Quell'anno la primavera sembrava non volerne sapere di arrivare, il cielo di quei giorni era costantemente coperto da grossi nuvoloni grigi che costringevano molte persone a restare rintanati in casa in vista di un possibile temporale che, però, raramente giungeva. In quel periodo a molti sembrava di star vivendo in una sorta di oblio, intrappolati ad attendere qualcosa che forse non sarebbe mai successo ma che, ugualmente, impediva loro di vivere tranquillamente.
Quel giorno, nonostante fosse fine maggio, il vento era forte e delle fredde gocce di pioggia, di tanto in tanto, cadevano dal cielo facendo presagire che da lì a poco sarebbe scoppiata una tempesta.
Dietro una delle tante finestre chiuse, illuminate di tanto in tanto da un fulmine, c'era qualcuno che se ne stava a guardare il cielo e non poteva fare a meno di ripensare a quanto il suo umore fosse simile a lui in quel momento. Non poteva fare a meno di pensare quando il cielo lo guardava senza barriere.
-"Non crederai mai a quello che ho trovato nella cassetta della posta." Una voce particolarmente allegra si diffuse nell'ampio salotto di quella lussuosa villa, troppo grande per ospitare appena tre persone che passavano più tempo fuori casa che in quel posto. "È incredibile." Aggiunse la voce e scosse la testa, facendo smuovere i suoi ricci scuri che gli caddero davanti agli occhi. "Benjamin la smetti di ignorarmi?" Continuò e lanciò un'occhiataccia alla persona che gli stava davanti, appoggiato contro il muro e con una tazza di caffè bollente stretta tra le mani.
Benjamin alzò gli occhi chiari - ormai aveva preso l'abitudine di descriverli semplicemente come chiari, stanco com'era di chi continuava a chiedergli se fossero verdi o azzurri - al cielo, si appoggiò meglio contro il muro tinto di rosa antico e con delle rifiniture bianche e poggiò la tazza bianca sul davanzale in marmo della finestra.
-"Non ti sto ignorando, Marco." Rispose Benjamin con estrema calma, in netto contrasto con l'esuberanza che da sempre caratterizzava il suo amico. "Per farlo dovrei almeno pensare di ignorarti, pensarti, e io non lo faccio. Ormai dovresti saperlo."
Marco sbuffò sonoramente, il suo amico gli aveva più volte ripetuto qualcosa del genere soltanto per il gusto di prenderlo in giro e lui, ancora, si lasciava prendere in giro.
-"Comunque sia, non indovinerai mai che cosa c'era nella cassetta della posta."
-"Nom mi servirà indovinare, sono certo che sarai tu a dirmelo tra poco, non è così?"
-"Mi conosci fin troppo bene." Rise il riccio e imitò la posizione dell'amico, appoggiando la schiena contro il muro. "Ho sempre creduto che la gente fosse esagerata nel criticare le poste italiane per i loro ritardi, ma oggi ho capito che hanno ragione."
-"Che cosa c'entra questo?" Domandò Benjamin e inarcò un sopracciglio, dove aveva una piccola cicatrice dovuta ad una vecchia caduta.
-"Nella cassetta della posta c'era una cartolina." Disse Marco e sventolò davanti al viso dell'amico un cartoncino bianco che prima, Benjamin, non aveva notato. "Una cartolina per te."
-"Più tardi parleremo di questa tua abitudine di leggere le mie cose."
-"Non è questo il punto principale." Replicò il riccio. "Questa cartolina è stata spedita trent'anni fa."
Il volto di Benjamin, segnato dall'età che avanzava e dalle tante delusioni vissute, perse quel briciolo di colore che aveva e la sua espressione passò più volte dall'essere sorpreso all'essere terrorizzato.
-"T- trent'anni fa?" Balbettò Benjamin e mise le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri, per evitare che l'amico notasse come stesse tremando in quel momento.
-"Proprio trent'anni fa, è stata spedita nel 2020." Annuì Marco, continuando a sorridere e senza rendersi conto delle emozioni che stavano travolgendo il suo amico. "A quei tempi ci conoscevamo da poco, ricordi?" Continuò.
