quasi pomeriggio, se ne stava sdraiato in malo modo sul suo letto sfatto, circondato da cartacce di vario genere. La notte precedente, insonne come tutte le altre, Benjamin aveva pensato che scrivere una lettera per il più piccolo potesse aiutarlo a sentirsi meglio ma, ormai all'alba, aveva rinunciato dopo aver accartocciato diverse decine di fogli.
"Stupido. Stupido. Stupido.
Sei uno stupido." Si disse il più grande, per poi stropicciarsi gli occhi arrossati per le tante ore passate senza dormire. "Devi dimenticarlo."
Come succedeva ogni giorno la porta della stanza, fin troppo buia, del ragazzo si aprí ed entrò suo padre, che arricciò il naso per il cattivo odore che alleggiava nella stanza.
-"Qui dentro non si respira." Borbottò Alessio e, con pochi passi svelti, si avvicinò alla finestra per spalancarla e far entrare nella stanza dell'aria fresca.
-"Chiudi la finestra!" Esclamò il moro e si rintanò sotto le coperte colorate. "Fa freddo."
-"Allora esci da qui." Replicò il padre e tolse qualche cartaccia dal letto sfatto. "In salotto c'è il camino acceso, vai a riscaldarti."
-"Non uscirò da qui, è inutile che continui a provarci." Rispose Benjamin e abbassò le coperte quel tanto che gli bastava per scoprire la testa.
Alessio sospirò e si sedette accanto al figlio.
-"Non puoi continuare così." Disse Alessio. "Sono cinque giorni che te ne stai chiuso qui dentro, per quanto tempo ancora vuoi continuare così?" Gli chiese, stanco di vedere il figlio in quelle condizioni.
-"Fino a quando non dimenticherò che Federico esiste." Borbottò in risposta il più grande. "Non ho intenzione di uscire fino a quando ci sarà la possibilità di incontrarlo."
-"Come se non volessi incontrarlo." Rispose Alessio e alzò gli occhi al cielo. "Non puoi continuare così." Gli ripeté.
-"E chi me lo impedisce?" Replicò il moro.
Il padre, per tutta risposta, si alzò e tirò via le coperte.
-"Io." Rispose. "Te lo impedisco io." Aggiunse e gettò sul pavimento le coperte.
Benjamin mugolò in disapprovazione e rintanò la testa nel cuscino.
-"Alzati." Disse l'uomo e incrociò le braccia al petto. "Alzati e vai a lavarti." Aggiunse. "E dopo uscirai."
-"Assolutamente no!" Rispose, categorico, il più grande e scosse vigorosamente la testa. "Io non uscirò."
-"Invece verrai con me, che tu lo voglia o no." Replicò Alessio. "Preparati, altrimenti ti trascinerò fuori in pigiama." Aggiunse e si avvicinò alla porta. "Hai mezz'ora, sbrigati."

Benjamin borbottò parole poco carine quando, dopo essersi preparato con poca voglia, si ritrovò in giardino con il vento freddo di quella mattina e il cielo buio per i giorni di pioggia passati.
-"Non ti senti già meglio?" Gli chiese, sorridente, Alessio e gli diede un pacca sulla spalla.
-"Nemmeno un po'." Sbuffò il moro e incrociò le braccia al petto, nel vano tentativo di proteggersi dal freddo. "Dove dobbiamo andare?" Chiese.
-"Ho una riunione di lavoro."
Benjamin alzò gli occhi al cielo.
-"Io non vengo."
-"Ma se hai sempre insistito tanto per venire!" Controbatté Alessio.
-"E adesso non ne ho voglia." Replicò Benjamin per poi sospirare. "Facciamo così, vengo con te all'ufficio ma dopo me ne andrò a fare un giro nei dintorni, okay?"
Il padre sorrise, soddisfatto di essere riuscito a convincere il figlio ad uscire.
-"Perfetto."

Nonostante il maggiore volesse soltanto tornare a casa e chiudersi nuovamente nella sua stanza, il ragazzo, decise di rendere felice suo padre e, così come gli aveva promesso, lo accompagnò all'ufficio e dopo qualche saluto e chiacchiere poco importanti decise di fare una passeggiata nei dintorni.
"Che noia." Pensò Benjamin, mentre passeggiava in una via poco trafficata rintanato nella sua giacca nera, e sbadigliò. Le tante ore passate senza dormire iniziavano a farsi sentire e il ragazzo faticava a tenere gli occhi aperti ma, dopotutto, pensava che una passeggiata avrebbe potuto aiutarlo a distrarsi dal disastro che stava diventando la sua vita.
L'attenzione del maggiore venne attirata da un bar poco distante da lui, poco affollato ma, tutto sommato, accogliente.
"Almeno potrò riscaldarmi." Pensò il ragazzo, scrollò le spalle e si incamminò verso il bar.
Il ventitreenne, però, rimase come congelato non appena aprì la porta del locale. Davanti a lui, sorridente e spensierato, si trovava l'ultima e unica persona che volesse vedere in quel momento. Federico.
"Non può essere." Si disse il moro e scosse la testa, mentre più di un cliente iniziava a guardarlo male perché non accennava a chiudere la porta da cui entrava l'aria fredda. "Non può essere davvero lui."
Lo sguardo del maggiore si spostò sul ragazzo seduto allo stesso tavolo del minore. Un ragazzo che Benjamin mai aveva visto prima, alto e muscoloso, ma che Federico sembrava conoscere benissimo.
-"È così che vuoi stare da solo?!" Gridò il più grande e, finalmente, chiuse la porta in vetro per poi avvicinarsi al tavolo del minore.
Federico, non appena lo vide, sgranò gli occhi e lasciò cadere il biscotto che reggeva tra le mani.
-"B- Benjamin..." Sussurrò il minore.
-"Vedo che non ci hai messo molto tempo a sostituirmi." Ringhiò il moro e lanciò un'occhiataccia all'accompagnatore del minore, che li guardava confuso. "Io ti dico che ti amo e tu te ne vai in giro con un altro?!" Continuò alzando il tono di voce. "Sei peggio di quel che pensavo allora."
-"N- non è come s- sembra..." Balbettò, in difficoltà, il più piccolo. "L- lui è-"
-"Non mi importa." Scosse la testa il maggiore. "Non voglio sapere lui chi è. Non mi interessa." Disse, con voce carica di odio. "Non mi interessa più niente di te." Aggiunse. "Sono stato uno stupido a pensare che saresti ritornato da me. Perché avresti dovuto farlo quando avevi già di meglio?"
-"Benjamin n-"
-"Mi fai schifo." Sputò fuori Benjamin. "Mi fai schifo, Federico."

Lettere dal passato. || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora