98. Finimondo.

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L'ampio salone, spogliato di molti dei mobili che un tempo lo arredavano e con le solite pareti tinte di rosa antico, era illuminato da qualche debole raggio di sole mentre il cielo abbandonavano il suo colore buio e si tingeva di colori aranciati che andavano a coprire le poche stelle visibili. Dal giardino proveniva il cinguettare, a stento udibile, di qualche uccellino che si era poggiato su uno degli alberi presenti nello spazio verde e meno fiorito di quanto lo fosse anni prima. Quando quella casa era piena di vita.
Delle mani - sempre più piccole rispetto a quelle dei suoi amici - si muovevano lente sul tavolo in legno, catturando la poca polvere che c'era mentre i tatuaggi ormai meno carichi di colore si muovevano ogni volta che la mano veniva piegata.
-"È oggi?" Una voce, roca per aver appena tossito, distrusse il silenzio - diventato quasi una tortura - che si era creato nella stanza.
A quella voce seguì, subito dopo, un rumoroso sospiro e lo struscio di una sedia in legno sul pavimento.
-"È oggi." Rispose il tatuato. "Purtroppo è oggi, Marco."
Il riccio si passò una mano tra i capelli, come sempre disordinati - a Benjamin piaceva quella sua caratteristica, nel tempo era diventata per lui una costante, qualcosa che era sopravvissuta al finimondo che lo aveva travolto - e si avvicinò all'amico palesemente stanco per aver trascorso l'ennesima notte insonne.
-"Come stai?" Gli chiese e gli poggiò una mano sulla spalla, coperta da una camicia nera sbottonata.
Benjamin scrollò le spalle e si passò una mano sul volto, segnato da qualche ruga per il passar degli anni.
-"Sto." Rispose. "Come stavo trent'anni fa." Aggiunse e, velocemente, si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
Marco sospirò e appoggiò la schiena contro il bordo del tavolo in legno.
-"Non mi hai mai parlato di quel giorno." Disse Marco. "Nonostante fossi con te mi sembra di non saperne niente." Aggiunse.
-"Forse non sono niente neppure io di quel giorno." Replicò il moro, ormai brizzolato. "Ho solo ricordi poco nitidi, come se non avessi davvero vissuto quella situazione."
Il riccio annuì debolmente e si leccò le labbra.
-"Non mi hai mai detto come hai affrontato la morte d-"
-"Non dirlo!" Gridò Benjamin, interrompendo l'amico. "Non dirlo, Marco, non voglio sentirlo." Aggiunse e scosse la testa.
Marco sospirò ancora una volta.
-"Direi che già questa è una risposta alla mia domanda." Commentò.
-"Non ho affrontato niente, non ne ho avuto il coraggio." Disse Benjamin. "Ho lasciato che fosse il tempo a farlo per me."
-"E ha funzionato?"
-"No."