-"Da dove v- viene?" Domandò Benjamin mentre sentiva il suo cuore martellare più forte che mai.
-"Vedo che adesso anche tu sei curioso." Ridacchiò il riccio. "Viene da Caracas, in Venezuela." Disse. "Ma il bello sai qual è? Chi l'ha spedita, non riesco a crederci."
Benjamin chiuse gli occhi per un momento e prese un respiro profondo.
-"Chi l'ha spedita?"
-"Federico."**
È difficile andare via da una città, evadere e cambiare idea, Quando tutte le strade portano allo stesso luogo. Tutte le strade portano a Roma, è così che si dice, no? E c'erano persone pronte a giurare fosse vero, che in un modo o nell'altro si fossero sempre ritrovati a tornare nella città eterna. Chiunque fosse passato, almeno una volta o per poco tempo, in quella città sembrava innamorarsene e lasciare un pezzo del loro cuore tra quelle strade colme di vita e di arte.
Il sole stava tramontando, dopo un brutto temporale di inizio ottobre, le nuvole si stavano tingendo di calde tonalità di arancione e di rosso, mentre le pozzanghere riflettevano l'ennesimo spettacolo che quella città era in grado di offrire. Più di una persona si era fermata a fotografare il Colosseo immerso in quei caldi colori e la vista della città dalla terrazza del Pincio, tutti restavano ammaliati dalla città al tramonto, per pochi minuti il tempo sembrava fermarsi e le preoccupazioni finivano, quello era uno dei tanti poteri che quella città riuscita ad avere sulle persone che la visitavano.
Prima o poi, però, il sole smetteva di tramontare e tutti venivano nuovamente catapultati nella loro realtà. La stessa cosa successe in una villa, decisamente appariscente con i suoi cancelli color oro e dalle guardie che si assicuravano che nessuno entrasse, situata nel centro storico di Roma dove viveva una famiglia come tante, una famiglia felice tutto sommato o almeno era quello che sembrava all'esterno.
-"Tuo figlio è pazzo, pazzo!" Gridò un uomo, dai capelli neri e l'espressione perennemente arrabbiata, non appena entrò in casa e si tolse la cravatta che da ore lo stava soffocando. "Ed è tutta colpa tua!" Continuò a gridare e puntò il dito, impreziosito da un anello in oro che da tempo aveva sostituito la sua fede persa anni prima, contro una donna rannicchiata su se stessa sul grande divano, forse anche troppo, color borgogna.
-"Andrea, per favore, puoi abbassare la voce?" Sussurrò la donna dai lunghi capelli castani chiaro raccolti in una coda di cavallo spettinata. "Mi sta scoppiando la testa." Aggiunse e chiuse gli occhi azzurri, che iniziavano ad essere segnati da delle rughe che suo figlio giudicava bellissime.
-"Anche a me scoppia la testa per colpa di quel mentecatto di tuo figlio!" Gridò l'uomo di nome Andrea e poggiò, con poco gentilezza e tanto frastuono, la sua ventiquattrore nera sul tavolo in marmo bianco con delle rifiniture in ore.
-"Non parlare in questo modo di Federico." Sibilò, a denti stretti, la donna.
-"E tu non osare rivolgerti a me in questo modo, Vanessa, altrimenti sai che me la pagherai." Ringhiò l'uomo e si avvicinò pericolosamente alla moglie. "Devi parlare con lui o finirà male."
-"Che cosa ti aspetti che gli dica? Di restarsene chiuso in camera sua perché suo padre è arrabbiato?" Replicò, con tono derisorio, Vanessa. "Non è più un bambino, nel caso in cui non l'avessi notato, ha diciannove anni e sa pensare con la sua testa." Aggiunse. "Anche se tu vorresti che pensasse con la tua di testa."
Andrea digrignò i denti e si allontanò dalla moglie, per recuperare il suo cellulare dalla ventiquattrore.
-"Sai qual è la sua ultima idea? Vuole protestare a piazza di Spagna per la spazzatura che c'è a Roma, assurdo. Quel ragazzo è folle."
Sul volto stanco di Vanessa comparve un piccolo sorriso che, però, si affrettò a mascherare quando suo marito le lanciò un'occhiataccia.
-"A me non sembra una cattiva idea." Rispose la donna e si sistemò meglio addosso la coperta rossa. "Anzi, credo sia una buona idea. Una città come Roma meriterebbe più attenzione e lui vuole dargliela." Aggiunse e scrollò le spalle, coperte da una maglia blu che le stava ormai larga ma a cui era troppo legata per gettarla via.
-"Tu sei folle come lui, è colpa tua se ha queste idee!" Gridò Andrea e batté la mano sul tavolo, facendo sobbalzare la moglie. "Io ho una reputazione da difendere, sono un personaggio influente qui, e lu-"
-"E tuo figlio ti rovina l'immagine, è quello che stavi per dire, no?" Lo interruppe la donna, mantenendo il suo tono pacato nonostante dentro di lei la rabbia diventasse sempre più forte. "Certo, certo che lo stavi per dire. È deplorevole che un padre pensi certe cose di suo figlio, dovresti vergognarti."
-"Non sono io quello sbagliato, Vanessa, e tu lo sai bene." Rispose l'uomo e assottigliò gli occhi azzurri. "Parla com tuo figlio o sarò costretto a prendere dei provvedimenti che non piaceranno a nessuno." Aggiunse e prese la sua ventiquattrore. "A nessuno." Ripeté per poi sparire oltre il lungo, e in quel momento buio, corridoio.
Una volta rimasta da sola Vanessa sospirò rumorosamente, rendendosi conto soltanto in quel momento di aver trattenuto il respiro durante la conversazione con suo marito. Era qualcosa che le succedeva spesso, quando affrontava suo marito si imponeva di sembrare tranquilla, di non dare importanza a ciò che l'uomo le diceva se non quando si trattava di suo figlio, eppure dentro di lei si scatenavano infinite emozioni, come se fosse un mare in tempesta e non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe retto quella situazione.
-"Mamma?" La voce di suo figlio riportò con i piedi sulla terra Vanessa. "Mamma va tutto bene? Ho sentito papà gridare, è successo qualcosa?"
Sul volto della donna ritornò quel sorriso che, poco prima, aveva mascherato per paura dell'uomo che le stava davanti e si ampliò quando vide il volto del figlio tanto simile al suo. Tanto lontano dalla rabbia di suo marito.
-"Abbiamo discusso, come al solito." Sospirò la donna. "Ma niente di importante." Aggiunse e batté delicatamente la mano sul cuscino del divano. "Vieni, Federico, siediti accanto a me."
Federico non se lo fece ripetere una seconda volta, annuì e si sedette accanto alla donna che lo aveva messo al mondo.
-"Ti senti bene? Mi sembri un po' pallida." Commentò il ragazzo e si sistemò la cintura nera che teneva su il suo pantalone verde militare.
-"Ho solo un po' di mal di testa, ma tra poco passerà." Rispose Vanessa. "Tranquillo, non preoccuparti." Aggiunse. Vanessa non voleva che nessuno si preoccupasse per lei, non voleva essere la fonte di problemi per qualcuno e ancor meno per suo figlio, l'unico che riuscisse a renderla felice.
-"Posso fare qualcosa per te?" Domandò Federico e le sistemò la coperta fin sopra le spalle.
-"Sì, c'è una cosa che puoi fare."
-"Cosa?"
-"Non cambiare mai, Federico." Disse Vanessa. "Non lasciare mai che qualcuno possa cambiarti, non credere a chi ti dice che sei sbagliato. Tu sei perfetto così come sei, non devi dimenticarlo mai, succeda quel che succeda." Aggiunse. "Non cambiare mai."
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Lettere dal passato. || Fenji.
Fiksi Penggemar«2050, sono passati trent'anni da quando Federico ha spedito una lettera che ha cambiato per sempre la sua vita. Trent'anni da quando due opposti hanno trovato il modo di essere simili. Che cosa sarà successo in così tanti anni? Quella lettera sarà...