L'essere umano, forse per abitudine o forse per egocentrismo, tende sempre a sottovalutare i problemi di altre persone, è portato a credere che i propri problemi siano sempre più gravi e che nessuno può capirlo. L'essere umano è portato a credere di essere il centro del mondo, di essere la persona più importante nonostante condivida il pianeta con miliardi di altre persone di cui ignora anche l'esistenza. Quando, però, l'essere umano finisce per fare finalmente i conti con la realtà? In genere, quando è troppo tardi.
Federico aveva sempre creduto di non far parte di quella - larga - cerchia di persona che si riteneva più importante degli altri. Federico credeva di essere diverso dagli altri, unico, speciale per certi versi ma, in fin dei conti, sapeva benissimo di essere proprio come gli altri. Federico, in fin dei conti, sapeva di sbagliare come chiunque altro, di avere pregi e difetti e di ignorare i problemi delle altre persone per occuparsi dei suoi, come se esistesse soltanto lui al mondo.
Il biondo, nonostante gli piacesse negarlo per sentirsi una persona migliore, non amava il rischio e preferiva le scelte più comode, quelle che gli avrebbero permesso di continuare a vivere la sua vita nel modo più tranquillo possibile. Per quanto sbagliate potessero essere quelle scelte a Federico andavano bene, o almeno tentava di farsele andare bene, e le difendeva ad ogni costo per non complicarsi la vita.
Anche la sera precedente, e quella mattina stessa, Federico aveva preso la decisione che gli sembravano più comode, meno drastiche per la sua vita nonostante così facendo stesse ferendo le persone a cui più teneva: Benjamin e sua madre.
Il più piccolo si odiava per aver ferito le due persone, per aver fatto piangere sua madre e aver allontanato da lui il suo fidanzato ma non vedeva altra scelta. Per lui non vuole era impensabile che suo padre potesse davvero aver picchiato sua madre per gelosia, per rabbia, e averla incolpata soltanto per non rovinare la sua immagine di uomo fedele e innamorato della sua famiglia.
"Lui non farebbe mai una cosa del genere, ne sono convinto." Federico aveva passato l'intera notte a ripetersi che suo padre non fosse quel genere di persone, non era un santo ma neppure un mostro. Andrea amava Vanessa, o almeno era quello che il più piccolo si ostinava a pensare pur di non accettare quanto stava succedendo in casa sua.
La conversazione - o meglio la discussione - con il più grande avuta quella mattina aveva destabilizzato Federico, a tal punto da fargli credere che la sua vita stesse lentamente e inesorabilmente cadendo a pezzi. Quella discussione servì per far capire al minore che le sue comode scelte gli si stavano rivoltando contro, quelle situazioni che aveva tanto voluto evitare lo stavano distruggendo e lui non poteva fare nulla per impedirlo. Poteva soltanto adeguarsi e agire di conseguenza.
"Devo farlo."La giornata di Benjamin, un ventitreenne come tanti altri, si stava svolgendo in modo abbastanza tranquillo - quasi monotono - ma bastarono pochi squilli del suo cellulare per distruggere tutta la sua tranquillità.
-"Scusa un momento." Disse e prese il suo cellulare. "È mio padre." Aggrottò la fronte, cliccò sul tasto verde e avvicinò il cellulare all'orecchio. "Papà, dimmi."
La prima cosa che Benjamin udì dall'altra parte del cellulare fu un rumoroso singhiozzo, che lo fece sobbalzare.
-"Papà?"
-"B- Benjamin..." Singhiozzò l'uomo.
-"Papà che succede? Perché stai piangendo?!" Chiese, allarmato, il moro e notò l'amico guardarlo confuso. "È successo qualcosa?!"
-"I- io non s- so come dirtelo..." Singhiozzò nuovamente Alessio.
-"È successo qualcosa a Federico?!"
La voce di Benjamin venne coperta da quella di suo padre.
-"N- non c'è p- più..."
Il cellulare cadde dalle mani del moro, infrangendosi rumorosamente sull'asfalto e lo schermo divenne nero, mettendo in evidenza le crepe che si erano formate su di esso.
-"Che succede? Che cosa ti ha detto tuo padre?!" Chiese, allarmato dal comportamento del più grande, il riccio e si avvicinò a lui. "Benjamin, parla, mi stai facendo preoccupare!" Esclamò, attirando l'attenzione di qualche studente che stava varcando l'ingresso della facoltà, quando notò il volto dell'amico diventare terribilmente pallido. "Vieni, siediti o finirai per cadere." Sospirò, strinse il braccio del moro e lo guidò verso un muretto grigio, per poi aiutarlo a sedersi.
Il petto del più grande si alzava e abbassava irregolarmente, il volto era pallido e le mani gli tremavano come mai gli era successo prima, la fronte era imperlata di sudore nonostante il suo corpo fosse coperto da brividi per il freddo di quella giornata.
-"Ti decidi a parlarmi?!" Chiese, esasperato, il riccio e si inginocchiò davanti al più grande. "Mi stai spaventando!"
-"F- Federico..." Singhiozzò il più grande e una lacrima sfuggì al controllo del ragazzo.
-"È successo qualcosa a Federico?" Chiese Marco e gli accarezzò il ginocchio, sperando che quel suo gesto potesse tranquillizzare l'amico. "Sta bene? Si è fatto male? Ha discusso con suo padre?"
Il moro scosse la testa e chiuse gli occhi, per regolarizzare il suo respiro.
-"Allora?" Continuò Marco. "Che cosa gli è successo?"
-"L- lui non c'è p- più..."

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Lettere dal passato. || Fenji.
Fanfiction«2050, sono passati trent'anni da quando Federico ha spedito una lettera che ha cambiato per sempre la sua vita. Trent'anni da quando due opposti hanno trovato il modo di essere simili. Che cosa sarà successo in così tanti anni? Quella lettera sarà...