**

I residui della pioggia di quel giorno scendeva lenta bagnando le strade e i tetti di Roma, mentre qualche timido spiraglio di ciel sereno si faceva spazio tra i nuvoloni grigi. Nonostante l'inverno stesse giungendo al termine, ormai mancava meno di un mese essendo appena iniziato marzo, le piogge torrenziali non volevano saperne di terminare e lasciar spazio alle belle giornate primaverili anzi sembravano più cariche che mai.
Quel giorno, come quasi tutti i giorni del resto, il più piccolo ignorò le previsioni meteo e uscì di casa privo di ombrello per raggiungere la casa del suo fidanzato, decidendo di non usare i mezzi pubblici e fare una bella passeggiata nonostante il vento gli fosse avverso. Il giovane non fece altro che borbottare ogni volta che una folata di vento gli faceva arrivare qualcosa in pieno viso o veniva colpito da qualche goccia di pioggia solitaria e gelata.
Il ragazzo arrivò a casa del suo fidanzato un po' più tardi del previsto, circa alle tre e mezzo del pomeriggio, dato che si era fermato a comprare una crostata di frutta per la merenda.
-"Ben ci sei?!" Gridò Federico non appena entrò in casa, dopo aver salutato Teresa che stava uscendo per fare la spesa.
-"Vieni in cucina!" Rispose il moro, che evidentemente stava mangiando qualcosa.
Il minore sorrise e - letteralmente - saltellando raggiunse la stanza indicata dal fidanzato.
-"Ciao!" Squittì, allegro, il più piccolo ma, subito dopo, la sua attenzione venne attirata dal ragazzo seduto a tavola con il fidanzato. "Oh, Marco, ciao." Disse e sorrise imbarazzato. "Non sapevo ci fossi anche tu."
Il riccio lo salutò con una mano e deglutì il muffin al cioccolato che mangiando, per poi sorridergli.
-"Sono passato a chiedere a Benjamin gli appunti della lezione di oggi." Spiegò il riccio. "Ma vado via subito, non voglio disturbarvi."
Federico scosse la testa.
-"Nessun disturbo e lo sai bene." Rispose. "Anzi mi fa piacere vederti." Aggiunse e sorrise al riccio, per poi poggiare sul tavolo il contenitore color oro con la crostata.
-"Che cos'è?" Chiese il moro e inclinò la testa da un lato.
-"È una crostata alla frutta." Replicò il più piccolo e sorrise.
Gli occhi di Benjamin sembrarono luccicare a quella risposta e, con un gesto fulmineo, balzò giù dalla sedia e gettò le braccia al collo del fidanzato.
-"Sei il miglior fidanzato del mondo!" Esclamò il più grande e gli stampò un sonoro bacio sulla guancia. "Il migliore!" Ripeté. "E io sono fortunato ad averti."
Marco ridacchiò per la reazione dell'amico e gettò via il suo tovagliolo.
-"È una fortuna che tu sia così fortunato." Rispose il riccio. "Così posso godere anch'io di queste prelibatezze." Aggiunse e si leccò le labbra mentre osservava il contenitore.
Il più piccolo sorrise e circondò le spalle del compagno con un braccio.
-"Troppi complimenti, mi imbarazzate." Ridacchiò il ragazzo e poggiò la testa contro quella del fidanzato.
-"Io propongo di mangiarla subito." Disse il moro. "E di guardare un film." Aggiunse. "Che ne dite? Marco lo scegli tu?"
Marco annuì deciso e si alzò.
-"Vado subito!" Rispose e corse in salotto.
-"Come mai hai chiesto a lui di scegliere il film?" Gli chiese il più piccolo.
Benjamin si morse il labbro e si voltò verso di lui, per poi circondargli i fianchi con le braccia e attirarlo contro di lui.
-"Per restare da solo con te, mi sembra ovvio." Rispose e sorrise.
Il biondo ghignò e si avvicinò ancora di più al corpo del ragazzo.
-"E perché volevi restare da solo con me?" Gli chiese e lasciò che il maggiore lo spingesse verso il tavolo.
Il più grande gli scostò una ciocca di capelli dal volto e, subito dopo, gli prese il volto tra le mani.
-"Per fare questo." Sussurrò, per poi baciarlo.

Il cielo era ormai buio e la pioggia aveva smesso di essere un problema quando il più piccolo fece ritorno a casa sua, dopo aver passato il pomeriggio a casa del più grande - e con Marco - e aver cenato con lui. La situazione a casa del minore non era delle migliori, da quando suo padre gli aveva raccontato che cosa fosse successo anni prima il rapporto tra di loro era più teso che mai e neppure il suo chiarimento con sua madre era stato d'aiuto, anzi sembrava aver peggiorato tutto dato che suo padre si sentiva tradito dai due e non faceva nulla per mascherarlo.
Non appena il giovane mise piede in casa sentì delle grida, che in un primo momento lo spaventarono, furibonde provenire dalla sala da pranzo.
-"Tu sei soltanto un mostro!" Gridò Andrea con una certa veemenza. "Perché non te ne vai di nuovo?! È quello che ti riesce meglio!" Continuò a gridare e, le sue grida, vennero seguite da un colpo.
-"Ma che sta succedendo qui?!"

Lettere dal passato. || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora